Lodovico Ariosto

"Orlando Furioso"

CANTO PRIMO

1

Le donne, i cavallier, l'arme, gli amori,

le cortesie, l'audaci imprese io canto,

che furo al tempo che passaro i Mori

d'Africa il mare, e in Francia nocquer tanto,

seguendo l'ire e i giovenil furori

d'Agramante lor re, che si die vanto

di vendicar la morte di Troiano

sopra re Carlo imperator romano.

2

Diro d'Orlando in un medesmo tratto

cosa non detta in prosa mai, ne in rima:

che per amor venne in furore e matto,

d'uom che si saggio era stimato prima;

se da colei che tal quasi m'ha fatto,

che 'l poco ingegno ad or ad or mi lima,

me ne sara pero tanto concesso,

che mi basti a finir quanto ho promesso.

3

Piacciavi, generosa Erculea prole,

ornamento e splendor del secol nostro,

Ippolito, aggradir questo che vuole

e darvi sol puo l'umil servo vostro.

Quel ch'io vi debbo, posso di parole

pagare in parte e d'opera d'inchiostro;

ne che poco io vi dia da imputar sono,

che quanto io posso dar, tutto vi dono.

4

Voi sentirete fra i piu degni eroi,

che nominar con laude m'apparecchio,

ricordar quel Ruggier, che fu di voi

e de' vostri avi illustri il ceppo vecchio.

L'alto valore e' chiari gesti suoi

vi faro udir, se voi mi date orecchio,

e vostri alti pensier cedino un poco,

si che tra lor miei versi abbiano loco.

5

Orlando, che gran tempo innamorato

fu de la bella Angelica, e per lei

in India, in Media, in Tartaria lasciato

avea infiniti ed immortal trofei,

in Ponente con essa era tornato,

dove sotto i gran monti Pirenei

con la gente di Francia e de Lamagna

re Carlo era attendato alla campagna,

6

per far al re Marsilio e al re Agramante

battersi ancor del folle ardir la guancia,

d'aver condotto, l'un, d'Africa quante

genti erano atte a portar spada e lancia;

l'altro, d'aver spinta la Spagna inante

a destruzion del bel regno di Francia.

E cosi Orlando arrivo quivi a punto:

ma tosto si pentid'esservi giunto:

7

che vi fu tolta la sua donna poi:

ecco il giudicio uman come spesso erra!

Quella che dagli esperi ai liti eoi

avea difesa con si lunga guerra,

or tolta gli e fra tanti amici suoi,

senza spada adoprar, ne la sua terra.

Il savio imperator, ch'estinguer volse

un grave incendio, fu che gli la tolse.

8

Nata pochi di inanzi era una gara

tra il conte Orlando e il suo cugin Rinaldo,

che entrambi avean per la bellezza rara

d'amoroso disio l'animo caldo.

Carlo, che non avea tal lite cara,

che gli rendea l'aiuto lor men saldo,

questa donzella, che la causa n'era,

tolse, e die in mano al duca di Bavera;

9

in premio promettendola a quel d'essi,

ch'in quel conflitto, in quella gran giornata,

degl'infideli piu copia uccidessi,

e di sua man prestasse opra piu grata.

Contrari ai voti poi furo i successi;

ch'in fuga ando la gente battezzata,

e con molti altri fu 'l duca prigione,

e resto abbandonato il padiglione.

10

Dove, poi che rimase la donzella

ch'esser dovea del vincitor mercede,

inanzi al caso era salita in sella,

e quando bisogno le spalle diede,

presaga che quel giorno esser rubella

dovea Fortuna alla cristiana fede:

entro in un bosco, e ne la stretta via

rincontro un cavallier ch'a pie venia.

11

Indosso la corazza, l'elmo in testa,

la spada al fianco, e in braccio avea lo scudo;

e piu leggier correa per la foresta,

ch'al pallio rosso il villan mezzo ignudo.

Timida pastorella mai si presta

non volse piede inanzi a serpe crudo,

come Angelica tosto il freno torse,

che del guerrier, ch'a pie venia, s'accorse.

12

Era costui quel paladin gagliardo,

figliuol d'Amon, signor di Montalbano,

a cui pur dianzi il suo destrier Baiardo

per strano caso uscito era di mano.

Come alla donna egli drizzo lo sguardo,

riconobbe, quantunque di lontano,

l'angelico sembiante e quel bel volto

ch'all'amorose reti il tenea involto.

13

La donna il palafreno a dietro volta,

e per la selva a tutta briglia il caccia;

ne per la rara piu che per la folta,

la piu sicura e miglior via procaccia:

ma pallida, tremando, e di se tolta,

lascia cura al destrier che la via faccia.

Di su di giu, ne l'alta selva fiera

tanto giro, che venne a una riviera.

14

Su la riviera Ferrau trovosse

di sudor pieno e tutto polveroso.

Da la battaglia dianzi lo rimosse

un gran disio di bere e di riposo;

e poi, mal grado suo, quivi fermosse,

perche, de l'acqua ingordo e frettoloso,

l'elmo nel fiume si lascio cadere,

ne l'avea potuto anco riavere.

15

Quanto potea piu forte, ne veniva

gridando la donzella ispaventata.

A quella voce salta in su la riva

il Saracino, e nel viso la guata;

e la conosce subito ch'arriva,

ben che di timor pallida e turbata,

e sien piu di che nonn'udi novella,

che senza dubbio ell'e Angelica bella.

16

E perche era cortese, e n'avea forse

non men de' dui cugini il petto caldo,

l'aiuto che potea tutto le porse,

pur come avesse l'elmo, ardito e baldo:

trasse la spada, e minacciando corse

dove poco di lui temea Rinaldo.

Piu volte s'eran gia non pur veduti,

m'al paragon de l'arme conosciuti.

17

Cominciar quivi una crudel battaglia,

come a pie si trovar, coi brandi ignudi:

non che le piastre e la minuta maglia,

ma ai colpi lor non reggerian gl'incudi.

Or, mentre l'un con l'altro si travaglia,

bisogna al palafren che 'l passo studi;

che quanto puo menar de le calcagna,

colei lo caccia al bosco e alla campagna.

18

Poi che s'affaticar gran pezzo invano

i dui guerrier per por l'un l'altro sotto,

quando non meno era con l'arme in mano

questo di quel, ne quel di questo dotto;

fu primiero il signor di Montalbano,

ch'al cavallier di Spagna fece motto,

si come quel ch'ha nel cuor tanto fuoco,

che tutto n'arde e non ritrova loco.

19

Disse al pagan: - Me sol creduto avrai,

e pur avrai te meco ancora offeso:

se questo avvien perche i fulgenti rai

del nuovo sol t'abbino il petto acceso,

di farmi qui tardar che guadagno hai?

che quando ancor tu m'abbi morto o preso,

non pero tua la bella donna fia;

che, mentre noi tardiam, se ne va via.

20

Quanto fia meglio, amandola tu ancora,

che tu le venga a traversar la strada,

a ritenerla e farle far dimora,

prima che piu lontana se ne vada!

Come l'avremo in potestate, allora

di chi esser de' si provi con la spada:

non so altrimenti, dopo un lungo affanno,

che possa riuscirci altro che danno. -

21

Al pagan la proposta non dispiacque:

cosi fu differita la tenzone;

e tal tregua tra lor subito nacque,

si l'odio e l'ira va in oblivione,

che 'l pagano al partir da le fresche acque

non lascio a piedi il buon figliuol d'Amone:

con preghi invita, ed al fin toglie in groppa,

e per l'orme d'Angelica galoppa.

22

Oh gran bonta de' cavallieri antiqui!

Eran rivali, eran di fe diversi,

e si sentian degli aspri colpi iniqui

per tutta la persona anco dolersi;

e pur per selve oscure e calli obliqui

insieme van senza sospetto aversi.

Da quattro sproni il destrier punto arriva

ove una strada in due si dipartiva.

23

E come quei che non sapean se l'una

o l'altra via facesse la donzella

(pero che senza differenza alcuna

apparia in amendue l'orma novella),

si messero ad arbitrio di fortuna,

Rinaldo a questa, il Saracino a quella.

Pel bosco Ferrau molto s'avvolse,

e ritrovossi al fine onde si tolse.

24

Pur si ritrova ancor su la rivera,

la dove l'elmo gli casco ne l'onde.

Poi che la donna ritrovar non spera,

peraver l'elmo che 'l fiume gli asconde,

in quella parte onde caduto gli era

discende ne l'estreme umide sponde:

ma quello era si fitto ne la sabbia,

che molto avra da far prima che l'abbia.

25

Con un gran ramo d'albero rimondo,

di ch'avea fatto una pertica lunga,

tenta il fiume e ricerca sino al fondo,

ne loco lascia ove non batta e punga.

Mentre con la maggior stizza del mondo

tanto l'indugio suo quivi prolunga,

vede di mezzo il fiume un cavalliero

insino al petto uscir, d'aspetto fiero.

26

Era, fuor che la testa, tutto armato,

ed avea un elmo ne la destra mano:

avea il medesimo elmo che cercato

da Ferrau fu lungamente invano.

A Ferrau parlo come adirato,

e disse: - Ah mancator di fe, marano!

perche di lasciar l'elmo anche t'aggrevi,

che render gia gran tempo mi dovevi?

27

Ricordati, pagan, quando uccidesti

d'Angelica il fratel(che son quell'io),

dietro all'altr'arme tu mi promettesti

gittar fra pochi di l'elmo nel rio.

Or se Fortuna(quel che non volesti

far tu) pone ad effetto il voler mio,

non ti turbare; e se turbar ti dei,

turbati che di fe mancato sei.

28

Ma se desir pur hai d'un elmo fino,

trovane un altro, ed abbil con piu onore;

un tal ne porta Orlando paladino,

un tal Rinaldo, e forse anco migliore:

l'un fu d'Almonte, e l'altro di Mambrino:

acquista un di quei dui col tuo valore;

e questo, ch'hai gia di lasciarmi detto,

farai bene a lasciarmi con effetto. -

29

All'apparir che fece all'improvviso

de l'acqua l'ombra, ogni pelo arricciossi,

e scolorossi al Saracino il viso;

la voce, ch'era per uscir, fermossi.

Udendo poi da l'Argalia, ch'ucciso

quivi avea gia(che l'Argalia nomossi)

la rotta fede cosi improverarse,

di scorno e d'ira dentro e di fuor arse.

30

Ne tempo avendo a pensar altra scusa,

e conoscendo ben che 'l ver gli disse,

resto senza risposta a bocca chiusa;

ma la vergogna il cor si gli trafisse,

che giuro per la vita di Lanfusa

non voler mai ch'altro elmo lo coprisse,

se non quel buono che gia in Aspramonte

trasse dal capo Orlando al fiero Almonte.

31

E servo meglio questo giuramento,

che non avea quell'altro fatto prima.

Quindi si parte tanto malcontento,

che molti giorni poi si rode e lima.

Sol di cercare e il paladino intento

di qua di la, dove trovarlo stima.

Altra ventura al buon Rinaldo accade,

che da costui tenea diverse strade.

32

Non molto va Rinaldo, che si vede

saltare inanzi il suo destrier feroce:

- Ferma, Baiardo mio, deh, ferma il piede!

che l'esser senza te troppo mi nuoce. -

Per questo il destrier sordo, a lui non riede

anzi piu se ne va sempre veloce.

Segue Rinaldo, e d'ira si distrugge:

ma seguitiamo Angelica che fugge.

33

Fugge tra selve spaventose e scure,

perlochi inabitati, ermi e selvaggi.

Il mover de le frondi e di verzure,

che di cerri sentia, d'olmi e di faggi,

fatto le avea con subite paure

trovar di qua di la strani viaggi;

ch'ad ogni ombra veduta o in monte o in valle,

temea Rinaldo aver sempre alle spalle.

34

Qual pargoletta o damma o capriuola,

che tra le fronde del natio boschetto

alla madre veduta abbia la gola

stringer dal pardo, o aprirle 'l fianco o 'l petto,

di selva in selva dal crudel s'invola,

e di paura trema e di sospetto:

ad ogni sterpo che passando tocca,

esser si crede all'empia fera in bocca.

35

Quel di e la notte a mezzo l'altro giorno

s'ando aggirando, e non sapeva dove.

Trovossi al fin in un boschetto adorno,

che lievemente la fresca aura muove.

Duo chiari rivi, mormorando intorno,

sempre l'erbe vi fan tenere e nuove;

e rendea ad ascoltar dolce concento,

rotto tra picciol sassi, il correr lento.

36

Quivi parendo a lei d'esser sicura

e lontana a Rinaldo mille miglia,

da la via stanca e da l'estiva arsura,

di riposare alquanto si consiglia:

tra' fiori smonta, e lascia alla pastura

andare il palafren senza la briglia;

e quel va errando intorno alle chiare onde,

che di fresca erba avean piene le sponde.

37

Ecco non lungi un bel cespuglio vede

di prun fioriti e di vermiglie rose,

che de le liquide onde al specchio siede,

chiuso dal sol fra l'alte querce ombrose;

cosi voto nel mezzo, che concede

fresca stanza fra l'ombre piu nascose:

e la foglia coi rami in modo e mista,

che 'l sol non v'entra, non che minor vista.

38

Dentro letto vi fan tenere erbette,

ch'invitano a posar chi s'appresenta.

La bella donna in mezzo a quel si mette,

ivi si corca ed ivi s'addormenta.

Ma non per lungo spazio cosi stette,

che un calpestio le par che venir senta:

cheta si leva e appresso alla riviera

vede ch'armato un cavallier giunt'era.

39

Se gli e amico o nemico non comprende:

tema e speranza il dubbio cor le scuote;

e di quella aventura il fine attende,

ne pur d'un sol sospir l'aria percuote.

Il cavalliero in riva al fiume scende

sopra l'un braccio a riposar le gote;

e in un suo gran pensier tanto penetra,

che par cangiato in insensibil pietra.

40

Pensoso piu d'un'ora a capo basso

stette, Signore, il cavallier dolente;

poi comincio con suono afflitto e lasso

a lamentarsi si soavemente,

ch'avrebbe di pieta spezzato un sasso,

una tigre crudel fatta clemente.

Sospirante piangea, tal ch'un ruscello

parean le guance, e 'l petto un Mongibello.

41

- Pensier(dicea) che 'l cor m'agghiacci ed ardi,

e causi il duol che sempre il rode e lima,

che debbo far, poi ch'io son giunto tardi,

e ch'altri a corre il frutto e andato prima?

a penaavuto io n'ho parole e sguardi,

ed altri n'ha tutta la spoglia opima.

Se non ne tocca a me frutto ne fiore,

perche affligger per lei mi vuo' piu il core?

42

La verginella e simile alla rosa,

ch'in bel giardin su la nativa spina

mentre sola e sicura si riposa,

ne gregge ne pastor se le avvicina;

l'aura soave e l'alba rugiadosa,

l'acqua, la terra al suo favor s'inchina:

gioveni vaghi e donne inamorate

amano averne e seni e tempie ornate.

43

Ma non si tosto dal materno stelo

rimossa viene e dal suo ceppo verde,

che quanto avea dagli uomini e dal cielo

favor, grazia e bellezza, tutto perde.

La vergine che 'l fior, di che piu zelo

che de' begli occhi e de la vita aver de',

lascia altrui corre, il pregio ch'avea inanti

perde nel cor di tutti gli altri amanti.

44

Sia vile agli altri, e da quel solo amata

a cui di se fece si larga copia.

Ah, Fortuna crudel, Fortuna ingrata!

trionfan gli altri, e ne moro io d'inopia.

Dunque esser puo che non mi sia piu grata?

dunque io posso lasciar mia vita propia?

Ah piu tosto oggi manchino i di miei,

ch'io viva piu, s'amar non debbo lei! -

45

Se mi domanda alcun chi costui sia,

che versa sopra il rio lacrime tante,

io diro ch'egli e il re di Circassia,

quel d'amor travagliato Sacripante;

io diro ancor, che di sua pena ria

sia prima e sola causa essere amante,

e pur un degli amanti di costei:

e ben riconosciuto fu da lei.

46

Appresso ove il sol cade, per suo amore

venuto era dal capo d'Oriente;

che seppe in India con suo gran dolore,

come ella Orlando sequito in Ponente:

poi seppe in Francia che l'imperatore

sequestrata l'avea da l'altra gente,

per darla all'un de' duo che contra il Moro

piu quel giorno aiutasse i Gigli d'oro.

47

Stato era in campo, e inteso avea di quella

rotta crudel che dianzi ebbe re Carlo:

cerco vestigio d'Angelica bella,

ne potuto avea ancora ritrovarlo.

Questa e dunque la trista e ria novella

che d'amorosa doglia fa penarlo,

affligger, lamentare, e dir parole

che di pieta potrian fermare il sole.

48

Mentre costui cosi s'affligge e duole,

e fa degli occhi suoi tepida fonte,

e dice queste e molte altre parole,

che non mi par bisogno esser racconte;

l'aventurosa sua fortuna vuole

ch'alle orecchie d'Angelica sian conte:

e cosi quel ne viene a un'ora, a un punto,

ch'in mille anni o mai piu non e raggiunto.

49

Con molta attenzion la bella donna

al pianto, alle parole, al modo attende

di colui ch'in amarla non assonna;

ne questo e il primo di ch'ella l'intende:

ma dura e fredda piu d'una colonna,

ad averne pieta non pero scende,

come colei c'ha tutto il mondoa sdegno,

e non le par ch'alcun sia di lei degno.

50

Pur tra quei boschi il ritrovarsi sola

le fa pensar di tor costui per guida;

che chi ne l'acqua sta fin alla gola

ben e ostinato se merce non grida.

Se questa occasione or se l'invola,

non trovera mai piu scorta si fida;

ch'a lunga prova conosciuto inante

s'avea quel re fedel sopra ogni amante.

51

Ma non pero disegna de l'affanno

che lo distrugge alleggierir chi l'ama,

e ristorar d'ogni passato danno

con quel piacer ch'ogni amator piu brama:

ma alcuna finzione, alcuno inganno

di tenerlo in speranza ordisce e trama;

tanto ch'a quel bisogno se ne serva,

poi torni all'uso suo dura e proterva.

52

E fuor di quel cespuglio oscuro e cieco

fa di se bella ed improvvisa mostra,

come di selva o fuor d'ombroso speco

Diana in scena o Citerea si mostra;

e dice all'apparir: - Pace sia teco;

teco difenda Dio la fama nostra,

e non comporti, contra ogni ragione,

ch'abbi di me si falsa opinione. -

53

Non mai con tanto gaudio o stupor tanto

levo gli occhi al figliuolo alcuna madre,

ch'avea per morto sospirato e pianto,

poi che senza esso udi tornar le squadre;

con quanto gaudio il Saracin, con quanto

stupor l'alta presenza e le leggiadre

maniere, e il vero angelico sembiante,

improviso apparir si vide inante.

54

Pieno di dolce e d'amoroso affetto,

alla sua donna, alla sua diva corse,

che con le braccia al collo il tenne stretto,

quel ch'al Catai non avria fatto forse.

Al patrio regno, al suo natio ricetto,

seco avendo costui, l'animo torse:

subito in lei s'avviva la speranza

di tosto riveder sua ricca stanza.

55

Ella gli rende conto pienamente

dal giorno che mandato fu da lei

a domandar soccorso in Oriente

al re de' Sericani e Nabatei;

e come Orlando la guardo sovente

da morte, da disnor, da casi rei:

e che 'l fior virginal cosi avea salvo,

come se lo porto del materno alvo.

56

Forse era ver, ma non pero credibile

a chi del senso suo fosse signore;

ma parve facilmente a lui possibile,

ch'era perduto in via piu grave errore.

Quel che l'uom vede, Amor gli fa invisibile,

e l'invisibil fa vedere Amore.

Questo creduto fu; che 'l miser suole

dar facile credenza a quel che vuole.

57

- Se mal si seppe il cavallier d'Anglante

pigliar per sua sciocchezza il tempo buono,

il danno se ne avra; che da qui inante

nol chiamera Fortuna a si gran dono

(tra se tacito parla Sacripante):

ma io per imitarlo gia non sono,

che lasci tanto ben che m'e concesso,

e ch'a doler poi m'abbia di me stesso.

58

Corro la fresca e matutina rosa,

che, tardando, stagion perder potria.

So ben ch'a donna non si puo far cosa

che piu soave e piu piacevolsia,

ancor che se ne mostri disdegnosa,

e talor mesta e flebil se ne stia:

non staro per repulsa o finto sdegno,

ch'io non adombri e incarni il mio disegno. -

59

Cosi dice egli; e mentre s'apparecchia

al dolce assalto, un gran rumor che suona

dal vicin bosco gl'intruona l'orecchia,

si che mal grado l'impresa abbandona:

e si pon l'elmo(ch'avea usanza vecchia

di portar sempre armata la persona),

viene al destriero e gli ripon la briglia,

rimonta in sella e la sua lancia piglia.

60

Ecco pel bosco un cavallier venire,

il cui sembiante e d'uom gagliardo e fiero:

candido come nieve e il suo vestire,

un bianco pennoncello ha per cimiero.

Re Sacripante, che non puo patire

che quel con l'importuno suo sentiero

gli abbia interrotto il gran piacer ch'avea,

con vista il guarda disdegnosa e rea.

61

Come e piu appresso, lo sfida a battaglia;

che crede ben fargli votar l'arcione.

Quel che di lui non stimo gia che vaglia

un grano meno, e ne fa paragone,

l'orgogliose minacce a mezzo taglia,

sprona a un tempo, e la lancia in resta pone.

Sacripante ritorna con tempesta,

e corronsi a ferir testa per testa.

62

Non si vanno i leoni o i tori in salto

a dar di petto, ad accozzar si crudi,

si come i duo guerrieri al fiero assalto,

che parimente si passar li scudi.

Fe' lo scontro tremar dal basso all'alto

l'erbose valli insino ai poggi ignudi;

e ben giovo che fur buoni e perfetti

gli osberghi si, che lor salvaro i petti.

63

Gia non fero i cavalli un correr torto,

anzi cozzaro a guisa di montoni:

quel del guerrier pagan mori di corto,

ch'era vivendo in numero de' buoni:

quell'altro cadde ancor, ma fu risorto

tosto ch'al fianco si senti gli sproni.

Quel del re saracin resto disteso

adosso al suo signor con tutto il peso.

64

L'incognito campion che resto ritto,

e vide l'altro col cavallo in terra,

stimando avere assai di quel conflitto,

non si curo di rinovar la guerra;

ma dove per la selva e il camin dritto,

correndo a tutta briglia si disserra;

e prima che di briga esca il pagano,

un miglio o poco meno e gia lontano.

65

Qual istordito e stupido aratore,

poi ch'e passato il fulmine, si leva

di la dove l'altissimo fragore

appresso ai morti buoi steso l'aveva;

che mira senza fronde e senza onore

il pin che di lontan veder soleva:

tal si levo il pagano a pie rimaso,

Angelica presente al duro caso.

66

Sospira e geme, non perche l'annoi

che piede o braccio s'abbi rotto o mosso,

ma per vergogna sola, onde a' di suoi

ne pria ne dopo il viso ebbe si rosso:

e piu, ch'oltre il cader, sua donna poi

fu che gli tolse il gran peso d'adosso.

Muto restava, mi cred'io,se quella

non gli rendea la voce e la favella.

67

- Deh!(diss'ella) signor, non vi rincresca!

che del cader non e la colpa vostra,

ma del cavallo, a cui riposo ed esca

meglio si convenia che nuova giostra.

Ne percio quel guerrier sua gloria accresca

che d'esser stato il perditor dimostra:

cosi, per quel ch'io me ne sappia, stimo,

quando a lasciare il campo e stato primo. -

68

Mentre costei conforta il Saracino,

ecco col corno e con la tasca al fianco,

galoppando venir sopra un ronzino

un messagger che parea afflitto e stanco;

che come a Sacripante fu vicino,

gli domando se con un scudo bianco

e con un bianco pennoncello in testa

vide un guerrier passar per la foresta.

69

Rispose Sacripante: - Come vedi,

m'ha qui abbattuto, e se ne parte or ora;

e perch'io sappia chi m'ha messo a piedi,

fa che per nome io lo conosca ancora. -

Ed egli a lui: - Di quel che tu mi chiedi

io ti satisfaro senza dimora:

tu dei saper che ti levo di sella

l'alto valor d'una gentil donzella.

70

Ella e gagliarda ed e piu bella molto;

ne il suo famoso nome anco t'ascondo:

fu Bradamante quella che t'ha tolto

quanto onor mai tu guadagnasti al mondo. -

Poi ch'ebbe cosi detto, a freno sciolto

il Saracin lascio poco giocondo,

che non sa che si dica o che si faccia,

tutto avvampato di vergogna in faccia.

71

Poi che gran pezzo al caso intervenuto

ebbe pensato invano, e finalmente

si trovo da una femina abbattuto,

che pensandovi piu, piu dolor sente;

monto l'altro destrier, tacito e muto:

e senza far parola, chetamente

tolse Angelica in groppa, e differilla

a piu lieto uso, a stanza piu tranquilla.

72

Non furo iti due miglia, che sonare

odon la selva che li cinge intorno,

con tal rumore e strepito, che pare

che triemi la foresta d'ogn'intorno;

e poco dopo un gran destrier n'appare,

d'oro guernito e riccamente adorno,

che salta macchie e rivi, ed a fracasso

arbori mena e cio che vieta il passo.

73

- Se l'intricati rami e l'aer fosco,

(disse la donna) agli occhi non contende,

Baiardo e quel destrier ch'in mezzo il bosco

con tal rumor la chiusa via si fende.

Questo e certo Baiardo, io 'l riconosco:

deh, come ben nostro bisogno intende!

ch'un sol ronzin per dui saria mal atto,

e ne viene egli a satisfarci ratto. -

74

Smonta il Circasso ed al destrier s'accosta,

e si pensava dar di mano al freno.

Colle groppe il destrier gli fa risposta,

che fu presto al girar come un baleno;

ma non arriva dove i calci apposta:

misero il cavallier se giungea a pieno!

che nei calci tal possa avea il cavallo,

ch'avria spezzato unmonte di metallo.

75

Indi va mansueto alla donzella,

con umile sembiante e gesto umano,

come intorno al padrone il can saltella,

che sia duo giorni o tre stato lontano.

Baiardo ancora avea memoria d'ella,

ch'in Albracca il servia gia di sua mano

nel tempo che da lei tanto era amato

Rinaldo, allor crudele, allor ingrato.

76

Con la sinistra man prende la briglia,

con l'altra tocca e palpa il collo e 'l petto:

quel destrier, ch'avea ingegno a maraviglia,

a lei, come un agnel, si fa suggetto.

Intanto Sacripante il tempo piglia:

monta Baiardo e l'urta e lo tien stretto.

Del ronzin disgravato la donzella

lascia la groppa, e si ripone in sella.

77

Poi rivolgendo a caso gli occhi, mira

venir sonando d'arme un gran pedone.

Tutta s'avvampa di dispetto e d'ira,

che conosce il figliuol del duca Amone.

Piu che sua vita l'ama egli e desira;

l'odia e fugge ella piu che gru falcone.

Gia fu ch'esso odio lei piu che la morte;

ella amo lui: or han cangiato sorte.

78

E questo hanno causato due fontane

che di diverso effetto hanno liquore,

ambe in Ardenna, e non sono lontane:

d'amoroso disio l'una empie il core;

chi bee de l'altra, senza amor rimane,

e volge tutto in ghiaccio il primo ardore.

Rinaldo gusto d'una, e amor lo strugge;

Angelica de l'altra, e l'odia e fugge.

79

Quel liquor di secreto venen misto,

che muta in odio l'amorosa cura,

fa che la donna che Rinaldo ha visto,

nei sereni occhi subito s'oscura;

e con voce tremante e viso tristo

supplica Sacripante e lo scongiura

che quel guerrier piu appresso non attenda,

ma ch'insieme con lei la fuga prenda.

80

- Son dunque(disse il Saracino), sono

dunque in si poco credito con vui,

che mi stimiate inutile e non buono

da potervi difender da costui?

Le battaglie d'Albracca gia vi sono

di mente uscite, e la notte ch'io fui

per la salute vostra, solo e nudo,

contra Agricane e tutto il campo, scudo? -

81

Non risponde ella, e non sa che si faccia,

perche Rinaldo ormai l'e troppo appresso,

che da lontan al Saracin minaccia,

come vide il cavallo e conobbe esso,

e riconobbe l'angelica faccia

che l'amoroso incendio in cor gli ha messo.

Quel che segui tra questi duo superbi

vo' che per l'altro canto si riserbi.

1

Chi mi dara la voce e le parole

convenienti a si nobil suggetto?

chi l'ale al verso prestera, che vole

tanto ch'arrivi all'alto mio concetto?

Molto maggior di quel furor che suole,

ben or convien che mi riscaldi il petto;

che questa parte al mio signor si debbe,

che canta gli avi onde l'origin ebbe:

2

di cui fra tutti li signori illustri,

dal ciel sortiti a governar la terra,

non vedi, o Febo, che 'l gran mondo lustri,

piu gloriosa stirpe o in pace o in guerra;

ne che sua nobiltade abbia piu lustri

servata, e servara(s'inme non erra

quel profetico lume che m'ispiri)

fin che d'intorno al polo il ciel s'aggiri.

3

E volendone a pien dicer gli onori,

bisogna non la mia, ma quella cetra

con che tu dopo i gigantei furori

rendesti grazia al regnator dell'etra.

S'istrumenti avro mai da te migliori,

atti a sculpire in cosi degna pietra,

in queste belle imagini disegno

porre ogni mia fatica, ogni mio ingegno.

4

Levando intanto queste prime rudi

scaglie n'andro con lo scarpello inetto:

forse ch'ancor con piu solerti studi

poi ridurro questo lavor perfetto.

Ma ritorniano a quello, a cui ne scudi

potran ne usberghi assicurare il petto:

parlo di Pinabello di Maganza,

che d'uccider la donna ebbe speranza.

5

Il traditor penso che la donzella

fosse ne l'alto precipizio morta;

e con pallida faccia lascio quella

trista e per lui contaminata porta,

e torno presto a rimontar in sella:

e come quel ch'avea l'anima torta,

per giunger colpa a colpa e fallo a fallo,

di Bradamante ne meno il cavallo.

6

Lascian costui, che mentre all'altrui vita

ordisce inganno, il suo morir procura;

e torniamo alla donna che, tradita,

quasi ebbe a un tempo e morte e sepoltura.

Poi ch'ella si levo tutta stordita,

ch'avea percosso in su la pietra dura,

dentro la porta ando, ch'adito dava

ne la seconda assai piu larga cava.

7

La stanza, quadra e spaziosa, pare

una devota e venerabil chiesa,

che su colonne alabastrine e rare

con bella architettura era suspesa.

Surgea nel mezzo un ben locato altare,

ch'avea dinanzi una lampada accesa;

e quella di splendente e chiaro foco

rendea gran lume all'uno e all'altro loco.

8

Di devota umilta la donna tocca,

come si vide in loco sacro e pio,

incomincio col core e con la bocca,

inginocchiata, a mandar prieghi a Dio.

Un picciol uscio intanto stride e crocca,

ch'era all'incontro, onde una donna uscio

discinta e scalza, e sciolte avea le chiome,

che la donzella saluto per nome.

9

E disse: - O generosa Bradamante,

non giunta qui senza voler divino,

di te piu giorni m'ha predetto inante

il profetico spirto di Merlino,

che visitar le sue reliquie sante

dovevi per insolito camino:

e qui son stata accio ch'io ti riveli

quel c'han di te gia statuito i cieli.

10

Questa e l'antiqua e memorabil grotta

ch'edifico Merlino, il savio mago

che forse ricordare odi talotta,

dove ingannollo la Donna del Lago.

Il sepolcro e qui giu, dove corrotta

giace la carne sua; dove egli, vago

di sodisfare a lei, che glil suase,

vivo corcossi, e morto ci rimase.

11

Col corpo morto il vivo spirto alberga,

sin ch'oda il suon de l'angelica tromba

che dal ciel lo bandisca o che ve l'erga,

secondo che sara corvo o colomba.

Vive la voce; e come chiara emerga,

udir potrai dalla marmorea tomba,

che le passate e le future cose

a chi gli domando, sempre rispose.

12

Piugiorni son ch'in questo cimiterio

venni di remotissimo paese,

perche circa il mio studio alto misterio

mi facesse Merlin meglio palese:

e perche ebbi vederti desiderio,

poi ci son stata oltre il disegno un mese;

che Merlin, che 'l ver sempre mi predisse,

termine al venir tuo questo di fisse. -

13

Stassi d'Amon la sbigottita figlia

tacita e fissa al ragionar di questa;

ed ha si pieno il cor di maraviglia,

che non sa s'ella dorme o s'ella e desta:

e con rimesse e vergognose ciglia

(come quella che tutta era modesta)

rispose: - Di che merito son io,

ch'antiveggian profeti il venir mio? -

14

E lieta de l'insolita avventura,

dietro alla Maga subito fu mossa,

che la condusse a quella sepoltura

che chiudea di Merlin l'anima e l'ossa.

Era quell'arca d'una pietra dura,

lucida e tersa, e come fiamma rossa;

tal ch'alla stanza, ben che di sol priva,

dava splendore il lume che n'usciva.

15

O che natura sia d'alcuni marmi

che muovin l'ombre a guisa di facelle,

o forza pur di suffumigi e carmi

e segni impressi all'osservate stelle

(come piu questo verisimil parmi),

discopria lo splendor piu cose belle

e di scoltura e di color, ch'intorno

il venerabil luogo aveano adorno.

16

A pena ha Bradamante da la soglia

levato il pie ne la secreta cella,

che 'l vivo spirto da la morta spoglia

con chiarissima voce le favella:

- Favorisca Fortuna ogni tua voglia,

o casta e nobilissima donzella,

del cui ventre uscira il seme fecondo

che onorar deve Italia e tutto il mondo.

17

L'antiquo sangue che venne da Troia,

per li duo miglior rivi in te commisto,

produrra l'ornamento, il fior, la gioia

d'ogni lignaggio ch'abbia il sol mai visto

tra l'Indo e 'l Tago e 'l Nilo e la Danoia,

tra quanto e 'n mezzo Antartico e Calisto.

Ne la progenie tua con sommi onori

saran marchesi, duci e imperatori.

18

I capitani e i cavallier robusti

quindi usciran, che col ferro e col senno

ricuperar tutti gli onor vetusti

de l'arme invitte alla sua Italia denno.

Quindi terran lo scettro i signor giusti,

che, come il savio Augusto e Numa fenno,

sotto il benigno e buon governo loro

ritorneran la prima eta de l'oro.

19

Accio dunque il voler del ciel si metta

in effetto per te, che di Ruggiero

t'ha per moglier fin da principio eletta,

segue animosamente il tuo sentiero;

che cosa non sara che s'intrometta

da poterti turbar questo pensiero,

si che non mandi al primo assalto in terra

quel rio ladron ch'ogni tuo ben ti serra. -

20

Tacque Merlino avendo cosi detto,

ed agio all'opre de la Maga diede,

ch'a Bradamante dimostrar l'aspetto

si preparava di ciascun suo erede.

Avea di spirti un gran numero eletto,

non so se da l'Inferno o da qualsede,

e tutti quelli in un luogo raccolti

sotto abiti diversi e vari volti.

21

Poi la donzella a se richiama in chiesa,

la dove prima avea tirato un cerchio

che la potea capir tutta distesa,

ed avea un palmo ancora di superchio.

E perche da li spirti non sia offesa,

le fa d'un gran pentacolo coperchio;

e le dice che taccia e stia a mirarla:

poi scioglie il libro, e coi demoni parla.

22

Eccovi fuor de la prima spelonca,

che gente intorno al sacro cerchio ingrossa;

ma, come vuole entrar, la via l'e tronca,

come lo cinga intorno muro e fossa.

In quella stanza, ove la bella conca

in se chiudea del gran profeta l'ossa,

entravan l'ombre, poi ch'avean tre volte

fatto d'intorno lor debite volte.

23

- Se i nomi e i gesti di ciascun vo' dirti

(dicea l'incantatrice a Bradamante),

di questi ch'or per gl'incantati spirti,

prima che nati sien, ci sono avante,

non so veder quando abbia da espedirti;

che non basta una notte a cose tante:

si ch'io te ne verro scegliendo alcuno,

secondo il tempo, e che sara oportuno.

24

Vedi quel primo che ti rassimiglia

ne' bei sembianti e nel giocondo aspetto:

capo in Italia fia di tua famiglia,

del seme di Ruggiero in te concetto.

Veder del sangue di Pontier vermiglia

per mano di costui la terra aspetto,

e vendicato il tradimento e il torto

contra quei che gli avranno il padre morto.

25

Per opra di costui sara deserto

il re de' Longobardi Desiderio:

d'Este e di Calaon per questo merto

il bel dominio avra dal sommo Imperio.

Quel che gli e dietro, e il tuo nipote Uberto,

onor de l'arme e del paese esperio:

per costui contra Barbari difesa

piu d'una volta fia la santa Chiesa.

26

Vedi qui Alberto, invitto capitano

ch'ornera di trofei tanti delubri:

Ugo il figlio e con lui, che di Milano

fara l'acquisto, e spieghera i colubri.

Azzo e quell'altro, a cui restera in mano

dopo il fratello, il regno degli Insubri.

Ecco Albertazzo, il cui savio consiglio

torra d'Italia Beringario e il figlio;

27

e sara degno a cui Cesare Otone

Alda sua figlia, in matrimonio aggiunga.

Vedi un altro Ugo: oh bella successione,

che dal patrio valor non si dislunga!

Costui sara, che per giusta cagione

ai superbi Roman l'orgoglio emunga,

che 'l terzo Otone e il pontefice tolga

de le man loro, e 'l grave assedio sciolga.

28

Vedi Folco, che par ch'al suo germano,

cio che in Italia avea, tutto abbi dato,

e vada a possedere indi lontano

in mezzo agli Alamanni un gran ducato;

e dia alla casa di Sansogna mano,

che caduta sara tutta da un lato;

e per la linea de la madre, erede,

con la progenie sua la terra in piede.

29

Questo ch'or a nui viene e il secondo Azzo,

dicortesia piu che di guerre amico,

tra dui figli, Bertoldo ed Albertazzo.

Vinto da l'un sara il secondo Enrico,

e del sangue tedesco orribil guazzo

Parma vedra per tutto il campo aprico:

de l'altro la contessa gloriosa,

saggia e casta Matilde, sara sposa.

30

Virtu il fara di tal connubio degno;

ch'a quella eta non poca laude estimo

quasi di mezza Italia in dote il regno,

e la nipote aver d'Enrico primo.

Ecco di quel Bertoldo il caro pegno,

Rinaldo tuo, ch'avra l'onor opimo

d'aver la Chiesa de le man riscossa

de l'empio Federico Barbarossa.

31

Ecco un altro Azzo, ed e quel che Verona

avra in poter col suo bel tenitorio;

e sara detto marchese d'Ancona

dal quarto Otone e dal secondo Onorio.

Lungo sara s'io mostro ogni persona

del sangue tuo, ch'avra del consistorio

il confalone, e s'io narro ogni impresa

vinta da lor per la romana Chiesa.

32

Obizzo vedi e Folco, altri Azzi, altri Ughi,

ambi gli Enrichi, il figlio al padre a canto;

duo Guelfi, di quai l'uno Umbria soggiughi,

e vesta di Spoleti il ducal manto.

Ecco che 'l sangue e le gran piaghe asciughi

d'Italia afflitta, e volga in riso il pianto:

di costui parlo(e mostrolle Azzo quinto)

onde Ezellin fia rotto, preso, estinto.

33

Ezellino, immanissimo tiranno,

che fia creduto figlio del demonio,

fara, troncando i sudditi, tal danno,

e distruggendo il bel paese ausonio,

che pietosi apo lui stati saranno

Mario, Silla, Neron, Caio ed Antonio.

E Federico imperator secondo

fia per questo Azzo rotto e messo al fondo.

34

Terra costui con piu felice scettro

la bella terra che siede sul fiume,

dove chiamo con lacrimoso plettro

Febo il figliuol ch'avea mal retto il lume,

quando fu pianto il fabuloso elettro,

e Cigno si vesti di bianche piume;

e questa di mille oblighi mercede

gli donera l'Apostolica sede.

35

Dove lascio il fratel Aldrobandino?

che per dar al pontefice soccorso

contra Oton quarto e il campo ghibellino

che sara presso al Campidoglio corso,

ed avra preso ogni luogo vicino,

e posto agli Umbri e alli Piceni il morso;

ne potendo prestargli aiuto senza

molto tesor, ne chiedera a Fiorenza;

36

e non avendo gioie o miglior pegni,

per sicurta daralle il frate in mano.

Spieghera i suoi vittoriosi segni,

e rompera l'esercito germano;

in seggio riporra la Chiesa, e degni

dara supplici ai conti di Celano;

ed al servizio del sommo Pastore

finira gli anni suoi nel piu bel fiore.

37

Ed Azzo, il suo fratel, lasciera erede

del dominio d'Ancona e di Pisauro,

d'ogni citta che da Troento siede

tra il mare e l'Apennin fin all'Isauro,

e di grandezza d'animo e di fede,

e di virtu, miglior che gemme ed auro:

che dona e tolle ogn'altro ben Fortuna;

sol in virtu non ha possanza alcuna.

38

Vedi Rinaldo, in cui non minor raggio

splendera di valor, pur che nonsia

a tanta esaltazion del bel lignaggio

Morte o Fortuna invidiosa e ria.

Udirne il duol fin qui da Napoli aggio,

dove del padre allor statico fia.

Or Obizzo ne vien, che giovinetto

dopo l'avo sara principe eletto.

39

Al bel dominio accrescera costui

Reggio giocondo, e Modona feroce.

Tal sara il suo valor, che signor lui

domanderanno i populi a una voce.

Vedi Azzo sesto, un de' figliuoli sui,

confalonier de la cristiana croce:

avra il ducato d'Andria con la figlia

del secondo re Carlo di Siciglia.

40

Vedi in un bello ed amichevol groppo

de li principi illustri l'eccellenza:

Obizzo, Aldrobandin, Nicolo zoppo,

Alberto, d'amor pieno e di clemenza.

Io tacero, per non tenerti troppo,

come al bel regno aggiungeran Favenza,

e con maggior fermezza Adria, che valse

da se nomar l'indomite acque salse;

41

come la terra, il cui produr di rose

le die piacevol nome in greche voci,

e la citta ch'in mezzo alle piscose

paludi, del Po teme ambe le foci,

dove abitan le genti disiose

che 'l mar si turbi e sieno i venti atroci.

Taccio d'Argenta, di Lugo e di mille

altre castella e populose ville.

42

Ve' Nicolo, che tenero fanciullo

il popul crea signor de la sua terra,

e di Tideo fa il pensier vano e nullo,

che contra lui le civil arme afferra.

Sara di questo il pueril trastullo

sudar nel ferro e travagliarsi in guerra;

e da lo studio del tempo primiero

il fior riuscira d'ogni guerriero.

43

Fara de' suoi ribelli uscire a voto

ogni disegno, e lor tornare in danno;

ed ogni stratagema avra si noto,

che sara duro il poter fargli inganno.

Tardi di questo s'avedra il terzo Oto,

e di Reggio e di Parma aspro tiranno,

che da costui spogliato a un tempo fia

e del dominio e de la vita ria.

44

Avra il bel regno poi sempre augumento

senza torcer mai pie dal camin dritto;

ne ad alcuno fara mai nocumento,

da cui prima non sia d'ingiuria afflitto:

ed e per questo il gran Motor contento

che non gli sia alcun termine prescritto:

ma duri prosperando in meglio sempre,

fin che si volga il ciel ne le sue tempre.

45

Vedi Leonello, e vedi il primo duce,

fama de la sua eta, l'inclito Borso,

che siede in pace, e piu trionfo adduce

di quanti in altrui terre abbino corso.

Chiudera Marte ove non veggia luce,

e stringera al Furor le mani al dorso.

Di questo signor splendido ogni intento

sara che 'l popul suo viva contento.

46

Ercole or vien, ch'al suo vicin rinfaccia,

col pie mezzo arso e con quei debol passi,

come a Budrio col petto e con la faccia

il campo volto in fuga gli fermassi;

non perche in premio poi guerra gli faccia,

ne, per cacciarlo, fin nel Barco passi.

Questo e il signor, di cuinon so esplicarme

se fia maggior la gloria o in pace o in arme.

47

Terran Pugliesi, Calabri e Lucani

de' gesti di costui lunga memoria,

la dove avra dal Re de' Catalani

di pugna singular la prima gloria;

e nome tra gl'invitti capitani

s'acquistera con piu d'una vittoria:

avra per sua virtu la signoria,

piu di trenta anni a lui debita pria.

48

E quanto piu aver obligo si possa

a principe, sua terra avra a costui;

non perche fia de le paludi mossa

tra campi fertilissimi da lui;

non perche la fara con muro e fossa

meglio capace a' cittadini sui,

e l'ornara di templi e di palagi,

di piazze, di teatri e di mille agi;

49

non perche dagli artigli de l'audace

aligero Leon terra difesa;

non perche, quando la gallica face

per tutto avra la bella Italia accesa,

si stara sola col suo stato in pace,

e dal timore e dai tributi illesa:

non si per questi ed altri benefici

saran sue genti ad Ercol debitrici:

50

quanto che dara lor l'inclita prole,

il giusto Alfonso e Ippolito benigno,

che saran quai l'antiqua fama suole

narrar de' figli del Tindareo cigno,

ch'alternamente si privan del sole

per trar l'un l'altro de l'aer maligno.

Sara ciascuno d'essi e pronto e forte

l'altro salvar con sua perpetua morte.

51

Il grande amor di questa bella coppia

rendera il popul suo via piu sicuro,

che se, per opra di Vulcan, di doppia

cinta di ferro avesse intorno il muro.

Alfonso e quel che col saper accoppia

si la bonta, ch'al secolo futuro

la gente credera che sia dal cielo

tornata Astrea dove puo il caldo e il gielo.

52

A grande uopo gli fia l'esser prudente,

e di valore assimigliarsi al padre;

che si ritrovera, con poca gente,

da un lato aver le veneziane squadre,

colei dall'altro, che piu giustamente

non so se devra dir matrigna o madre;

ma se per madre, a lui poco piu pia,

che Medea ai figli o Progne stata sia.

53

E quante volte uscira giorno o notte

col suo popul fedel fuor de la terra,

tante sconfitte e memorabil rotte

dara a' nimici o per acqua o per terra.

Le genti di Romagna mal condotte,

contra i vicini e lor gia amici, in guerra,

se n'avedranno, insanguinando il suolo

che serra il Po, Santerno e Zanniolo.

54

Nei medesmi confini anco saprallo

del gran Pastore il mercenario Ispano,

che gli avra dopo con poco intervallo

la Bastia tolta, e morto il castellano,

quando l'avra gia preso; e per tal fallo

non fia, dal minor fante al capitano,

che del racquisto e del presidio ucciso

a Roma riportar possa l'aviso.

55

Costui sara, col senno e con la lancia,

ch'avra l'onor, nei campi di Romagna,

d'aver dato all'esercito di Francia

la gran vittoria contra Iulio e Spagna.

Nuoteranno i destrier fin alla pancia

nelsangue uman per tutta la campagna;

ch'a sepelire il popul verra manco

tedesco, ispano, greco, italo, e franco.

56

Quel ch'in pontificale abito imprime

del purpureo capel la sacra chioma,

e il liberal, magnanimo, sublime,

gran cardinal de la Chiesa di Roma

Ippolito, ch'a prose, a versi, a rime

dara materia eterna in ogni idioma;

la cui fiorita eta vuole il ciel iusto

ch'abbia un Maron, come un altro ebbe Augusto.

57

Adornera la sua progenie bella,

come orna il sol la machina del mondo

molto piu de la luna e d'ogni stella;

ch'ogn'altro lume a lui sempre e secondo.

Costui con pochi a piedi e meno in sella

veggio uscir mesto, e poi tornar iocondo;

che quindici galee mena captive,

oltra mill'altri legni alle sue rive.

58

Vedi poi l'uno e l'altro Sigismondo.

Vedi d'Alfonso i cinque figli cari,

alla cui fama ostar, che di se il mondo

non empia, i monti non potran ne i mari:

gener del re di Francia, Ercol secondo

e l'un; quest'altro(accio tutti gl'impari)

Ippolito e, che non con minor raggio

che 'l zio, risplendera nel suo lignaggio;

59

Francesco, il terzo; Alfonsi gli altri dui

ambi son detti. Or, come io dissi prima,

s'ho da mostrarti ogni tuo ramo, il cui

valor la stirpe sua tanto sublima,

bisognera che si rischiari e abbui

piu volte prima il ciel, ch'io te li esprima:

e sara tempo ormai, quando ti piaccia,

ch'io dia licenza all'ombre e ch'io mi taccia. -

60

Cosi con volunta de la donzella

la dotta incantatrice il libro chiuse.

Tutti gli spirti allora ne la cella

spariro in fretta, ove eran l'ossa chiuse.

Qui Bradamante, poi che la favella

le fu concessa usar, la bocca schiuse,

e domando: - Chi son li dua si tristi,

che tra Ippolito e Alfonso abbiamo visti?

61

Veniano sospirando, e gli occhi bassi

parean tener d'ogni baldanza privi;

e gir lontan da loro io vedea i passi

dei frati si, che ne pareano schivi. -

Parve ch'a tal domanda si cangiassi

la maga in viso, e fe' degli occhi rivi,

e grido: - Ah sfortunati, a quanta pena

lungo istigar d'uomini rei vi mena!

62

O bona prole, o degna d'Ercol buono,

non vinca il lor fallir vostra bontade:

di vostro sangue i miseri pur sono;

qui ceda la iustizia alla pietade. -

Indi soggiunse con piu basso suono:

- Di cio dirti piu inanzi non accade.

Statti col dolce in bocca; e non ti doglia

ch'amareggiare al fin non te la voglia.

63

Tosto che spunti in ciel la prima luce,

piglierai meco la piu dritta via

ch'al lucente castel d'acciai' conduce,

dove Ruggier vive in altrui balia.

Io tanto ti saro compagna e duce,

che tu sia fuor de l'aspra selva ria:

t'insegnero, poi che saren sul mare,

siben la via, che non potresti errare. -

64

Quivi l'audace giovane rimase

tutta la notte, e gran pezzo ne spese

a parlar con Merlin, che le suase

rendersi tosto al suo Ruggier cortese.

Lascio di poi le sotterranee case,

che di nuovo splendor l'aria s'accese,

per un camin gran spazio oscuro e cieco,

avendo la spirtal femmina seco.

65

E riusciro in un burrone ascoso

tra monti inaccessibili alle genti;

e tutto 'l di senza pigliar riposo

saliron balze e traversar torrenti.

E perche men l'andar fosse noioso,

di piacevoli e bei ragionamenti,

di quel che fu piu conferir soave,

l'aspro camin facean parer men grave:

66

di quali era pero la maggior parte,

ch'a Bradamante vien la dotta maga

mostrando con che astuzia e con qual arte

proceder de', se di Ruggiero e vaga.

- Se tu fossi(dicea) Pallade o Marte,

e conducessi gente alla tua paga

piu che non ha il re Carlo e il re Agramante,

non dureresti contra il negromante;

67

che oltre che d'acciar murata sia

la rocca inespugnabile, e tant'alta;

oltre che 'l suo destrier si faccia via

per mezzo l'aria, ove galoppa e salta;

ha lo scudo mortal, che come pria

si scopre, il suo splendor si gli occhi assalta,

la vista tolle, e tanto occupa i sensi,

che come morto rimaner conviensi.

68

E se forse ti pensi che ti vaglia

combattendo tener serrati gli occhi,

come potrai saper ne la battaglia

quando ti schivi, o l'avversario tocchi?

Ma per fuggire il lume ch'abbarbaglia,

e gli altri incanti di colui far sciocchi,

ti mostrero un rimedio, una via presta;

ne altra in tutto 'l mondo e se non questa.

69

Il re Agramante d'Africa uno annello,

che fu rubato in India a una regina,

ha dato a un suo baron detto Brunello,

che poche miglia inanzi ne camina;

di tal virtu, che chi nel dito ha quello,

contra il mal degl'incanti ha medicina.

Sa de furti e d'inganni Brunel, quanto

colui, che tien Ruggier, sappia d'incanto.

70

Questo Brunel si pratico e si astuto,

come io ti dico, e dal suo re mandato

accio che col suo ingegno e con l'aiuto

di questo annello, in tal cose provato,

di quella rocca dove e ritenuto,

traggia Ruggier, che cosi s'e vantato,

ed ha cosi promesso al suo signore,

a cui Ruggiero e piu d'ogn'altro a core.

71

Ma perche il tuo Ruggiero a te sol abbia,

e non al re Agramante, ad obligarsi

che tratto sia de l'incantata gabbia,

t'insegnero il rimedio che de' usarsi.

Tu te n'andrai tre di lungo la sabbia

del mar, ch'e oramai presso a dimostrarsi;

il terzo giorno in un albergo teco

arrivera costui c'ha l'annel seco.

72

La sua statura, accio tu lo conosca,

non e sei palmi, ed ha il capo ricciuto;

le chiome ha nere, ed hala pelle fosca;

pallido il viso, oltre il dover barbuto;

gli occhi gonfiati e guardatura losca;

schiacciato il naso, e ne le ciglia irsuto:

l'abito, accio ch'io lo dipinga intero,

e stretto e corto, e sembra di corriero.

73

Con esso lui t'accadera soggetto

di ragionar di quell'incanti strani:

mostra d'aver, come tu avra' in effetto,

disio che 'l mago sia teco alle mani;

ma non mostrar che ti sia stato detto

di quel suo annel che fa gl'incanti vani.

Egli t'offerira mostrar la via

fin alla rocca e farti compagnia.

74

Tu gli va dietro: e come t'avicini

a quella rocca si ch'ella si scopra,

dagli la morte; ne pieta t'inchini

che tu non metta il mio consiglio in opra.

Ne far ch'egli il pensier tuo s'indovini,

e ch'abbia tempo che l'annel lo copra;

perche ti spariria dagli occhi, tosto

ch'in bocca il sacro annel s'avesse posto. -

75

Cosi parlando, giunsero sul mare,

dove presso a Bordea mette Garonna.

Quivi, non senza alquanto lagrimare,

si diparti l'una da l'altra donna.

La figliuola d'Amon, che per slegare

di prigione il suo amante non assonna,

camino tanto, che venne una sera

ad uno albergo, ove Brunel prim'era.

76

Conosce ella Brunel come lo vede,

di cui la forma avea sculpita in mente:

onde ne viene, ove ne va, gli chiede;

quel le risponde, e d'ogni cosa mente.

La donna, gia prevista, non gli cede

in dir menzogne, e simula ugualmente

e patria e stirpe e setta e nome e sesso;

e gli volta alle man pur gli occhi spesso.

77

Gli va gli occhi alle man spesso voltando,

in dubbio sempre esser da lui rubata;

ne lo lascia venir troppo accostando,

di sua condizion bene informata.

Stavano insieme in questa guisa, quando

l'orecchia da un rumor lor fu intruonata.

Poi vi diro, Signor, che ne fu causa,

ch'avro fatto al cantar debita pausa.

CANTO QUINTO

1

Tutti gli altri animai che sono in terra,

o che vivon quieti e stanno in pace,

o se vengono a rissa e si fan guerra,

alla femina il maschio non la face:

l'orsa con l'orso al bosco sicura erra,

la leonessa appresso il leon giace;

col lupo vive la lupa sicura,

ne la iuvenca ha del torel paura.

2

Ch'abominevol peste, che Megera

e venuta a turbar gli umani petti?

che si sente il marito e la mogliera

sempre garrir d'ingiuriosi detti,

stracciar la faccia e far livida e nera,

bagnar di pianto i geniali letti;

e non di pianto sol, ma alcuna volta

di sangue gli ha bagnati l'ira stolta.

3

Parmi non sol gran mal, ma che l'uom faccia

contra natura e sia di Dio ribello,

che s'induce a percuotere la faccia

di bella donna, o romperle un capello:

ma chi le da veneno, o chi le caccia

l'alma del corpo con laccio o coltello,

ch'uomo sia quel non credero in eterno,

ma in vista umana uno spirto de l'inferno.

4

Cotali esser doveano i duo ladroni

che Rinaldo caccio da la donzella,

da lor condotta in quei scuri valloni

perche non se n'udisse piu novella.

Io lasciai ch'ella render le cagioni

s'apparechiava di sua sorte fella

al paladin, che le fu buono amico:

or, seguendo l'istoria, cosi dico.

5

La donna incomincio: - Tu intenderai

la maggior crudeltade e la piu espressa,

ch'in Tebe e in Argo o ch'in Micene mai,

o in loco piu crudel fosse commessa.

E se rotando il sole i chiari rai,

qui men ch'all'altre region s'appressa,

credo ch'a noi malvolentieri arrivi,

perche veder si crudel gente schivi.

6

Ch'agli nemici gli uomini sien crudi,

in ogni eta se n'e veduto esempio;

madar la morte a chi procuri e studi

il tuo ben sempre, e troppo ingiusto ed empio.

E accio che meglio il vero io ti denudi,

perche costor volessero far scempio

degli anni verdi miei contra ragione,

ti diro da principio ogni cagione.

7

Voglio che sappi, signor mio, ch'essendo

tenera ancora, alli servigi venni

de la figlia del re, con cui crescendo,

buon luogo in corte ed onorato tenni.

Crudele Amore, al mio stato invidendo,

fe' che seguace, ahi lassa! gli divenni:

fe' d'ogni cavallier, d'ogni donzello

parermi il duca d'Albania piu bello.

8

Perche egli mostro amarmi piu che molto,

io ad amar lui con tutto il cor mi mossi.

Ben s'ode il ragionar, si vede il volto,

ma dentro il petto mal giudicar possi.

Credendo, amando, non cessai che tolto

l'ebbi nel letto, e non guardai ch'io fossi

di tutte le real camere in quella

che piu secreta avea Ginevra bella;

9

dove tenea le sue cose piu care,

e dove le piu volte ella dormia.

Si puo di quella in s'un verrone entrare,

che fuor del muro al discoperto uscia.

Io facea il mio amator quivi montare;

e la scala di corde onde salia

io stessa dal verron giu gli mandai

qual volta meco aver lo desiai:

10

che tante volte ve lo fei venire,

quante Ginevra me ne diede l'agio,

che solea mutar letto, or per fuggire

il tempo ardente, or il brumal malvagio.

Non fu veduto d'alcun mai salire;

pero che quella parte del palagio

risponde verso alcune case rotte,

dove nessun mai passa o giorno o notte.

11

Continuo per molti giorni e mesi

tra noi secreto l'amoroso gioco:

sempre crebbe l'amore; e si m'accesi,

che tutta dentro io mi sentia di foco:

e cieca ne fui si, ch'io non compresi

ch'egli fingeva molto, e amava poco;

ancor che li suo' inganni discoperti

esser doveanmi a mille segni certi.

12

Dopo alcun di si mostro nuovo amante

de la bella Ginevra. Io non so appunto

s'allora cominciasse, o pur inante

de l'amor mio, n'avesse il cor gia punto.

Vedi s'in me venuto era arrogante,

s'imperio nel mio cor s'aveva assunto;

che mi scoperse, e non ebbe rossore

chiedermi aiuto in questo nuovo amore.

13

Ben mi dicea ch'uguale al mio non era,

ne vero amor quel ch'egli avea a costei;

ma simulando esserne acceso, spera

celebrarne i legitimi imenei.

Dal re ottenerla fia cosa leggiera,

qualor vi sia la volonta di lei;

che di sangue e di stato in tutto il regno

non era, dopo il re, di lu' il piu degno.

14

Mi persuade, se per opra mia

potesse al suo signor genero farsi

(che veder posso che se n'alzeria

a quanto presso al re possa uomo alzarsi),

che me n'avria buon merto, e non saria

mai tanto beneficio per scordarsi;

e ch'alla moglie e ch'ad ogni altroinante

mi porrebbe egli in sempre essermi amante.

15

Io, ch'era tutta a satisfargli intenta,

ne seppi o volsi contradirgli mai,

e sol quei giorni io mi vidi contenta,

ch'averlo compiaciuto mi trovai;

piglio l'occasion che s'appresenta

di parlar d'esso e di lodarlo assai;

ed ogni industria adopro, ogni fatica,

per far del mio amator Ginevra amica.

16

Feci col core e con l'effetto tutto

quel che far si poteva, e sallo Idio;

ne con Ginevra mai potei far frutto,

ch'io le ponessi in grazia il duca mio:

e questo, che ad amar ella avea indutto

tutto il pensiero e tutto il suo disio

un gentil cavallier, bello e cortese,

venuto in Scozia di lontan paese;

17

che con un suo fratel ben giovinetto

venne d'Italia a stare in questa corte;

si fe' ne l'arme poi tanto perfetto,

che la Bretagna non avea il piu forte.

Il re l'amava, e ne mostro l'effetto;

che gli dono di non picciola sorte

castella e ville e iurisdizioni,

e lo fe' grande al par dei gran baroni.

18

Grato era al re, piu grato era alla figlia

quel cavallier chiamato Ariodante,

per esser valoroso a maraviglia;

ma piu, ch'ella sapea che l'era amante.

Ne Vesuvio, ne il monte di Siciglia,

ne Troia avampo mai di fiamme tante,

quanto ella conoscea che per suo amore

Ariodante ardea per tutto il core.

19

L'amar che dunque ella facea colui

con cor sincero e con perfetta fede,

fe' che pel duca male udita fui;

ne mai risposta da sperar mi diede:

anzi quanto io pregava piu per lui

e gli studiava d'impetrar mercede,

ella, biasmandol sempre e dispregiando,

se gli venia piu sempre inimicando.

20

Io confortai l'amator mio sovente,

che volesse lasciar la vana impresa;

ne si sperasse mai volger la mente

di costei, troppo ad altro amore intesa:

e gli feci conoscer chiaramente,

come era si d'Ariodante accesa,

che quanta acqua e nel mar, piccola dramma

non spegneria de la sua immensa fiamma.

21

Questo da me piu volte Polinesso

(che cosi nome ha il duca) avendo udito,

e ben compreso e visto per se stesso

che molto male era il suo amor gradito;

non pur di tanto amor si fu rimesso,

ma di vedersi un altro preferito,

come superbo, cosi mal sofferse,

che tutto in ira e in odio si converse.

22

E tra Ginevra e l'amator suo pensa

tanta discordia e tanta lite porre,

e farvi inimicizia cosi intensa,

che mai piu non si possino comporre;

e por Ginevra in ignominia immensa,

donde non s'abbia o viva o morta a torre:

ne de l'iniquo suo disegno meco

volse o con altri ragionar, che seco.

23

Fatto il pensier: - Dalinda mia, - mi dice

(che cosi son nomata) - saper dei,

che come suol tornar da la radice

arbor che tronchi e quattro volte e sei;

cosi la pertinacia mia infelice,

benche sia tronca dai successi rei,

di germogliar non resta; che venire

pur vorria a fin di questo suo desire.

24

E non lo bramo tanto per diletto,

quanto perche vorrei vincer la pruova;

e non possendo farlo con effetto,

s'io lo fo imaginando, anco mi giuova.

Voglio, qual volta tu mi dai ricetto,

quando allora Ginevra si ritruova

nuda nel letto, che pigli ogni vesta

ch'ella posta abbia, e tutta te ne vesta.

25

Come ella s'orna e come il crin dispone

studia imitarla, e cerca il piu che sai

di parer dessa, e poi sopra il verrone

a mandar giu la scala ne verrai.

Io verro a te con imaginazione

che quella sii, di cui tu i panni avrai:

e cosi spero, me stesso ingannando,

venir in breve il mio desir sciemando. -

26

Cosi disse egli. Io che divisa e sevra

e lungi era da me, non posi mente

che questo in che pregando egli persevra,

era una fraude pur troppo evidente;

e dal verron, coi panni di Ginevra,

mandai la scala onde sali sovente;

e non m'accorsi prima de l'inganno,

che n'era gia tutto accaduto il danno.

27

Fatto in quel tempo con Ariodante

il duca avea queste parole o tali

(che grandi amici erano stati inante

che per Ginevra si fesson rivali):

- Mi maraviglio(incomincio il mio amante)

ch'avendoti io fra tutti li mie' uguali

sempre avuto in rispetto e sempre amato,

ch'io sia da te si mal rimunerato.

28

Io son ben certo che comprendi e sai

di Ginevra e di me l'antiquo amore;

e per sposa legittima oggimai

per impetrarla son dal mio signore.

Perche mi turbi tu? perche pur vai

senza frutto in costei ponendo il core?

Io ben a te rispetto avrei, per Dio,

s'io nel tuo grado fossi, e tu nel mio. -

29

- Ed io(rispose Ariodante a lui)

di te mi maraviglio maggiormente;

che di lei prima inamorato fui,

che tu l'avessi vista solamente:

e so che sai quanto e l'amor tra nui,

ch'esser non puo di quel che sia, piu ardente;

e sol d'essermi moglie intende e brama:

e so che certo sai ch'ella non t'ama.

30

Perche non hai tu dunque a me il rispetto

per l'amicizia nostra, che domande

ch'a te aver debba, e ch'io t'avre' in effetto,

se tu fossi con lei di me piu grande?

Ne men di te per moglie averla aspetto,

se ben tu sei piu ricco in queste bande:

io non son meno al re, che tu sia, grato,

ma piu di te da la sua figlia amato. -

31

- Oh(disse il duca a lui), grande e cotesto

errore a che t'ha il folle amor condutto!

Tu credi esser piu amato; io credo questo

medesmo: ma si puoveder al frutto.

Tu fammi cio ch'hai seco, manifesto,

ed io il secreto mio t'apriro tutto;

e quel di noi che manco aver si veggia,

ceda a chi vince, e d'altro si provveggia.

32

E saro pronto, se tu vuoi ch'io giuri

di non dir cosa mai che mi riveli:

cosi voglio ch'ancor tu m'assicuri

che quel ch'io ti diro, sempre mi celi. -

Venner dunque d'accordo alli scongiuri,

e poser le man sugli Evangeli:

e poi che di tacer fede si diero,

Ariodante incomincio primiero.

33

E disse per lo giusto e per lo dritto

come tra se e Ginevra era la cosa;

ch'ella gli avea giurato e a bocca e in scritto,

che mai non saria ad altri, ch'a lui, sposa;

e se dal re le venia contraditto,

gli promettea di sempre esser ritrosa

da tutti gli altri maritaggi poi,

e viver sola in tutti i giorni suoi:

34

e ch'esso era in speranza pel valore

ch'avea mostrato in arme a piu d'un segno,

ed era per mostrare a laude, a onore,

a beneficio del re e del suo regno,

di crescer tanto in grazia al suo signore,

che sarebbe da lui stimato degno

che la figliuola sua per moglie avesse,

poi che piacer a lei cosi intendesse.

35

Poi disse: - A questo termine son io,

ne credo gia ch'alcun mi venga appresso:

ne cerco piu di questo, ne desio

de l'amor d'essa aver segno piu espresso;

ne piu vorrei, se non quanto da Dio

per connubio legitimo e concesso:

e saria invano il domandar piu inanzi;

che di bonta so come ogn'altra avanzi. -

36

Poi ch'ebbe il vero Ariodante esposto

de la merce ch'aspetta a sua fatica,

Polinesso, che gia s'avea proposto

di far Ginevra al suo amator nemica,

comincio: - Sei da me molto discosto,

e vo' che di tua bocca anco tu 'l dica;

e del mio ben veduta la radice,

che confessi me solo esser felice.

37

Finge ella teco, ne t'ama ne prezza;

che ti pasce di speme e di parole:

oltra questo, il tuo amor sempre a sciochezza,

quando meco ragiona, imputar suole.

Io ben d'esserle caro altra certezza

veduta n'ho, che di promesse e fole;

e tel diro sotto la fe in secreto,

ben che farei piu il debito a star cheto.

38

Non passa mese, che tre, quattro e sei

e talor diece notti io non mi truovi

nudo abbracciato in quel piacer con lei,

ch'all'amoroso ardor par che si giovi:

si che tu puoi veder s'a' piacer miei

son d'aguagliar le ciance che tu pruovi.

Cedimi dunque e d'altro ti provedi,

poi che si inferior di me ti vedi. -

39

- Non ti vo' creder questo(gli rispose

Ariodante), e certo so che menti;

e composto fra te t'hai queste cose,

accioche da l'impresa io mi spaventi:

ma perche a lei son troppo ingiuriose,

questo c'hai detto sostener convienti;

che non bugiardo sol, ma voglio ancora

che tu sei traditor mostrarti or ora. -

40

Soggiunse il duca: - Non sarebbe onesto

che noi volessen la battaglia torre

di quel che t'offerisco manifesto,

quando ti piaccia, inanzi agli occhi porre. -

Resta smarrito Ariodante a questo,

e per l'ossa un tremor freddo gli scorre;

e se creduto ben gli avesse a pieno,

venia sua vita allora allora meno.

41

Con cor trafitto e con pallida faccia,

e con voce tremante e bocca amara

rispose: - Quando sia che tu mi faccia

veder quest'aventura tua si rara,

prometto di costei lasciar la traccia,

a te si liberale, a me si avara:

ma ch'io tel voglia creder non far stima,

s'io non lo veggio con questi occhi prima. -

42

- Quando ne sara il tempo, avisarotti, -

soggiunse Polinesso, e dipartisse.

Non credo che passar piu di due notti,

ch'ordine fu che 'l duca a me venisse.

Per scoccar dunque i lacci che condotti

avea si cheti, ando al rivale, e disse

che s'ascondesse la notte seguente

tra quelle case ove non sta mai gente:

43

e dimostrogli un luogo a dirimpetto

di quel verrone ove solea salire.

Ariodante avea preso sospetto

che lo cercasse far quivi venire,

come in un luogo dove avesse eletto

di por gli aguati, e farvelo morire,

sotto questa finzion, che vuol mostrargli

quel di Ginevra, ch'impossibil pargli.

44

Di volervi venir prese partito,

ma in guisa che di lui non sia men forte;

perche accadendo che fosse assalito,

si truovi si, che non tema di morte.

Un suo fratello avea saggio ed ardito,

il piu famoso in arme de la corte,

detto Lurcanio; e avea piu cor con esso,

che se dieci altri avesse avuto appresso.

45

Seco chiamollo, e volse che prendesse

l'arme; e la notte lo meno con lui:

non che 'l secreto suo gia gli dicesse;

ne l'avria detto ad esso, ne ad altrui.

Da se lontano un trar di pietra il messe:

- Se mi senti chiamar, vien(disse) a nui;

ma se non senti, prima ch'io ti chiami,

non ti partir di qui, frate, se m'ami. -

46

- Va pur, non dubitar, - disse il fratello:

e cosi venne Ariodante cheto,

e si celo nel solitario ostello

ch'era d'incontro al mio verron secreto.

Vien d'altra parte il fraudolente e fello,

che d'infamar Ginevra era si lieto;

e fa il segno, tra noi solito inante,

a me che de l'inganno era ignorante.

47

Ed io con veste candida, e fregiata

per mezzo a liste d'oro e d'ogn'intorno,

e con rete pur d'or, tutta adombrata

di bei fiocchi vermigli al capo intorno

(foggia chesol fu da Ginevra usata,

non d'alcun'altra), udito il segno, torno

sopra il verron, ch'in modo era locato,

che mi scopria dinanzi e d'ogni lato.

48

Lurcanio in questo mezzo dubitando

che 'l fratello a pericolo non vada,

o come e pur commun disio, cercando

di spiar sempre cio che ad altri accada;

l'era pian pian venuto seguitando,

tenendo l'ombre e la piu oscura strada:

e a men di dieci passi a lui discosto,

nel medesimo ostel s'era riposto.

49

Non sappiendo io di questo cosa alcuna,

venni al verron ne l'abito c'ho detto,

si come gia venuta era piu d'una

e piu di due fiate a buono effetto.

Le veste si vedean chiare alla luna;

ne dissimile essendo anch'io d'aspetto

ne di persona da Ginevra molto,

fece parere un per un altro il volto:

50

e tanto piu, ch'era gran spazio in mezzo

fra dove io venni a quelle inculte case

ai dui fratelli, che stavano al rezzo,

il duca agevolmente persuase

quel ch'era falso. Or pensa in che ribrezzo

Ariodante, in che dolor rimase.

Vien Polinesso, e alla scala s'appoggia

che giu manda'gli, e monta in su la loggia.

51

A prima giunta io gli getto le braccia

al collo, ch'io non penso esser veduta;

lo bacio in bocca e per tutta la faccia,

come far soglio ad ogni sua venuta.

Egli piu de l'usato si procaccia

d'accarezzarmi, e la sua fraude aiuta.

Quell'altro al rio spettacolo condutto,

misero sta lontano, e vede il tutto.

52

Cade in tanto dolor, che si dispone

allora allora di voler morire:

e il pome de la spada in terra pone,

che su la punta si volea ferire.

Lurcanio che con grande ammirazione

avea veduto il duca a me salire,

ma non gia conosciuto chi si fosse,

scorgendo l'atto del fratel, si mosse;

53

e gli vieto che con la propria mano

non si passasse in quel furore il petto.

S'era piu tardo o poco piu lontano,

non giugnea a tempo, e non faceva effetto.

- Ah misero fratel, fratello insano

(grido), perc'hai perduto l'intelletto,

ch'una femina a morte trar ti debbia?

ch'ir possan tutte come al vento nebbia!

54

Cerca far morir lei, che morir merta,

e serva a piu tuo onor tu la tua morte.

Fu d'amar lei, quando non t'era aperta

la fraude sua: or e da odiar ben forte,

poi che con gli occhi tuoi tu vedi certa,

quanto sia meretrice, e di che sorte.

Serbi quest'arme che volti in te stesso,

a far dinanzi al re tal fallo espresso. -

55

Quando si vede Ariodante giunto

sopra il fratel, la dura impresa lascia;

ma la sua intenzion da quel ch'assunto

avea gia di morir, poco s'accascia.

Quindi si leva, e porta non che punto,

ma trapassato il cor d'estrema ambascia;

pur finge col fratel, che quel furore

non abbiapiu, che dianzi avea nel core.

56

Il seguente matin, senza far motto

al suo fratello o ad altri, in via si messe

da la mortal disperazion condotto;

ne di lui per piu di fu chi sapesse.

Fuor che 'l duca e il fratello, ogn'altro indotto

era chi mosso al dipartir l'avesse.

Ne la casa del re di lui diversi

ragionamenti e in tutta Scozia fersi.

57

In capo d'otto o di piu giorni in corte

venne inanzi a Ginevra un viandante,

e novelle arreco di mala sorte:

che s'era in mar summerso Ariodante

di volontaria sua libera morte,

non per colpa di borea o di levante.

D'un sasso che sul mar sporgea molt'alto

avea col capo in giu preso un gran salto.

58

Colui dicea: - Pria che venisse a questo,

a me che a caso riscontro per via,

disse: - Vien meco, accio che manifesto

per te a Ginevra il mio successo sia;

e dille poi, che la cagion del resto

che tu vedrai di me, ch'or ora fia,

e stato sol perc'ho troppo veduto:

felice, se senza occhi io fussi suto! -

59

Eramo a caso sopra Capobasso,

che verso Irlanda alquanto sporge in mare.

Cosi dicendo, di cima d'un sasso

lo vidi a capo in giu sott'acqua andare.

Io lo lasciai nel mare, ed a gran passo

ti son venuto la nuova a portare. -

Ginevra, sbigottita e in viso smorta,

rimase a quello annunzio mezza morta.

60

Oh Dio, che disse e fece, poi che sola

si ritrovo nel suo fidato letto!

percosse il seno, e si straccio la stola,

e fece all'aureo crin danno e dispetto;

ripetendo sovente la parola

ch'Ariodante avea in estremo detto:

che la cagion del suo caso empio e tristo

tutta venia per aver troppo visto.

61

Il rumor scorse di costui per tutto,

che per dolor s'avea dato la morte.

Di questo il re non tenne il viso asciutto,

ne cavallier ne donna de la corte.

Di tutti il suo fratel mostro piu lutto;

e si sommerse nel dolor si forte,

ch'ad esempio di lui, contra se stesso

volto quasi la man per irgli appresso.

62

E molte volte ripetendo seco,

che fu Ginevra che 'l fratel gli estinse,

e che non fu se non quell'atto bieco

che di lei vide, ch'a morir lo spinse;

di voler vendicarsene si cieco

venne, e si l'ira e si il dolor lo vinse,

che di perder la grazia vilipese,

ed aver l'odio del re e del paese.

63

E inanzi al re, quando era piu di gente

la sala piena, se ne venne, e disse:

- Sappi, signor, che di levar la mente

al mio fratel, si ch'a morir ne gisse,

stata e la figlia tua sola nocente;

ch'a lui tanto dolor l'alma trafisse

d'aver veduta lei pocopudica,

che piu che vita ebbe la morte amica.

64

Erane amante, e perche le sue voglie

disoneste non fur, nol vo' coprire:

per virtu meritarla aver per moglie

da te sperava e per fedel servire;

ma mentre il lasso ad odorar le foglie

stava lontano, altrui vide salire,

salir su l'arbor riserbato, e tutto

essergli tolto il disiato frutto. -

65

E seguito, come egli avea veduto

venir Ginevra sul verrone, e come

mando la scala, onde era a lei venuto

un drudo suo, di chi egli non sa il nome,

che s'avea, per non esser conosciuto,

cambiati i panni e nascose le chiome.

Soggiunse che con l'arme egli volea

provar tutto esser ver cio che dicea.

66

Tu puoi pensar se 'l padre addolorato

riman, quando accusar sente la figlia;

si perche ode di lei quel che pensato

mai non avrebbe, e n'ha gran maraviglia;

si perche sa che fia necessitato

(se la difesa alcun guerrier non piglia,

il qual Lurcanio possa far mentire)

di condannarla e di farla morire.

67

Io non credo, signor, che ti sia nuova

la legge nostra che condanna a morte

ogni donna e donzella, che si pruova

di se far copia altrui ch'al suo consorte.

Morta ne vien, s'in un mese non truova

in sua difesa un cavallier si forte,

che contra il falso accusator sostegna

che sia innocente e di morire indegna.

68

Ha fatto il re bandir, per liberarla

(che pur gli par ch'a torto sia accusata),

che vuol per moglie e con gran dote darla

a chi torra l'infamia che l'e data.

Chi per lei comparisca non si parla

guerriero ancora, anzi l'un l'altro guata;

che quel Lurcanio in arme e cosi fiero,

che par che di lui tema ogni guerriero.

69

Atteso ha l'empia sorte, che Zerbino,

fratel di lei, nel regno non si truove;

che va gia molti mesi peregrino,

mostrando di se in arme inclite pruove:

che quando si trovasse piu vicino

quel cavallier gagliardo, o in luogo dove

potesse avere a tempo la novella,

non mancheria d'aiuto alla sorella.

70

Il re, ch'intanto cerca di sapere

per altra pruova, che per arme, ancora,

se sono queste accuse o false o vere,

se dritto o torto e che sua figlia mora;

ha fatto prender certe cameriere

che lo dovrian saper, se vero fora:

ond'io previdi, che se presa era io,

troppo periglio era del duca e mio.

71

E la notte medesima mi trassi

fuor de la corte, e al duca mi condussi;

e gli feci veder quanto importassi

al capo d'amendua, se presa io fussi.

Lodommi, e disse ch'io non dubitassi:

a' suoi conforti poi venir m'indussi

ad una sua fortezza ch'e qui presso,

in compagnia di dui che mi diede esso.

72

Hai sentito, signor, con quanti effetti

de l'amor mio fei Polinesso certo;

e s'era debitor pertai rispetti

d'avermi cara o no, tu 'l vedi aperto.

Or senti il guidardon che io ricevetti,

vedi la gran merce del mio gran merto;

vedi se deve, per amare assai,

donna sperar d'essere amata mai:

73

che questo ingrato, perfido e crudele,

de la mia fede ha preso dubbio al fine:

venuto e in sospizion ch'io non rivele

a lungo andar le fraudi sue volpine.

Ha finto, accio che m'allontane e cele

fin che l'ira e il furor del re decline,

voler mandarmi ad un suo luogo forte;

e mi volea mandar dritto alla morte:

74

che di secreto ha commesso alla guida,

che come m'abbia in queste selve tratta,

per degno premio di mia fe m'uccida.

Cosi l'intenzion gli venia fatta,

se tu non eri appresso alle mia grida.

Ve' come Amor ben chi lui segue, tratta! -

Cosi narro Dalinda al paladino

seguendo tuttavolta il lor camino.

75

A cui fu sopra ogn'aventura, grata

questa, d'aver trovata la donzella

che gli avea tutta l'istoria narrata

de l'innocenza di Ginevra bella.

E se sperato avea, quando accusata

ancor fosse a ragion, d'aiutar quella,

via con maggior baldanza or viene in prova,

poi che evidente la calunnia truova.

76

E verso la citta di Santo Andrea,

dove era il re con tutta la famiglia,

e la battaglia singular dovea

esser de la querela de la figlia,

ando Rinaldo quanto andar potea,

fin che vicino giunse a poche miglia;

alla citta vicino giunse, dove

trovo un scudier ch'avea piu fresche nuove:

77

ch'un cavallier istrano era venuto,

ch'a difender Ginevra s'avea tolto,

con non usate insegne, e sconosciuto,

pero che sempre ascoso andava molto;

e che dopo che v'era, ancor veduto

non gli avea alcuno al discoperto il volto;

e che 'l proprio scudier che gli servia,

dicea giurando: - Io non so dir chi sia. -

78

Non cavalcaro molto, ch'alle mura

si trovar de la terra e in su la porta.

Dalinda andar piu inanzi avea paura;

pur va, poi che Rinaldo la conforta.

La porta e chiusa, ed a chi n'avea cura

Rinaldo domando: - Questo ch'importa? -

E fugli detto: perche 'l popol tutto

a veder la battaglia era ridutto,

79

che tra Lurcanio e un cavallier istrano

si fa ne l'altro capo de la terra,

ove era un prato spazioso e piano;

e che gia cominciata hanno la guerra.

Aperto fu al signor di Montealbano,

e tosto il portinar dietro gli serra.

Per la vota citta Rinaldo passa;

ma la donzella al primo albergo lassa:

80

e dice che sicura ivi si stia

fin che ritorni a lei, che sara tosto;

e verso il campo poi ratto s'invia,

dove li dui guerrier dato e risposto

molto s'aveano, e davan tuttavia.

Stava Lurcanio di mal cor disposto

contra Ginevra; e l'altro in sua difesa

ben sostenea lafavorita impresa.

81

Sei cavallier con lor ne lo steccato

erano a piedi, armati di corazza,

col duca d'Albania, ch'era montato

s'un possente corsier di buona razza.

Come a gran contestabile, a lui dato

la guardia fu del campo e de la piazza:

e di veder Ginevra in gran periglio

avea il cor lieto, ed orgoglioso il ciglio.

82

Rinaldo se ne va tra gente e gente;

fassi far largo il buon destrier Baiardo:

chi la tempesta del suo venir sente,

a dargli via non par zoppo ne tardo.

Rinaldo vi compar sopra eminente,

e ben rassembra il fior d'ogni gagliardo;

poi si ferma all'incontro ove il re siede:

ognun s'accosta per udir che chiede.

83

Rinaldo disse al re: - Magno signore,

non lasciar la battaglia piu seguire;

perche di questi dua qualunche more,

sappi ch'a torto tu 'l lasci morire.

L'un crede aver ragione, ed e in errore,

e dice il falso, e non sa di mentire;

ma quel medesmo error che 'l suo germano

a morir trasse, a lui pon l'arme in mano.

84

L'altro non sa se s'abbia dritto o torto;

ma sol per gentilezza e per bontade

in pericol si e posto d'esser morto,

per non lasciar morir tanta beltade.

Io la salute all'innocenza porto;

porto il contrario a chi usa falsitade.

Ma, per Dio, questa pugna prima parti,

poi mi da audienza a quel ch'io vo' narrarti. -

85

Fu da l'autorita d'un uom si degno,

come Rinaldo gli parea al sembiante,

si mosso il re, che disse e fece segno

che non andasse piu la pugna inante;

al quale insieme ed ai baron del regno

e ai cavallieri e all'altre turbe tante

Rinaldo fe' l'inganno tutto espresso,

ch'avea ordito a Ginevra Polinesso.

86

Indi s'offerse di voler provare

coll'arme, ch'era ver quel ch'avea detto.

Chiamasi Polinesso; ed ei compare,

ma tutto conturbato ne l'aspetto:

pur con audacia comincio a negare.

Disse Rinaldo: - Or noi vedrem l'effetto. -

L'uno e l'altro era armato, il campo fatto,

si che senza indugiar vengono al fatto.

87

Oh quanto ha il re, quanto ha il suo popul caro

che Ginevra a provar s'abbi innocente!

tutti han speranza che Dio mostri chiaro

ch'impudica era detta ingiustamente.

Crudel superbo e riputato avaro

fu Polinesso, iniquo e fraudolente;

si che ad alcun miracolo non fia

che l'inganno da lui tramato sia.

88

Sta Polinesso con la faccia mesta,

col cor tremante e con pallida guancia;

e al terzo suon mette la lancia in resta.

Cosi Rinaldo inverso lui si lancia,

che disioso di finir la festa,

mira a passargli il petto con la lancia:

ne discorde al disir segui l'effetto;

che mezza l'asta gli caccio nel petto.

89

Fisso nel tronco lo trasporta in terra,

lontan dal suo destrier piu di sei braccia.

Rinaldo smonta subito, e gli afferra

l'elmo, pria chesi levi, e gli lo slaccia:

ma quel, che non puo far piu troppa guerra,

gli domanda merce con umil faccia,

e gli confessa, udendo il re e la corte,

la fraude sua che l'ha condutto a morte.

90

Non fini il tutto, e in mezzo la parola

e la voce e la vita l'abandona.

Il re, che liberata la figliuola

vede da morte e da fama non buona,

piu s'allegra, gioisce e raconsola,

che, s'avendo perduta la corona,

ripor se la vedesse allora allora;

si che Rinaldo unicamente onora.

91

E poi ch'al trar dell'elmo conosciuto

l'ebbe, perch'altre volte l'avea visto,

levo le mani a Dio, che d'un aiuto

come era quel, gli avea si ben provisto.

Quell'altro cavallier che, sconosciuto,

soccorso avea Ginevra al caso tristo,

ed armato per lei s'era condutto,

stato da parte era a vedere il tutto.

92

Dal re pregato fu di dire il nome,

o di lasciarsi almen veder scoperto,

accio da lui fosse premiato, come

di sua buona intenzion chiedeva il merto.

Quel, dopo lunghi preghi, da le chiome

si levo l'elmo, e fe' palese e certo

quel che ne l'altro canto ho da seguire,

se grata vi sara l'istoria udire.

1

Chi va lontan da la sua patria, vede

cose, da quel che gia credea, lontane;

che narrandole poi, non se gli crede,

e stimato bugiardo ne rimane:

che 'l sciocco vulgonon gli vuol dar fede,

se non le vede e tocca chiare e piane.

Per questo io so che l'inesperienza

fara al mio canto dar poca credenza.

2

Poca o molta ch'io ci abbia, non bisogna

ch'io ponga mente al vulgo sciocco e ignaro.

A voi so ben che non parra menzogna,

che 'l lume del discorso avete chiaro;

ed a voi soli ogni mio intento agogna

che 'l frutto sia di mie fatiche caro.

Io vi lasciai che 'l ponte e la riviera

vider, che 'n guardia avea Erifilla altiera.

3

Quell'era armata del piu fin metallo,

ch'avean di piu color gemme distinto:

rubin vermiglio, crisolito giallo,

verde smeraldo, con flavo iacinto.

Era montata, ma non a cavallo;

invece avea di quello un lupo spinto:

spinto avea un lupo ove si passa il fiume,

con ricca sella fuor d'ogni costume.

4

Non credo ch'un si grande Apulia n'abbia:

egli era grosso ed alto piu d'un bue.

Con fren spumar non gli facea le labbia,

ne so come lo regga a voglie sue.

La sopravesta di color di sabbia

su l'arme avea la maledetta lue:

era, fuor che 'l color, di quella sorte

ch'i vescovi e i prelati usano in corte.

5

Ed avea ne lo scudo e sul cimiero

una gonfiata e velenosa botta.

Le donne la mostraro al cavalliero,

di qua dal ponte per giostrar ridotta,

e fargli scorno e rompergli il sentiero,

come ad alcuni usata era talotta.

Ella a Ruggier, che torni a dietro, grida:

quel piglia un'asta, e la minaccia e sfida.

6

Non men la gigantessa ardita e presta

sprona il gran lupo e ne l'arcion si serra,

e pon la lancia a mezzo il corso in resta,

e fa tremar nel suo venir la terra.

Ma pur sul prato al fiero incontro resta;

che sotto l'elmo il buon Ruggier l'afferra,

e de l'arcion con tal furor la caccia,

che la riporta indietro oltra sei braccia.

7

E gia, tratta la spada ch'avea cinta,

venia a levarne la testa superba:

e ben lo potea far, che come estinta

Erifilla giacea tra' fiori e l'erba.

Ma le donne gridar: - Basti sia vinta,

senza pigliarne altra vendetta acerba.

Ripon, cortese cavallier, la spada;

passiamo il ponte e seguitian la strada. -

8

Alquanto malagevole ed aspretta

per mezzo un bosco presero la via,

che oltra che sassosa fosse e stretta,

quasi su dritta alla collina gia.

Ma poi che furo ascesi in su la vetta,

usciro in spaziosa prateria,

dove il piu bel palazzo e 'l piu giocondo

vider, che mai fosse veduto al mondo.

9

La bella Alcina venne un pezzo inante,

verso Ruggier fuor de le prime porte,

e lo raccolse in signoril sembiante,

in mezzo bella ed onorata corte.

Da tutti gli altri tanto onore e tante

riverenze fur fatte al guerrier forte,

chenon potrian far piu, se tra loro

fosse Dio sceso dal superno coro.

10

Non tanto il bel palazzo era eccellente,

perche vincesse ogn'altro di ricchezza,

quanto ch'avea la piu piacevol gente

che fosse al mondo e di piu gentilezza.

Poco era l'un da l'altro differente

e di fiorita etade e di bellezza:

sola di tutti Alcina era piu bella,

si come e bello il sol piu d'ogni stella.

11

Di persona era tanto ben formata,

quanto me' finger san pittori industri;

con bionda chioma lunga ed annodata:

oro non e che piu risplenda e lustri.

Spargeasi per la guancia delicata

misto color di rose e di ligustri;

di terso avorio era la fronte lieta,

che lo spazio finia con giusta meta.

12

Sotto duo negri e sottilissimi archi

son duo negri occhi, anzi duo chiari soli,

pietosi a riguardare, a mover parchi;

intorno cui par ch'Amor scherzi e voli,

e ch'indi tutta la faretra scarchi

e che visibilmente i cori involi:

quindi il naso per mezzo il viso scende,

che non truova l'invidia ove l'emende.

13

Sotto quel sta, quasi fra due vallette,

la bocca sparsa di natio cinabro;

quivi due filze son di perle elette,

che chiude ed apre un bello e dolce labro:

quindi escon le cortesi parolette

da render molle ogni cor rozzo e scabro;

quivi si forma quel suave riso,

ch'apre a sua posta in terra il paradiso.

14

Bianca nieve e il bel collo, e 'l petto latte;

il collo e tondo, il petto colmo e largo:

due pome acerbe, e pur d'avorio fatte,

vengono e van come onda al primo margo,

quando piacevole aura il mar combatte.

Non potria l'altre parti veder Argo:

ben si puo giudicar che corrisponde

a quel ch'appar di fuor quel che s'asconde.

15

Mostran le braccia sua misura giusta;

e la candida man spesso si vede

lunghetta alquanto e di larghezza angusta,

dove ne nodo appar, ne vena eccede.

Si vede al fin de la persona augusta

il breve, asciutto e ritondetto piede.

Gli angelici sembianti nati in cielo

non si ponno celar sotto alcun velo.

16

Avea in ogni sua parte un laccio teso,

o parli o rida o canti o passo muova:

ne maraviglia e se Ruggier n'e preso,

poi che tanto benigna se la truova.

Quel che di lei gia avea dal mirto inteso,

com'e perfida e ria, poco gli giova;

ch'inganno o tradimento non gli e aviso

che possa star con si soave riso.

17

Anzi pur creder vuol che da costei

fosse converso Astolfo in su l'arena

per li suoi portamenti ingrati e rei,

e sia degno di questa e di piu pena:

e tutto quel ch'udito avea di lei,

stima esser falso; e che vendetta mena,

e mena astio ed invidia quel dolente

a lei biasmare, e che del tutto mente.

18

La bella donna che cotantoamava,

novellamente gli e dal cor partita;

che per incanto Alcina gli lo lava

d'ogni antica amorosa sua ferita;

e di se sola e del suo amor lo grava,

e in quello essa riman sola sculpita:

si che scusar il buon Ruggier si deve,

se si mostro quivi incostante e lieve.

19

A quella mensa citare, arpe e lire,

e diversi altri dilettevol suoni

faceano intorno l'aria tintinire

d'armonia dolce e di concenti buoni.

Non vi mancava chie, cantando, dire

d'amor sapesse gaudi e passioni,

o con invenzioni e poesie

rappresentasse grate fantasie.

20

Qual mensa trionfante e suntuosa

di qualsivoglia successor di Nino,

o qual mai tanto celebre e famosa

di Cleopatra al vincitor latino,

potria a questa esser par, che l'amorosa

fata avea posta inanzi al paladino?

Tal non cred'io che s'apparecchi dove

ministra Ganimede al sommo Giove.

21

Tolte che fur le mense e le vivande,

facean, sedendo in cerchio, un giuoco lieto:

che ne l'orecchio l'un l'altro domande,

come piu piace lor, qualche secreto;

il che agli amanti fu commodo grande

di scoprir l'amor lor senza divieto:

e furon lor conclusioni estreme

di ritrovarsi quella notte insieme.

22

Finir quel giuoco tosto, e molto inanzi

che non solea la dentro esser costume:

con torchi allora i paggi entrati inanzi,

le tenebre cacciar con molto lume.

Tra bella compagnia dietro e dinanzi

ando Ruggiero a ritrovar le piume

in una adorna e fresca cameretta,

per la miglior di tutte l'altre eletta.

23

E poi che di confetti e di buon vini

di nuovo fatti fur debiti inviti,

e partir gli altri riverenti e chini,

ed alle stanze lor tutti sono iti;

Ruggiero entro ne' profumati lini

che pareano di man d'Aracne usciti,

tenendo tuttavia l'orecchie attente,

s'ancora venir la bella donna sente.

24

Ad ogni piccol moto ch'egli udiva,

sperando che fosse ella, il capo alzava:

sentir credeasi, e spesso non sentiva;

poi del suo errore accorto sospirava.

Talvolta uscia del letto e l'uscio apriva,

guatava fuori, e nulla vi trovava:

e maledi ben mille volte l'ora

che facea al trapassar tanta dimora.

25

Tra se dicea sovente: - Or si parte ella; -

e cominciava a noverare i passi

ch'esser potean da la sua stanza a quella

donde aspettando sta che Alcina passi;

e questi ed altri, prima che la bella

donna vi sia, vani disegni fassi.

Teme di qualche impedimento spesso,

che tra il frutto e la man non gli sia messo.

26

Alcina, poi ch'a' preziosi odori

dopo gran spazio pose alcuna meta,

venuto il tempo che piu non dimori,

ormai ch'in casa era ogni cosa cheta,

de la camera sua sola usci fuori;

e tacita n'ando per via secreta

dove a Ruggiero avean timore e speme

gran pezzo intorno al cor pugnato insieme.

27

Come si vide il successor d'Astolfo

sopra apparir quelle ridenti stelle,

come abbia ne le vene acceso zolfo,

non par checapir possa ne la pelle.

Or sino agli occhi ben nuota nel golfo

de le delizie e de le cose belle:

salta del letto, e in braccio la raccoglie,

ne puo tanto aspettar ch'ella si spoglie;

28

ben che ne gonna ne faldiglia avesse;

che venne avolta in un leggier zendado

che sopra una camicia ella si messe,

bianca e suttil nel piu eccellente grado.

Come Ruggiero abbraccio lei, gli cesse

il manto: e resto il vel suttile e rado,

che non copria dinanzi ne di dietro,

piu che le rose o i gigli un chiaro vetro.

29

Non cosi strettamente edera preme

pianta ove intorno abbarbicata s'abbia,

come si stringon li dui amanti insieme,

cogliendo de lo spirto in su le labbia

suave fior, qual non produce seme

indo o sabeo ne l'odorata sabbia.

Del gran piacer ch'avean, lor dicer tocca;

che spesso avean piu d'una lingua in bocca.

30

Queste cose la dentro eran secrete,

o se pur non secrete, almen taciute;

che raro fu tener le labra chete

biasmo ad alcun, ma ben spesso virtute.

Tutte proferte ed accoglienze liete

fanno a Ruggier quelle persone astute:

ognun lo reverisce e se gli inchina;

che cosi vuol l'innamorata Alcina.

31

Non e diletto alcun che di fuor reste;

che tutti son ne l'amorosa stanza.

E due e tre volte il di mutano veste,

fatte or ad una ora ad un'altra usanza.

Spesso in conviti, e sempre stanno in feste,

in giostre, in lotte, in scene, in bagno, in danza:

or presso ai fonti, all'ombre de' poggetti,

leggon d'antiqui gli amorosi detti;

32

or per l'ombrose valli e lieti colli

vanno cacciando le paurose lepri;

or con sagaci cani i fagian folli

con strepito uscir fan di stoppie e vepri;

or a' tordi lacciuoli, or veschi molli

tendon tra gli odoriferi ginepri;

or con ami inescati ed or con reti

turban a' pesci i grati lor secreti.

33

Stava Ruggiero in tanta gioia e festa,

mentre Carlo in travaglio ed Agramante,

di cui l'istoria io non vorrei per questa

porre in oblio, ne lasciar Bradamante,

che con travaglio e con pena molesta

pianse piu giorni il disiato amante,

ch'avea per strade disusate e nuove

veduto portar via, ne sapea dove.

34

Di costei prima che degli altri dico,

che molti giorni ando cercando invano

pei boschi ombrosi e per lo campo aprico,

per ville, per citta, per monte e piano;

ne mai pote saper del caro amico,

che di tanto intervallo era lontano.

Ne l'oste saracin spesso venia,

ne mai del suo Ruggier ritrovo spia.

35

Ogni di ne domanda a piu di cento,

ne alcun le ne sa mai render ragioni.

D'alloggiamento va in alloggiamento,

cercandone e trabacche e padiglioni:

e lo puo far; che senza impedimento

passa tra cavallieri e tra pedoni,

merce all'annel che fuor d'ogni uman uso

la fa sparir quandol'e in bocca chiuso.

36

Ne puo ne creder vuol che morto sia;

perche di si grande uom l'alta ruina

da l'onde idaspe udita si saria

fin dove il sole a riposar declina.

Non sa ne dir ne imaginar che via

far possa o in cielo o in terra; e pur meschina

lo va cercando, e per compagni mena

sospiri e pianti ed ogni acerba pena.

37

Penso al fin di tornare alla spelonca

dove eran l'ossa di Merlin profeta,

e gridar tanto intorno a quella conca,

che 'l freddo marmo si movesse a pieta;

che se vivea Ruggiero, o gli avea tronca

l'alta necessita la vita lieta,

si sapria quindi: e poi s'appiglierebbe

a quel miglior consiglio che n'avrebbe.

38

Con questa intenzion prese il camino

verso le selve prossime a Pontiero,

dove la vocal tomba di Merlino

era nascosa in loco alpestro e fiero.

Ma quella maga che sempre vicino

tenuto a Bradamante avea il pensiero,

quella, dico io, che ne la bella grotta

l'avea de la sua stirpe istrutta e dotta;

39

quella benigna e saggia incantatrice,

la quale ha sempre cura di costei,

sappiendo ch'esser de' progenitrice

d'uomini invitti, anzi di semidei;

ciascun di vuol sapere che fa, che dice,

e getta ciascun di sorte per lei.

Di Ruggier liberato e poi perduto,

e dove in India ando, tutto ha saputo.

40

Ben veduto l'avea su quel cavallo

che regger non potea, ch'era sfrenato,

scostarsi di lunghissimo intervallo

per sentier periglioso e non usato;

e ben sapea che stava in giuoco e in ballo

e in cibo e in ozio molle e delicato,

ne piu memoria avea del suo signore,

ne de la donna sua, ne del suo onore.

41

E cosi il fior de li begli anni suoi

in lunga inerzia aver potria consunto

si gentil cavallier, per dover poi

perdere il corpo e l'anima in un punto;

e quel odor che sol riman di noi,

poscia che 'l resto fragile e defunto,

che tra' l'uom del sepulcro e in vita il serba,

gli saria stato o tronco o svelto in erba.

42

Ma quella gentil maga, che piu cura

n'avea ch'egli medesmo di se stesso,

penso di trarlo per via alpestre e dura

alla vera virtu, mal grado d'esso:

come eccellente medico, che cura

con ferro e fuoco e con veneno spesso,

che se ben molto da principio offende,

poi giova al fine, e grazia se gli rende.

43

Ella non gli era facile, e talmente

fattane cieca di superchio amore,

che, come facea Atlante, solamente

a darli vita avesse posto il core.

Quel piu tosto volea che lungamente

vivesse e senza fama e senza onore,

che, con tutta la laude che sia al mondo,

mancasse un anno al suo viver giocondo.

44

L'avea mandato all'isola d'Alcina,

perche obliasse l'arme in quella corte;

e come mago di somma dottrina,

ch'usar sapeagl'incanti d'ogni sorte,

avea il cor stretto di quella regina

ne l'amor d'esso d'un laccio si forte,

che non se ne era mai per poter sciorre,

s'invecchiasse Ruggier piu di Nestorre.

45

Or tornando a colei, ch'era presaga

di quanto de' avvenir, dico che tenne

la dritta via dove l'errante e vaga

figlia d'Amon seco a incontrar si venne.

Bradamante vedendo la sua maga,

muta la pena che prima sostenne,

tutta in speranza; e quella l'apre il vero:

ch'ad Alcina e condotto il suo Ruggiero.

46

La giovane riman presso che morta,

quando ode che 'l suo amante e cosi lunge;

e piu, che nel suo amor periglio porta,

se gran rimedio e subito non giunge:

ma la benigna maga la conforta,

e presta pon l'impiastro ove il duol punge,

e le promette e giura, in pochi giorni

far che Ruggiero a riveder lei torni.

47

- Da che, donna(dicea), l'annello hai teco,

che val contra ogni magica fattura,

io non ho dubbio alcun, che s'io l'arreco

la dove Alcina ogni tuo ben ti fura,

ch'io non le rompa il suo disegno, e meco

non ti rimeni la tua dolce cura.

Me n'andro questa sera alla prim'ora,

e saro in India al nascer de l'aurora. -

48

E seguitando, del modo narrolle

che disegnato avea d'adoperarlo,

per trar del regno effeminato e molle

il caro amante, e in Francia rimenarlo.

Bradamante l'annel del dito tolle;

ne solamente avria voluto darlo,

ma dato il core e dato avria la vita,

pur che n'avesse il suo Ruggiero aita.

49

Le da l'annello e se le raccomanda;

e piu le raccomanda il suo Ruggiero,

a cui per lei mille saluti manda:

poi prese ver Provenza altro sentiero.

Ando l'incantatrice a un'altra banda;

e per porre in effetto il suo pensiero,

un palafren fece apparir la sera,

ch'avea un pie rosso, e ogn'altra parte nera.

50

Credo fosse un Alchino o un Farfarello,

che da l'Inferno in quella forma trasse;

e scinta e scalza monto sopra a quello,

a chiome sciolte e orribilmente passe:

ma ben di dito si levo l'annello,

perche gl'incanti suoi non le vietasse.

Poi con tal fretta ando, che la matina

si ritrovo ne l'isola d'Alcina.

51

Quivi mirabilmente transmutosse:

s'accrebbe piu d'un palmo di statura,

e fe' le membra a proporzion piu grosse;

e resto a punto di quella misura

che si penso che 'l negromante fosse,

quel che nutri Ruggier con si gran cura.

Vesti di lunga barba le mascelle,

e fe' crespa la fronte e l'altra pelle.

52

Di faccia, di parole e di sembiante

si lo seppe imitar, che totalmente

potea parer l'incantator Atlante.

Poi si nascose, e tanto pose mente,

che da Ruggiero allontanar l'amante

Alcina vide un giorno finalmente:

e fu gran sorte; che di stare o d'ire

senza esso un'ora potea mal patire.

53

Soletto lo trovo, comelo volle,

che si godea il matin fresco e sereno

lungo un bel rio che discorrea d'un colle

verso un laghetto limpido ed ameno.

Il suo vestir delizioso e molle

tutto era d'ozio e di lascivia pieno,

che de sua man gli avea di seta e d'oro

tessuto Alcina con sottil lavoro.

54

Di ricche gemme un splendido monile

gli discendea dal collo in mezzo il petto;

e ne l'uno e ne l'altro gia virile

braccio girava un lucido cerchietto.

Gli avea forato un fil d'oro sottile

ambe l'orecchie, in forma d'annelletto;

e due gran perle pendevano quindi,

qua' mai non ebbon gli Arabi ne gl'Indi.

55

Umide avea l'innanellate chiome

de' piu suavi odor che sieno in prezzo:

tutto ne' gesti era amoroso, come

fosse in Valenza a servir donne avezzo:

non era in lui di sano altro che 'l nome;

corrotto tutto il resto, e piu che mezzo.

Cosi Ruggier fu ritrovato, tanto

da l'esser suo mutato per incanto.

56

Ne la forma d'Atlante se gli affaccia

colei, che la sembianza ne tenea,

con quella grave e venerabil faccia

che Ruggier sempre riverir solea,

con quello occhio pien d'ira e di minaccia,

che si temuto gia fanciullo avea;

dicendo: - E questo dunque il frutto ch'io

lungamente atteso ho del sudor mio?

57

Di medolle gia d'orsi e di leoni

ti porsi io dunque li primi alimenti;

t'ho per caverne ed orridi burroni

fanciullo avezzo a strangolar serpenti,

pantere e tigri disarmar d'ungioni

ed a vivi cingial trar spesso i denti,

accio che, dopo tanta disciplina,

tu sii l'Adone o l'Atide d'Alcina?

58

E questo, quel che l'osservate stelle,

le sacre fibre e gli accoppiati punti,

responsi, auguri, sogni e tutte quelle

sorti, ove ho troppo i miei studi consunti,

di te promesso sin da le mammelle

m'avean, come quest'anni fusser giunti:

ch'in arme l'opre tue cosi preclare

esser dovean, che sarian senza pare?

59

Questo e ben veramente alto principio

onde si puo sperar che tu sia presto

a farti un Alessandro, un Iulio, un Scipio!

Chi potea, ohime! di te mai creder questo,

che ti facessi d'Alcina mancipio?

E perche ognun lo veggia manifesto,

al collo ed alle braccia hai la catena

con che ella a voglia sua preso ti mena.

60

Se non ti muovon le tue proprie laudi,

e l'opre eccelse a chi t'ha il cielo eletto,

la tua succession perche defraudi

del ben che mille volte io t'ho predetto?

deh, perche il ventre eternamente claudi,

dove il ciel vuol che sia per te concetto

la gloriosa e soprumana prole

ch'esser de' al mondo piu chiara che 'l sole?

61

Deh non vietar che le piu nobil alme,

che sian formate ne l'eterne idee,

di tempo in tempo abbian corporee salme

dal ceppo che radice in te aver dee!

Deh non vietar mille trionfi e palme,

con che, dopo aspri dannie piaghe ree,

tuoi figli, tuoi nipoti e successori

Italia torneran nei primi onori!

62

Non ch'a piegarti a questo tante e tante

anime belle aver dovesson pondo,

che chiare, illustri, inclite, invitte e sante

son per fiorir da l'arbor tuo fecondo;

ma ti dovria una coppia esser bastante:

Ippolito e il fratel; che pochi il mondo

ha tali avuti ancor fin al di d'oggi,

per tutti i gradi onde a virtu si poggi.

63

Io solea piu di questi dui narrarti,

ch'io non facea di tutti gli altri insieme;

si perche essi terran le maggior parti,

che gli altri tuoi, ne le virtu supreme;

si perche al dir di lor mi vedea darti

piu attenzion, che d'altri del tuo seme:

vedea goderti che si chiari eroi

esser dovessen dei nipoti tuoi.

64

Che ha costei che t'hai fatto regina,

che non abbian mill'altre meretrici?

costei che di tant'altri e concubina,

ch'al fin sai ben s'ella suol far felici.

Ma perche tu conosca chi sia Alcina,

levatone le fraudi e gli artifici,

tien questo annello in dito, e torna ad ella,

ch'aveder ti potrai come sia bella. -

65

Ruggier si stava vergognoso e muto

mirando in terra, e mal sapea che dire;

a cui la maga nel dito minuto

pose l'annello, e lo fe' risentire.

Come Ruggiero in se fu rivenuto,

di tanto scorno si vide assalire,

ch'esser vorria sotterra mille braccia,

ch'alcun veder non lo potesse in faccia.

66

Ne la sua prima forma in uno istante,

cosi parlando, la maga rivenne;

ne bisognava piu quella d'Atlante,

seguitone l'effetto per che venne.

Per dirvi quel ch'io non vi dissi inante,

costei Melissa nominata venne,

ch'or die a Ruggier di se notizia vera,

e dissegli a che effetto venuta era;

67

mandata da colei, che d'amor piena

sempre il disia, ne piu puo starne senza,

per liberarlo da quella catena

di che lo cinse magica violenza:

e preso avea d'Atlante di Carena

la forma, per trovar meglio credenza.

Ma poi ch'a sanita l'ha ormai ridutto,

gli vuole aprire e far che veggia il tutto.

68

- Quella donna gentil che t'ama tanto,

quella che del tuo amor degna sarebbe,

a cui, se non ti scorda, tu sai quanto

tua liberta, da lei servata, debbe;

questo annel che ripara ad ogni incanto,

ti manda: e cosi il cor mandato avrebbe,

s'avesse avuto il cor cosi virtute,

come l'annello, atta alla tua salute. -

69

E seguito narrandogli l'amore

che Bradamante gli ha portato e porta;

di questa insieme comendo il valore,

in quanto il vero e l'affezion comporta;

ed uso modo e termine migliore

che si convenga a messaggera accorta:

ed in quel odio Alcina a Ruggier pose,

in che soglionsi aver l'orribil cose.

70

In odio gli la pose, ancor che tanto

l'amasse dianzi: e non vi paia strano,

quando il suoamor per forza era d'incanto,

ch'essendovi l'annel, rimase vano.

Fece l'annel palese ancor, che quanto

di belta Alcina avea, tutto era estrano:

estrano avea, e non suo, dal pie alla treccia;

il bel ne sparve, e le resto la feccia.

71

Come fanciullo che maturo frutto

ripone, e poi si scorda ove e riposto,

e dopo molti giorni e ricondutto

la dove truova a caso il suo deposto,

si maraviglia di vederlo tutto

putrido e guasto, e non come fu posto;

e dove amarlo e caro aver solia,

l'odia, sprezza, n'ha schivo, e getta via:

72

cosi Ruggier, poi che Melissa fece

ch'a riveder se ne torno la fata

con quell'annello inanzi a cui non lece,

quando s'ha in dito, usare opra incantata,

ritruova, contra ogni sua stima, invece

de la bella, che dianzi avea lasciata,

donna si laida, che la terra tutta

ne la piu vecchia avea ne la piu brutta.

73

Pallido, crespo e macilente avea

Alcina il viso, il crin raro e canuto,

sua statura a sei palmi non giungea:

ogni dente di bocca era caduto;

che piu d'Ecuba e piu de la Cumea,

ed avea piu d'ogn'altra mai vivuto.

Ma si l'arti usa al nostro tempo ignote,

che bella e giovanetta parer puote.

74

Giovane e bella ella si fa con arte,

si che molti inganno come Ruggiero;

ma l'annel venne a interpretar le carte

che gia molti anni avean celato il vero.

Miracol non e dunque, se si parte

de l'animo a Ruggier ogni pensiero

ch'avea d'amare Alcina, or che la truova

in guisa, che sua fraude non le giova.

75

Ma come l'aviso Melissa, stette

senza mutare il solito sembiante,

fin che l'arme sue, piu di neglette,

si fu vestito dal capo alle piante;

e per non farle ad Alcina suspette,

finse provar s'in esse era aiutante,

finse provar se gli era fatto grosso,

dopo alcun di che non l'ha avute indosso.

76

E Balisarda poi si messe al fianco

(che cosi nome la sua spada avea);

e lo scudo mirabile tolse anco,

che non pur gli occhi abbarbagliar solea,

ma l'anima facea si venir manco,

che dal corpo esalata esser parea.

Lo tolse, e col zendado in che trovollo,

che tutto lo copria, sel messe al collo.

77

Venne alla stalla, e fece briglia e sella

porre a un destrier piu che la pece nero:

cosi Melissa l'avea istrutto; ch'ella

sapea quanto nel corso era leggiero.

Chi lo conosce, Rabican l'appella;

ed e quel proprio che col cavalliero

del quale i venti or presso al mar fan gioco,

porto gia la balena in questo loco.

78

Potea aver l'ippogrifo similmente,

che presso a Rabicano era legato;

ma gli avea detto la maga: - Abbi mente,

ch'egli e(come tu sai) troppo sfrenato. -

E gli diede intenzion che 'l di seguente

gli lo trarrebbe fuor di quellostato,

la dove ad agio poi sarebbe istrutto

come frenarlo e farlo gir per tutto.

79

Ne sospetto dara, se non lo tolle,

de la tacita fuga ch'apparecchia.

Fece Ruggier come Melissa volle,

ch'invisibile ognor gli era all'orecchia.

Cosi fingendo, del lascivo e molle

palazzo usci de la puttana vecchia;

e si venne accostando ad una porta,

donde e la via ch'a Logistilla il porta.

80

Assalto li guardiani all'improviso,

e si caccio tra lor col ferro in mano,

e qual lascio ferito, e quale ucciso;

e corse fuor del ponte a mano a mano:

e prima che n'avesse Alcina aviso,

di molto spazio fu Ruggier lontano.

Diro ne l'altro canto che via tenne;

poi come a Logistilla se ne venne.

1

Che non puo far d'un cor ch'abbia suggetto

questo crudele e traditore Amore,

poi ch'ad Orlando puo levar del petto

la tanta fe' che debbeal suo Signore?

Gia savio e pieno fu d'ogni rispetto,

e de la santa Chiesa difensore;

or per un vano amor, poco del zio,

e di se poco, e men cura di Dio.

2

Ma l'escuso io pur troppo, e mi rallegro

nel mio difetto aver compagno tale;

ch'anch'io sono al mio ben languido ed egro,

sano e gagliardo a seguitare il male.

Quel se ne va tutto vestito a negro,

ne tanti amici abandonar gli cale;

e passa dove d'Africa e di Spagna

la gente era attendata alla campagna:

3

anzi non attendata, perche sotto

alberi e tetti l'ha sparsa la pioggia

a dieci, a venti, a quattro, a sette, ad otto;

chi piu distante e chi piu presso alloggia.

Ognuno dorme travagliato e rotto:

chi steso in terra, e chi alla man s'appoggia.

Dormono; e il conte uccider ne puo assai:

ne pero stringe Durindana mai.

4

Di tanto core e il generoso Orlando,

che non degna ferir gente che dorma.

Or questo, e quando quel luogo cercando

va, per trovar de la sua donna l'orma.

Se truova alcun che veggi, sospirando

gli ne dipinge l'abito e la forma;

e poi lo priega che per cortesia

gl'insegni andar in parte ove ella sia.

5

E poi che venne il di chiaro e lucente,

tutto cerco l'esercito moresco:

e ben lo potea far sicuramente,

avendo indosso l'abito arabesco;

ed aiutollo in questo parimente,

che sapeva altro idioma che francesco,

e l'africano tanto avea espedito,

che parea nato a Tripoli e nutrito.

6

Quivi il tutto cerco, dove dimora

fece tre giorni, e non per altro effetto;

poi dentro alle cittadi e a' borghi fuora

non spio sol per Francia e suo distretto,

ma per Uvernia e per Guascogna ancora

rivide sin all'ultimo borghetto:

e cerco da Provenza alla Bretagna,

e dai Picardi ai termini di Spagna.

7

Tra il fin d'ottobre e il capo di novembre,

ne la stagion che la frondosa vesta

vede levarsi e discoprir le membre

trepida pianta, fin che nuda resta,

e van gli augelli a strette schiere insembre,

Orlando entro ne l'amorosa inchiesta;

ne tutto il verno appresso lascio quella,

ne la lascio ne la stagion novella.

8

Passando un giorno, come avea costume,

d'un paese in un altro, arrivo dove

parte i Normandi dai Bretoni un fiume,

e verso il vicin mar cheto si muove;

ch'allora gonfio e bianco gia di spume

per nieve sciolta e per montane piove:

e l'impeto de l'acqua avea disciolto

e tratto seco il ponte, e il passo tolto.

9

Con gli occhi cerca or questo lato or quello,

lungo le ripe il paladin, se vede

(quando ne pesce egli non e, ne augello)

come abbia a por ne l'altra ripa il piede:

ed ecco a se venir vede un battello,

ne la cui poppa una donzella siede,

che di volere alui venir fa segno;

ne lascia poi ch'arrivi in terra il legno.

10

Prora in terra non pon; che d'esser carca

contra sua volonta forse sospetta.

Orlando priega lei che ne la barca

seco lo tolga, ed oltre il fiume il metta.

Ed ella lui: - Qui cavallier non varca,

il qual su la sua fe non mi prometta

di fare una battaglia a mia richiesta,

la piu giusta del mondo e la piu onesta.

11

Si che s'avete, cavallier, desire

di por per me ne l'altra ripa i passi,

promettetemi, prima che finire

quest'altro mese prossimo si lassi,

ch'al re d'Ibernia v'anderete a unire,

appresso al qual la bella armata fassi

per distrugger quell'isola d'Ebuda,

che, di quante il mar cinge, e la piu cruda.

12

Voi dovete saper ch'oltre l'Irlanda,

fra molte che vi son, l'isola giace

nomata Ebuda, che per legge manda

rubando intorno il suo popul rapace;

e quante donne puo pigliar, vivanda

tutte destina a un animal vorace,

che viene ogni di al lito, e sempre nuova

donna o donzella, onde si pasca, truova;

13

che mercanti e corsar che vanno attorno,

ve ne fan copia, e piu de le piu belle.

Ben potete contare, una per giorno,

quante morte vi sian donne e donzelle.

Ma se pietade in voi truova soggiorno,

se non sete d'Amor tutto ribelle,

siate contento esser tra questi eletto,

che van per far si fruttuoso effetto. -

14

Orlando volse a pena udire il tutto,

che giuro d'esser primo a quella impresa,

come quel ch'alcun atto iniquo e brutto

non puo sentire, e d'ascoltar gli pesa:

e fu a pensare, indi a temere indutto,

che quella gente Angelica abbia presa;

poi che cercata l'ha per tanta via,

ne potutone ancor ritrovar spia.

15

Questa imaginazion si gli confuse

e si gli tolse ogni primier disegno,

che, quanto in fretta piu potea, conchiuse

di navigare a quello iniquo regno.

Ne prima l'altro sol nel mar si chiuse,

che presso a San Malo ritrovo un legno,

nel qual si pose; e fatto alzar le vele,

passo la notte il monte San Michele.

16

Breaco e Landriglier lascia a man manca,

e va radendo il gran lito britone;

e poi si drizza inver l'arena bianca,

onde Ingleterra si nomo Albione;

ma il vento, ch'era da meriggie, manca,

e soffia tra il ponente e l'aquilone

con tanta forza, che fa al basso porre

tutte le vele, e se per poppa torre.

17

Quanto il navilio inanzi era venuto

in quattro giorni, in un ritorno indietro,

ne l'alto mar dal buon nochier tenuto,

che non dia in terra e sembri un fragil vetro.

Il vento, poi che furioso suto

fu quattro giorni, il quinto cangio metro:

lascio senza contrasto il legno entrare

dove il fiume d'Anversa ha foce in mare.

18

Tosto che ne la foce entro lostanco

nochier col legno afflitto, e il lito prese,

fuor d'una terra che sul destro fianco

di quel fiume sedeva, un vecchio scese,

di molta eta, per quanto il crine bianco

ne dava indicio; il qual tutto cortese,

dopo i saluti, al conte rivoltosse,

che capo giudico che di lor fosse.

19

E da parte il prego d'una donzella,

ch'a lei venir non gli paresse grave,

la qual ritroverebbe, oltre che bella,

piu ch'altra al mondo affabile e soave;

over fosse contento aspettar ch'ella

verrebbe a trovar lui fin alla nave:

ne piu restio volesse esser di quanti

quivi eran giunti cavallieri erranti;

20

che nessun altro cavallier, ch'arriva

o per terra o per mare a questa foce,

di ragionar con la donzella schiva,

per consigliarla in un suo caso atroce.

Udito questo, Orlando in su la riva

senza punto indugiarsi usci veloce;

e come umano e pien di cortesia,

dove il vecchio il meno, prese la via.

21

Fu ne la terra il paladin condutto

dentro un palazzo, ove al salir le scale,

una donna trovo piena di lutto,

per quanto il viso ne facea segnale,

e i negri panni che coprian per tutto

e le logge e le camere e le sale;

la qual, dopo accoglienza grata e onesta

fattol seder, gli disse in voce mesta:

22

- Io voglio che sappiate che figliuola

fui del conte d'Olanda, a lui si grata

(quantunque prole io non gli fossi sola,

ch'era da dui fratelli accompagnata),

ch'a quanto io gli chiedea, da lui parola

contraria non mi fu mai replicata.

Standomi lieta in questo stato, avenne

che ne la nostra terra un duca venne.

23

Duca era di Selandia, e se ne giva

verso Biscaglia a guerreggiar coi Mori.

La bellezza e l'eta ch'in lui fioriva,

e li non piu da me sentiti amori

con poca guerra me gli fer captiva;

tanto piu che, per quel ch'apparea fuori,

io credea e credo, e creder credo il vero,

ch'amasse ed ami me con cor sincero.

24

Quei giorni che con noi contrario vento,

contrario agli altri, a me propizio, il tenne

(ch'agli altri fur quaranta, a me un momento;

cosi al fuggire ebbon veloci penne),

fummo piu volte insieme a parlamento,

dove, che 'l matrimonio con solenne

rito al ritorno suo saria tra nui

mi promise egli, ed io 'l promisi a lui.

25

Bireno a pena era da noi partito

(che cosi ha nome il mio fedele amante),

che 'l re di Frisa(la qual, quanto il lito

del mar divide il fiume, e a noi distante),

disegnando il figliuol farmi marito,

ch'unico al mondo avea, nomato Arbante,

per li piu degni del suo stato manda

a domandarmi al mio padre in Olanda.

26

Io ch'all'amante mio di quella fede

mancar non posso, che gli aveva data,

e anco ch'io possa, Amor non miconciede

che poter voglia, e ch'io sia tanto ingrata;

per ruinar la pratica ch'in piede

era gagliarda, e presso al fin guidata,

dico a mio padre, che prima ch'in Frisa

mi dia marito, io voglio essere uccisa.

27

Il mio buon padre, al qual sol piacea quanto

a me piacea, ne mai turbar mi volse,

per consolarmi e far cessare il pianto

ch'io ne facea, la pratica disciolse:

di che il superbo re di Frisa tanto

isdegno prese e a tanto odio si volse,

ch'entro in Olanda, e comincio la guerra

che tutto il sangue mio caccio sotterra.

28

Oltre che sia robusto, e si possente,

che pochi pari a nostra eta ritruova,

e si astuto in mal far, ch'altrui niente

la possanza, l'ardir, l'ingegno giova;

porta alcun'arme che l'antica gente

non vide mai, ne fuor ch'a lui, la nuova:

un ferro bugio, lungo da dua braccia,

dentro a cui polve ed una palla caccia.

29

Col fuoco dietro ove la canna e chiusa,

tocca un spiraglio che si vede a pena;

a guisa che toccare il medico usa

dove e bisogno d'allacciar la vena:

onde vien con tal suon la palla esclusa,

che si puo dir che tuona e che balena;

ne men che soglia il fulmine ove passa,

cio che tocca, arde, abatte, apre e fracassa.

30

Pose due volte il nostro campo in rotta

con questo inganno, e i miei fratelli uccise:

nel primo assalto il primo; che la botta,

rotto l'usbergo, in mezzo il cor gli mise;

ne l'altra zuffa a l'altro, il quale in frotta

fuggia, dal corpo l'anima divise;

e lo feri lontan dietro la spalla,

e fuor del petto uscir fece la palla.

31

Difendendosi poi mio padre un giorno

dentro un castel che sol gli era rimaso,

che tutto il resto avea perduto intorno,

lo fe' con simil colpo ire all'occaso;

che mentre andava e che facea ritorno,

provedendo or a questo or a quel caso,

dal traditor fu in mezzo gli occhi colto,

che l'avea di lontan di mira tolto.

32

Morto i fratelli e il padre, e rimasa io

de l'isola d'Olanda unica erede,

il re di Frisa, perche avea disio

di ben fermare in quello stato il piede,

mi fa sapere, e cosi al popul mio,

che pace e che riposo mi conciede,

quando io vogli or, quel che non volsi inante,

tor per marito il suo figliuolo Arbante.

33

Io per l'odio non si, che grave porto

a lui e a tutta la sua iniqua schiatta,

il qual m'ha dui fratelli e 'l padre morto,

saccheggiata la patria, arsa e disfatta;

come perche a colui non vo' far torto,

a cui gia la promessa aveva fatta,

ch'altr'uomo non saria che mi sposasse,

fin che di Spagna a me non ritornasse:

34

- Per un mal ch'io patisco,ne vo' cento

patir(rispondo), e far di tutto il resto;

esser morta, arsa viva, e che sia al vento

la cener sparsa, inanzi che far questo. -

Studia la gente mia di questo intento

tormi: chi priega, e chi mi fa protesto

di dargli in mano me e la terra, prima

che la mia ostinazion tutti ci opprima.

35

Cosi, poi che i protesti e i prieghi invano

vider gittarsi, e che pur stava dura,

presero accordo col Frisone, e in mano,

come avean detto, gli dier me e le mura.

Quel, senza farmi alcuno atto villano,

de la vita e del regno m'assicura,

pur ch'io indolcisca l'indurate voglie,

e che d'Arbante suo mi faccia moglie.

36

Io che sforzar cosi mi veggio, voglio,

per uscirgli di man, perder la vita;

ma se pria non mi vendico, mi doglio

piu che di quanta ingiuria abbia patita.

Fo pensier molti; e veggio al mio cordoglio

che solo il simular puo dare aita:

fingo ch'io brami, non che non mi piaccia,

che mi perdoni e sua nuora mi faccia.

37

Fra molti ch'al servizio erano stati

gia di mio padre, io scelgo dui fratelli,

di grande ingegno e di gran cor dotati,

ma piu di vera fede, come quelli

che cresciutici in corte ed allevati

si son con noi da teneri citelli;

e tanto miei, che poco lor parria

la vita por per la salute mia.

38

Communico con loro il mio disegno:

essi prometton d'essermi in aiuto.

L'un viene in Fiandra, e v'apparecchia un legno;

l'altro meco in Olanda ho ritenuto.

Or mentre i forestieri e quei del regno

s'invitano alle nozze, fu saputo

che Bireno in Biscaglia avea una armata,

per venire in Olanda, apparecchiata.

39

Pero che, fatta la prima battaglia

dove fu rotto un mio fratello e ucciso,

spacciar tosto un corrier feci in Biscaglia,

che portassi a Bireno il tristo aviso;

il qual mentre che s'arma e si travaglia,

dal re di Frisa il resto fu conquiso.

Bireno, che di cio nulla sapea,

per darci aiuto i legni sciolti avea.

40

Di questo avuto aviso il re frisone,

de le nozze al figliuol la cura lassa;

e con l'armata sua nel mar si pone:

truova il duca, lo rompe, arde e fracassa,

e, come vuol Fortuna, il fa prigione;

ma di cio ancor la nuova a noi non passa.

Mi sposa intanto il giovene, e si vuole

meco corcar come si corchi il sole.

41

Io dietro alle cortine avea nascoso

quel mio fedele; il qual nulla si mosse

prima che a me venir vide lo sposo;

e non l'attese che corcato fosse,

ch'alzo un'accetta, e con si valoroso

braccio dietro nel capo lo percosse,

che gli levo la vita e la parola:

io saltai presta, e gli segai la gola.

42

Come cadere il bue suoleal macello,

cade il malnato giovene, in dispetto

del re Cimosco, il piu d'ogn'altro fello;

che l'empio re di Frisa e cosi detto,

che morto l'uno e l'altro mio fratello

m'avea col padre, e per meglio suggetto

farsi il mio stato, mi volea per nuora;

e forse un giorno uccisa avria me ancora.

43

Prima ch'altro disturbo vi si metta,

tolto quel che piu vale e meno pesa,

il mio compagno al mar mi cala in fretta

da la finestra a un canape sospesa,

la dove attento il suo fratello aspetta

sopra la barca ch'avea in Fiandra presa.

Demmo le vele ai venti e i remi all'acque,

e tutti ci salvian, come a Dio piacque.

44

Non so se 'l re di Frisa piu dolente

del figliuol morto, o se piu d'ira acceso

fosse contra di me, che 'l di seguente

giunse la dove si trovo si offeso.

Superbo ritornava egli e sua gente

de la vittoria e di Bireno preso;

e credendo venire a nozze e a festa,

ogni cosa trovo scura e funesta.

45

La pieta del figliuol, l'odio ch'aveva

a me, ne di ne notte il lascia mai.

Ma perche il pianger morti non rileva,

e la vendetta sfoga l'odio assai,

la parte del pensier, ch'esser doveva

de la pietade in sospirare e in guai,

vuol che con l'odio a investigar s'unisca,

come egli m'abbia in mano e mi punisca.

46

Quei tutti che sapeva e gli era detto

che mi fossino amici, o di quei miei

che m'aveano aiutata a far l'effetto,

uccise, o lor beni arse, o li fe' rei.

Volse uccider Bireno in mio dispetto;

che d'altro si doler non mi potrei:

gli parve poi, se vivo lo tenesse,

che per pigliarmi, in man la rete avesse.

47

Ma gli propone una crudele e dura

condizion: gli fa termine un anno,

al fin del qual gli dara morte oscura,

se prima egli per forza o per inganno,

con amici e parenti non procura,

con tutto cio che ponno e cio che sanno,

di darmigli in prigion: si che la via

di lui salvare e sol la morte mia.

48

Cio che si possa far per sua salute,

fuor che perder me stessa, il tutto ho fatto.

Sei castella ebbi in Fiandra, e l'ho vendute:

e 'l poco o 'l molto prezzo ch'io n'ho tratto,

parte, tentando per persone astute

i guardiani corrumpere, ho distratto;

e parte, per far muovere alli danni

di quell'empio or gl'Inglesi, or gli Alamanni.

49

I mezzi, o che non abbiano potuto,

o che non abbian fatto il dover loro,

m'hanno dato parole e non aiuto;

e sprezzano or che n'han cavato l'oro:

e presso al fine il termine e venuto,

dopo il qual ne la forza ne 'l tesoro

potra giunger piu a tempo, si che morte

e strazioschivi al mio caro consorte.

50

Mio padre e' miei fratelli mi son stati

morti per lui; per lui toltomi il regno;

per lui quei pochi beni che restati

m'eran, del viver mio soli sostegno,

per trarlo di prigione ho disipati:

ne mi resta ora in che piu far disegno,

se non d'andarmi io stessa in mano a porre

di si crudel nimico, e lui disciorre.

51

Se dunque da far altro non mi resta,

ne si truova al suo scampo altro riparo

che per lui por questa mia vita, questa

mia vita per lui por mi sara caro.

Ma sola una paura mi molesta,

che non sapro far patto cosi chiaro,

che m'assicuri che non sia il tiranno,

poi ch'avuta m'avra, per fare inganno.

52

Io dubito che poi che m'avra in gabbia

e fatto avra di me tutti li strazi,

ne Bireno per questo a lasciare abbia,

si ch'esser per me sciolto mi ringrazi;

come periuro, e pien di tanta rabbia,

che di me sola uccider non si sazi:

e quel ch'avra di me, ne piu ne meno

faccia di poi del misero Bireno.

53

Or la cagion che conferir con voi

mi fa i miei casi, e ch'io li dico a quanti

signori e cavallier vengono a noi,

e solo accio, parlandone con tanti,

m'insegni alcun d'assicurar che, poi

ch'a quel crudel mi sia condotta avanti,

non abbia a ritener Bireno ancora,

ne voglia, morta me, ch'esso poi mora.

54

Pregato ho alcun guerrier, che meco sia

quando io mi daro in mano al re di Frisa;

ma mi prometta e la sua fe' mi dia,

che questo cambio sara fatto in guisa,

ch'a un tempo io data, e liberato fia

Bireno: si che quando io saro uccisa,

morro contenta, poi che la mia morte

avra dato la vita al mio consorte.

55

Ne fino a questo di truovo chi toglia

sopra la fede sua d'assicurarmi,

che quando io sia condotta, e che mi voglia

aver quel re, senza Bireno darmi,

egli non lasciera contra mia voglia

che presa io sia: si teme ognun quell'armi;

teme quell'armi, a cui par che non possa

star piastra incontra, e sia quanto vuol grossa.

56

Or, s'in voi la virtu non e diforme

dal fier sembiante e da l'erculeo aspetto,

e credete poter darmegli, e torme

anco da lui, quando non vada retto;

siate contento d'esser meco a porme

ne le man sue: ch'io non avro sospetto,

quando voi siate meco, se ben io

poi ne morro, che muora il signor mio. -

57

Qui la donzella il suo parlar conchiuse,

che con pianto e sospir spesso interroppe.

Orlando, poi ch'ella la bocca chiuse,

le cui voglie al ben far mai non fur zoppe,

in parole con lei non si diffuse;

che di natura non usava troppe:

ma lepromise, e la sua fe le diede,

che faria piu di quel ch'ella gli chiede.

58

Non e sua intenzion ch'ella in man vada

del suo nimico per salvar Bireno:

ben salvera amendui, se la sua spada

e l'usato valor non gli vien meno.

Il medesimo di piglian la strada,

poi c'hanno il vento prospero e sereno.

Il paladin s'affretta; che di gire

all'isola del mostro avea desire.

59

Or volta all'una, or volta all'altra banda

per gli alti stagni il buon nochier la vela:

scuopre un'isola e un'altra di Zilanda;

scuopre una inanzi, e un'altra a dietro cela.

Orlando smonta il terzo di in Olanda;

ma non smonta colei che si querela

del re di Frisa: Orlando vuol che intenda

la morte di quel rio, prima che scenda.

60

Nel lito armato il paladino varca

sopra un corsier di pel tra bigio e nero,

nutrito in Fiandra e nato in Danismarca,

grande e possente assai piu che leggiero;

pero ch'avea, quando si messe in barca,

in Bretagna lasciato il suo destriero,

quel Brigliador si bello e si gagliardo,

che non ha paragon, fuor che Baiardo.

61

Giunge Orlando a Dordreche, e quivi truova

di molta gente armata in su la porta;

si perche sempre, ma piu quando e nuova,

seco ogni signoria sospetto porta;

si perche dianzi giunta era una nuova,

che di Selandia con armata scorta

di navili e di gente un cugin viene

di quel signor che qui prigion si tiene.

62

Orlando prega uno di lor, che vada

e dica al re, ch'un cavalliero errante

disia con lui provarsi a lancia e a spada;

ma che vuol che tra lor sia patto inante:

che se 'l re fa che, chi lo sfida, cada,

la donna abbia d'aver, ch'uccise Arbante;

che 'l cavallier l'ha in loco non lontano

da poter sempremai darglila in mano;

63

ed all'incontro vuol che 'l re prometta,

ch'ove egli vinto ne la pugna sia,

Bireno in liberta subito metta,

e che lo lasci andare alla sua via.

Il fante al re fa l'ambasciata in fretta:

ma quel, che ne virtu ne cortesia

conobbe mai, drizzo tutto il suo intento

alla fraude, all'inganno, al tradimento.

64

Gli par ch'avendo in mano il cavalliero,

avra la donna ancor, che si l'ha offeso,

s'in possanza di lui la donna e vero

che si ritruovi, e il fante ha ben inteso.

Trenta uomini pigliar fece sentiero

diverso da la porta ov'era atteso,

che dopo occulto ed assai lungo giro,

dietro alle spalle al paladino usciro.

65

Il traditore intanto dar parole

fatto gli avea, sin che i cavalli e i fanti

vede esser giunti al loco ove gli vuole;

da la porta esce poi con altretanti.

Come le fere e il bosco cinger suole

perito cacciator da tutti i canti;

come appresso a Volana i pesci e l'onda

conlunga rete il pescator circonda:

66

cosi per ogni via dal re di Frisa,

che quel guerrier non fugga, si provede.

Vivo lo vuole, e non in altra guisa:

e questo far si facilmente crede,

che 'l fulmine terrestre, con che uccisa

ha tanta e tanta gente, ora non chiede;

che quivi non gli par che si convegna,

dove pigliar, non far morir, disegna.

67

Qual cauto ucellator che serba vivi,

intento a maggior preda, i primi augelli,

accio in piu quantitade altri captivi

faccia col giuoco e col zimbel di quelli:

tal esser volse il re Cimosco quivi:

ma gia non volse Orlando esser di quelli

che si lascin pigliar al primo tratto;

e tosto roppe il cerchio ch'avean fatto.

68

Il cavallier d'Anglante, ove piu spesse

vide le genti e l'arme, abbasso l'asta;

ed uno in quella e poscia un altro messe,

e un altro e un altro, che sembrar di pasta;

e fin a sei ve n'infilzo, e li resse

tutti una lancia: e perch'ella non basta

a piu capir, lascio il settimo fuore

ferito si, che di quel colpo muore.

69

Non altrimente ne l'estrema arena

veggian le rane de canali e fosse

dal cauto arcier nei fianchi e ne la schiena,

l'una vicina all'altra, esser percosse;

ne da la freccia, fin che tutta piena

non sia da un capo all'altro, esser rimosse.

La grave lancia Orlando da se scaglia,

e con la spada entro ne la battaglia.

70

Rotta la lancia, quella spada strinse,

quella che mai non fu menata in fallo;

e ad ogni colpo, o taglio o punta, estinse

quando uomo a piedi, e quando uomo a cavallo:

dove tocco, sempre in vermiglio tinse

l'azzurro, il verde, il bianco, il nero, il giallo.

Duolsi Cimosco che la canna e il fuoco

seco or non ha, quando v'avrian piu loco.

71

E con gran voce e con minacce chiede

che portati gli sian, ma poco e udito;

che chi ha ritratto a salvamento il piede

ne la citta, non e d'uscir piu ardito.

Il re frison, che fuggir gli altri vede,

d'esser salvo egli ancor piglia partito:

corre alla porta, e vuole alzare il ponte,

ma troppo e presto ad arrivare il conte.

72

Il re volta le spalle, e signor lassa

del ponte Orlando e d'amendue le porte;

e fugge, e inanzi a tutti gli altri passa,

merce che 'l suo destrier corre piu forte.

Non mira Orlando a quella plebe bassa:

vuole il fellon, non gli altri, porre a morte;

ma il suo destrier si al corso poco vale,

che restio sembra, e chi fugge, abbia l'ale.

73

D'una in un'altra via si leva ratto

di vista al paladin; ma indugia poco,

che torna con nuove armi; che s'ha fatto

portare intanto il cavo ferro e il fuoco:

e dietro uncanto postosi di piatto,

l'attende, come il cacciatore al loco,

coi cani armati e con lo spiedo, attende

il fier cingial che ruinoso scende;

74

che spezza i rami e fa cadere i sassi,

e ovunque drizzi l'orgogliosa fronte,

sembra a tanto rumor che si fracassi

la selva intorno, e che si svella il monte.

Sta Cimosco alla posta, accio non passi

senza pagargli il fio l'audace conte:

tosto ch'appare, allo spiraglio tocca

col fuoco il ferro, e quel subito scocca.

75

Dietro lampeggia a guisa di baleno,

dinanzi scoppia, e manda in aria il tuono.

Trieman le mura, e sotto i pie il terreno;

il ciel ribomba al paventoso suono.

L'ardente stral, che spezza e venir meno

fa cio ch'incontra, e da a nessun perdono,

sibila e stride; ma, come e il desire

di quel brutto assassin, non va a ferire.

76

O sia la fretta, o sia la troppa voglia

d'uccider quel baron, ch'errar lo faccia;

o sia che il cor, tremando come foglia,

faccia insieme tremare e mani e braccia;

o la bonta divina che non voglia

che 'l suo fedel campion si tosto giaccia:

quel colpo al ventre del destrier si torse;

lo caccio in terra, onde mai piu non sorse.

77

Cade a terra il cavallo e il cavalliero:

la preme l'un, la tocca l'altro a pena;

che si leva si destro e si leggiero,

come cresciuto gli sia possa e lena.

Quale il libico Anteo sempre piu fiero

surger solea da la percossa arena,

tal surger parve, e che la forza, quando

tocco il terren, si radoppiasse a Orlando.

78

Chi vide mai dal ciel cadere il foco

che con si orrendo suon Giove disserra,

e penetrare ove un richiuso loco

carbon con zolfo e con salnitro serra;

ch'a pena arriva, a pena tocca un poco,

che par ch'avampi il ciel, non che la terra;

spezza le mura, e i gravi marmi svelle,

e fa i sassi volar sin alle stelle;

79

s'imagini che tal, poi che cadendo

tocco la terra, il paladino fosse:

con si fiero sembiante aspro ed orrendo,

da far tremar nel ciel Marte, si mosse.

Di che smarrito il re frison, torcendo

la briglia indietro, per fuggir voltosse;

ma gli fu dietro Orlando con piu fretta,

che non esce da l'arco una saetta:

80

e quel che non avea potuto prima

fare a cavallo, or fara essendo a piede.

Lo seguita si ratto, ch'ogni stima

di chi nol vide, ogni credenza eccede.

Lo giunse in poca strada; ed alla cima

de l'elmo alza la spada, e si lo fiede,

che gli parte la testa fin al collo,

e in terra il manda a dar l'ultimo crollo.

81

Ecco levar ne la citta si sente

nuovo rumor, nuovo menar di spade;

che 'l cugin di Bireno con la gente

ch'avea condutta dale sue contrade,

poi che la porta ritrovo patente,

era venuto dentro alla cittade,

dal paladino in tal timor ridutta,

che senza intoppo la puo scorrer tutta.

82

Fugge il populo in rotta, che non scorge

chi questa gente sia, ne che domandi;

ma poi ch'uno ed un altro pur s'accorge

all'abito e al parlar, che son Selandi,

chiede lor pace, e il foglio bianco porge;

e dice al capitan che gli comandi,

e dar gli vuol contro i Frisoni aiuto,

che 'l suo duca in prigion gli han ritenuto.

83

Quel popul sempre stato era nimico

del re di Frisa e d'ogni suo seguace,

perche morto gli avea il signore antico,

ma piu perch'era ingiusto, empio e rapace.

Orlando s'interpose come amico

d'ambe le parti, e fece lor far pace;

le quali unite, non lasciar Frisone

che non morisse o non fosse prigione.

84

Le porte de le carceri gittate

a terra sono, e non si cerca chiave.

Bireno al conte con parole grate

mostra conoscer l'obligo che gli have.

Indi insieme e con molte altre brigate

se ne vanno ove attende Olimpia in nave:

cosi la donna, a cui di ragion spetta

il dominio de l'isola, era detta;

85

quella che quivi Orlando avea condutto

non con pensier che far dovesse tanto;

che la parea bastar, che posta in lutto

sol lei, lo sposo avesse a trar di pianto.

Lei riverisce e onora il popul tutto.

Lungo sarebbe a ricontarvi quanto

lei Bireno accarezzi, ed ella lui;

quai grazie al conte rendano ambidui.

86

Il popul la donzella nel paterno

seggio rimette, e fedelta le giura.

Ella a Bireno, a cui con nodo eterno

la lego Amor d'una catena dura,

de lo stato e di se dona il governo.

Ed egli tratto poi da un'altra cura,

de le fortezze e di tutto il domino

de l'isola guardian lascia il cugino;

87

che tornare in Selandia avea disegno,

e menar seco la fedel consorte:

e dicea voler fare indi nel regno

di Frisa esperienza di sua sorte;

perche di cio l'assicurava un pegno

ch'egli aveva in mano, e lo stimava forte:

la figliuola del re, che fra i captivi,

che vi fur molti, avea trovata quivi.

88

E dice ch'egli vuol ch'un suo germano,

ch'era minor d'eta, l'abbia per moglie.

Quindi si parte il senator romano

il di medesmo che Bireno scioglie.

Non volse porre ad altra cosa mano,

fra tante e tante guadagnate spoglie,

se non a quel tormento ch'abbian detto

ch'al fulmine assimiglia in ogni effetto.

89

L'intenzion non gia, perche lo tolle,

fu per voglia d'usarlo in sua difesa;

che sempre atto stimo d'animo molle

gir con vantaggio in qualsivoglia impresa:

ma per gittarlo in parte, onde non volle

che mai potesse ad uomo piu fare offesa:

e la polve e le palle e tutto il resto

seco porto, ch'apparteneva a questo.

90

Ecosi, poi che fuor de la marea

nel piu profondo mar si vide uscito,

si che segno lontan non si vedea

del destro piu ne del sinistro lito;

lo tolse, e disse: - Accio piu non istea

mai cavallier per te d'esser ardito,

ne quanto il buono val, mai piu si vanti

il rio per te valer, qui giu rimanti.

91

O maladetto, o abominoso ordigno,

che fabricato nel tartareo fondo

fosti per man di Belzebu maligno

che ruinar per te disegno il mondo,

all'inferno, onde uscisti, ti rasigno. -

Cosi dicendo, lo gitto in profondo.

Il vento intanto le gonfiate vele

spinge alla via de l'isola crudele.

92

Tanto desire il paladino preme

di saper se la donna ivi si truova,

ch'ama assai piu che tutto il mondo insieme,

ne un'ora senza lei viver gli giova;

che s'in Ibernia mette il piede, teme

di non dar tempo a qualche cosa nuova,

si ch'abbia poi da dir invano: - Ahi lasso!

ch'al venir mio non affrettai piu il passo. -

93

Ne scala in Inghelterra ne in Irlanda

mai lascio far, ne sul contrario lito.

Ma lasciamolo andar dove lo manda

il nudo arcier che l'ha nel cor ferito.

Prima che piu io ne parli, io vo' in Olanda

tornare, e voi meco a tornarvi invito;

che, come a me, so spiacerebbe a voi,

che quelle nozze fosson senza noi.

94

Le nozze belle e sontuose fanno;

ma non si sontuose ne si belle,

come in Selandia dicon che faranno.

Pur non disegno che vegnate a quelle;

perche nuovi accidenti a nascere hanno

per disturbarle, de' quai le novelle

all'altro canto vi faro sentire,

s'all'altro canto mi verrete a udire.

1

Quantunque debil freno a mezzo il corso

animoso destrier spesso raccolga,

raro e pero che di ragione il morso

libidinosa furia a dietro volga,

quando il piacere ha in pronto; a guisa d'orso

che dal mel non si tosto si distolga,

poi che gli n'e venuto odore al naso,

o qualche stilla ne gusto sul vaso.

2

Qual ragion fia che 'l buon Ruggier raffrene,

si che non voglia ora pigliar diletto

d'Angelica gentil che nuda tiene

nel solitario e commodo boschetto?

Di Bradamante piu non gli soviene,

che tanto aver solea fissa nel petto:

e se gli ne sovien pur come prima,

pazzo e se questa ancor non prezza e stima;

3

con la qual non saria stato quel crudo

Zenocrate di lui piu continente.

Gittato avea Ruggier l'asta e lo scudo,

e si traea l'altre arme impaziente;

quando abbassando pel bel corpo ignudo

la donna gli occhi vergognosamente,

si vide in dito il prezioso annello

che gia le tolse ad Albracca Brunello.

4

Questo e l'annel ch'ella porto gia in Francia

la prima volta che fe' quel camino

col fratel suo, che v'arreco la lancia,

la qual fu poi d'Astolfo paladino.

Con questo fe' gl'incanti uscire in ciancia

di Malagigi al petron di Merlino;

con questo Orlando ed altri una matina

tolse di servitu di Dragontina;

5

con questo usci invisibil de la torre

dove l'avea richiusa un vecchio rio.

A che voglio io tutte sue prove accorre,

se le sapete voi cosi come io?

Brunel sin nel giron lel venne a torre;

ch'Agramante d'averlo ebbe disio.

Da indi in qua sempre Fortuna a sdegno

ebbe costei, fin che le tolse il regno.

6

Or che sel vede, come ho detto, in mano,

si di stupore e d'allegrezza e piena,

che quasidubbia di sognarsi invano,

agli occhi, alla man sua da fede a pena.

Del dito se lo leva, e a mano a mano

sel chiude in bocca: e in men che non balena,

cosi dagli occhi di Ruggier si cela,

come fa il sol quando la nube il vela.

7

Ruggier pur d'ogn'intorno riguardava,

e s'aggirava a cerco come un matto;

ma poi che de l'annel si ricordava,

scornato vi rimase e stupefatto:

e la sua inavvertenza bestemiava,

e la donna accusava di quello atto

ingrato e discortese, che renduto

in ricompensa gli era del suo aiuto.

8

- Ingrata damigella, e questo quello

guiderdone(dicea), che tu mi rendi?

che piu tosto involar vogli l'annello,

ch'averlo in don? Perche da me nol prendi?

Non pur quel, ma lo scudo e il destrier snello

e me ti dono, e come vuoi mi spendi;

sol che 'l bel viso tuo non mi nascondi.

Io so, crudel, che m'odi, e non rispondi. -

9

Cosi dicendo, intorno alla fontana

brancolando n'andava come cieco.

Oh quante volte abbraccio l'aria vana,

sperando la donzella abbracciar seco!

Quella, che s'era gia fatta lontana,

mai non cesso d'andar, che giunse a un speco

che sotto un monte era capace e grande,

dove al bisogno suo trovo vivande.

10

Quivi un vecchio pastor, che di cavalle

un grande armento avea, facea soggiorno.

Le iumente pascean giu per la valle

le tenere erbe ai freschi rivi intorno.

Di qua di la da l'antro erano stalle,

dove fuggiano il sol del mezzo giorno.

Angelica quel di lunga dimora

la dentro fece, e non fu vista ancora.

11

E circa il vespro, poi che rifrescossi,

e le fu aviso esser posata assai,

in certi drappi rozzi aviluppossi,

dissimil troppo ai portamenti gai,

che verdi, gialli, persi, azzurri e rossi

ebbe, e di quante fogge furon mai.

Non le puo tor pero tanto umil gonna,

che bella non rassembri e nobil donna.

12

Taccia chi loda Fillide, o Neera,

o Amarilli, o Galatea fugace;

che d'esse alcuna si bella non era,

Titiro e Melibeo, con vostra pace.

La bella donna tra' fuor de la schiera

de le iumente una che piu le piace.

Allora allora se le fece inante

un pensier di tornarsene in Levante.

13

Ruggiero intanto, poi ch'ebbe gran pezzo

indarno atteso s'ella si scopriva,

e che s'avide del suo error da sezzo,

che non era vicina e non l'udiva;

dove lasciato avea il cavallo, avezzo

in cielo e in terra, a rimontar veniva:

e ritrovo che s'avea tratto il morso,

e salia in aria a piu libero corso.

14

Fu grave e mala aggiunta all'altro danno

vedersi anco restar senza l'augello.

Questo, non men che 'l feminile inganno,

gli preme al cor; ma piu che questo e quello,

gli preme e fa sentir noioso affanno

l'aver perduto il prezioso annello;

per levirtu non tanto ch'in lui sono,

quanto che fu de la sua donna dono.

15

Oltremodo dolente si ripose

indosso l'arme, e lo scudo alle spalle;

dal mar slungossi, e per le piaggie erbose

prese il camin verso una larga valle,

dove per mezzo all'alte selve ombrose

vide il piu largo e 'l piu segnato calle.

Non molto va, ch'a destra, ove piu folta

e quella selva, un gran strepito ascolta.

16

Strepito ascolta e spaventevol suono

d'arme percosse insieme; onde s'affretta

tra pianta e pianta, e trova dui, che sono

a gran battaglia in poca piazza e stretta.

Non s'hanno alcun riguardo ne perdono,

per far, non so di che, dura vendetta.

L'uno e gigante, alla sembianza fiero;

ardito l'altro e franco cavalliero.

17

E questo con lo scudo e con la spada,

di qua di la saltando, si difende,

perche la mazza sopra non gli cada,

con che il gigante a due man sempre offende.

Giace morto il cavallo in su la strada.

Ruggier si ferma, e alla battaglia attende;

e tosto inchina l'animo, e disia

che vincitore il cavallier ne sia.

18

Non che per questo gli dia alcun aiuto;

ma si tira da parte, e sta a vedere.

Ecco col baston grave il piu membruto

sopra l'elmo a due man del minor fere.

De la percossa e il cavallier caduto:

l'altro, che 'l vide attonito giacere,

per dargli morte l'elmo gli dislaccia;

e fa si che Ruggier lo vede in faccia.

19

Vede Ruggier de la sua dolce e bella

e carissima donna Bradamante

scoperto il viso; e lei vede esser quella

a cui dar morte vuol l'empio gigante:

si che a battaglia subito l'appella,

e con la spada nuda si fa inante:

ma quel, che nuova pugna non attende,

la donna tramortita in braccio prende;

20

e se l'arreca in spalla, e via la porta,

come lupo talor piccolo agnello,

o l'aquila portar ne l'ugna torta

suole o colombo o simile altro augello.

Vede Ruggier quanto il suo aiuto importa,

e vien correndo a piu poter; ma quello

con tanta fretta i lunghi passi mena,

che con gli occhi Ruggier lo segue a pena.

21

Cosi correndo l'uno, e seguitando

l'altro, per un sentiero ombroso e fosco,

che sempre si venia piu dilatando,

in un gran prato uscir fuor di quel bosco.

Non piu di questo; ch'io ritorno a Orlando,

che 'l fulgur che porto gia il re Cimosco,

avea gittato in mar nel maggior fondo,

accio mai piu non si trovasse al mondo.

22

Ma poco ci giovo: che 'l nimico empio

de l'umana natura, il qual del telo

fu l'inventor, ch'ebbe da quel l'esempio,

ch'apre le nubi e in terra vien dal cielo;

con quasi non minor di quello scempio

che ci die quando Eva inganno col melo,

lo fece ritrovar da un negromante,

al tempode' nostri avi, o poco inante.

23

La machina infernal, di piu di cento

passi d'acqua ove ste ascosa molt'anni,

al sommo tratta per incantamento,

prima portata fu tra gli Alamanni;

li quali uno ed un altro esperimento

facendone, e il demonio a' nostri danni

assuttigliando lor via piu la mente,

ne ritrovaro l'uso finalmente.

24

Italia e Francia e tutte l'altre bande

del mondo han poi la crudele arte appresa.

Alcuno il bronzo in cave forme spande,

che liquefatto ha la fornace accesa;

bugia altri il ferro; e chi picciol, chi grande

il vaso forma, che piu e meno pesa:

e qual bombarda e qual nomina scoppio,

qual semplice cannon, qual cannon doppio;

25

qual sagra, qual falcon, qual colubrina

sento nomar, come al suo autor piu agrada;

che 'l ferro spezza, e i marmi apre e ruina,

e ovunque passa si fa dar la strada.

Rendi, miser soldato, alla fucina

per tutte l'arme c'hai, fin alla spada;

e in spalla un scoppio o un arcobugio prendi;

che senza, io so, non toccherai stipendi.

26

Come trovasti, o scelerata e brutta

invenzion, mai loco in uman core?

Per te la militar gloria e distrutta,

per te il mestier de l'arme e senza onore;

per te e il valore e la virtu ridutta,

che spesso par del buono il rio migliore:

non piu la gagliardia, non piu l'ardire

per te puo in campo al paragon venire.

27

Per te son giti ed anderan sotterra

tanti signori e cavallieri tanti,

prima che sia finita questa guerra,

che 'l mondo, ma piu Italia ha messo in pianti;

che s'io v'ho detto, il detto mio non erra,

che ben fu il piu crudele e il piu di quanti

mai furo al mondo ingegni empi e maligni,

ch'imagino si abominosi ordigni.

28

E credero che Dio, perche vendetta

ne sia in eterno, nel profondo chiuda

del cieco abisso quella maladetta

anima, appresso al maladetto Giuda.

Ma seguitiamo il cavallier ch'in fretta

brama trovarsi all'isola d'Ebuda,

dove le belle donne e delicate

son per vivanda a un marin mostro date.

29

Ma quanto avea piu fretta il paladino,

tanto parea che men l'avesse il vento.

Spiri o dal lato destro o dal mancino,

o ne le poppe, sempre e cosi lento,

che si puo far con lui poco camino;

e rimanea talvolta in tutto spento:

soffia talor si averso, che gli e forza

o di tornare, o d'ir girando all'orza.

30

Fu volonta di Dio che non venisse

prima che 'l re d'Ibernia in quella parte,

accio con piu facilita seguisse

quel ch'udir vi faro fra poche carte.

Sopra l'isola sorti, Orlando disse

al suo nochiero: - Or qui potrai fermarte,

e 'l battel darmi; che portar mi voglio

senz'altra compagnia sopra lo scoglio.

31

E voglio la maggior gomona meco,

e l'ancora maggior ch'abbi sul legno:

io ti faro vederperche l'arreco,

se con quel mostro ad affrontar mi vegno. -

Gittar fe' in mare il palischermo seco,

con tutto quel ch'era atto al suo disegno.

Tutte l'arme lascio, fuor che la spada;

e ver lo scoglio, sol, prese la strada.

32

Si tira i remi al petto, e tien le spalle

volte alla parte ove discender vuole;

a guisa che del mare o de la valle

uscendo al lito, il salso granchio suole.

Era ne l'ora che le chiome gialle

la bella Aurora avea spiegate al Sole,

mezzo scoperto ancora e mezzo ascoso,

non senza sdegno di Titon geloso.

33

Fattosi appresso al nudo scoglio, quanto

potria gagliarda man gittare un sasso,

gli pare udire e non udire un pianto;

si all'orecchie gli vien debole e lasso.

Tutto si volta sul sinistro canto;

e posto gli occhi appresso all'onde al basso,

vede una donna, nuda come nacque,

legata a un tronco; e i pie le bagnan l'acque.

34

Perche gli e ancor lontana, e perche china

la faccia tien, non ben chi sia discerne.

Tira in fretta ambi i remi, e s'avicina

con gran disio di piu notizia averne.

Ma muggiar sente in questo la marina,

e rimbombar le selve e le caverne:

gonfiansi l'onde; ed ecco il mostro appare,

che sotto il petto ha quasi ascoso il mare.

35

Come d'oscura valle umida ascende

nube di pioggia e di tempesta pregna,

che piu che cieca notte si distende

per tutto 'l mondo, e par che 'l giorno spegna;

cosi nuota la fera, e del mar prende

tanto, che si puo dir che tutto il tegna:

fremono l'onde. Orlando in se raccolto,

la mira altier, ne cangia cor ne volto.

36

E come quel ch'avea il pensier ben fermo

di quanto volea far, si mosse ratto;

e perche alla donzella essere schermo,

e la fera assalir potesse a un tratto,

entro fra l'orca e lei col palischermo,

nel fodero lasciando il brando piatto:

l'ancora con la gomona in man prese;

poi con gran cor l'orribil mostro attese.

37

Tosto che l'orca s'accosto, e scoperse

nel schifo Orlando con poco intervallo,

per ingiottirlo tanta bocca aperse,

ch'entrato un uomo vi saria a cavallo.

Si spinse Orlando inanzi, e se gl'immerse

con quella ancora in gola, e s'io non fallo,

col battello anco; e l'ancora attaccolle

e nel palato e ne la lingua molle:

38

si che ne piu si puon calar di sopra,

ne alzar di sotto le mascelle orrende.

Cosi chi ne le mine il ferro adopra,

la terra, ovunque si fa via, suspende,

che subita ruina non lo cuopra,

mentre malcauto al suo lavoro intende.

Da un amo all'altro l'ancora e tanto alta,

che non v'arriva Orlando, se non salta.

39

Messo il puntello, e fattosi sicuro

che 'l mostro piu serrar non puo la bocca,

stringe laspada, e per quel antro oscuro

di qua e di la con tagli e punte tocca.

Come si puo, poi che son dentro al muro

giunti i nimici, ben difender rocca;

cosi difender l'orca si potea

dal paladin che ne la gola avea.

40

Dal dolor vinta, or sopra il mar si lancia,

e mostra i fianchi e le scagliose schene;

or dentro vi s'attuffa, e con la pancia

muove dal fondo e fa salir l'arene.

Sentendo l'acqua il cavallier di Francia,

che troppo abonda, a nuoto fuor ne viene:

lascia l'ancora fitta, e in mano prende

la fune che da l'ancora depende.

41

E con quella ne vien nuotando in fretta

verso lo scoglio; ove fermato il piede,

tira l'ancora a se, ch'in bocca stretta

con le due punte il brutto mostro fiede.

L'orca a seguire il canape e costretta

da quella forza ch'ogni forza eccede,

da quella forza che piu in una scossa

tira, ch'in dieci un argano far possa.

42

Come toro selvatico ch'al corno

gittar si senta un improvviso laccio,

salta di qua di la, s'aggira intorno,

si colca e lieva, e non puo uscir d'impaccio;

cosi fuor del suo antico almo soggiorno

l'orca tratta per forza di quel braccio,

con mille guizzi e mille strane ruote

segue la fune, e scior non se ne puote.

43

Di bocca il sangue in tanta copia fonde,

che questo oggi il mar Rosso si puo dire,

dove in tal guisa ella percuote l'onde,

ch'insino al fondo le vedreste aprire;

ed or ne bagna il cielo, e il lume asconde

del chiaro sol: tanto le fa salire.

Rimbombano al rumor ch'intorno s'ode,

le selve, i monti e le lontane prode.

44

Fuor de la grotta il vecchio Proteo, quando

ode tanto rumor, sopra il mare esce;

e visto entrare e uscir de l'orca Orlando,

e al lito trar si smisurato pesce,

fugge per l'alto oceano, obliando

lo sparso gregge: e si il tumulto cresce,

che fatto al carro i suoi delfini porre,

quel di Nettuno in Etiopia corre.

45

Con Melicerta in collo Ino piangendo,

e le Nereide coi capelli sparsi,

Glauci e Tritoni, e gli altri, non sappiendo

dove, chi qua chi la van per salvarsi.

Orlando al lito trasse il pesce orrendo,

col qual non bisogno piu affaticarsi;

che pel travaglio e per l'avuta pena,

prima mori, che fosse in su l'arena.

46

De l'isola non pochi erano corsi

a riguardar quella battaglia strana;

i quai da vana religion rimorsi,

cosi sant'opra riputar profana:

e dicean che sarebbe un nuovo torsi

Proteo nimico, e attizzar l'ira insana,

da farli porre il marin gregge in terra,

e tutta rinovar l'antica guerra;

47

e che meglio sara di chieder pace

prima all'offeso dio, che peggio accada;

e questo si fara, quando l'audace

gittato in mare a placar Proteo vada.

Come da fuoco l'unaa l'altra face,

e tosto alluma tutta una contrada,

cosi d'un cor ne l'altro si difonde

l'ira ch'Orlando vuol gittar ne l'onde.

48

Chi d'una fromba e chi d'un arco armato,

chi d'asta, chi di spada, al lito scende;

e dinanzi e di dietro e d'ogni lato,

lontano e appresso, a piu poter l'offende.

Di si bestiale insulto e troppo ingrato

gran meraviglia il paladin si prende:

pel mostro ucciso ingiuria far si vede,

dove aver ne spero gloria e mercede.

49

Ma come l'orso suol, che per le fiere

menato sia da Rusci o da Lituani,

passando per la via, poco temere

l'importuno abbaiar di picciol cani,

che pur non se li degna di vedere;

cosi poco temea di quei villani

il paladin, che con un soffio solo

ne potra fracassar tutto lo stuolo.

50

E ben si fece far subito piazza

che lor si volse, e Durindana prese.

S'avea creduto quella gente pazza

che le dovesse far poche contese,

quando ne indosso gli vedea corazza,

ne scudo in braccio, ne alcun altro arnese;

ma non sapea che dal capo alle piante

dura la pelle avea piu che diamante.

51

Quel che d'Orlando agli altri far non lece,

di far degli altri a lui gia non e tolto.

Trenta n'uccise, e furo in tutto diece

botte, o se piu, non le passo di molto.

Tosto intorno sgombrar l'arena fece;

e per slegar la donna era gia volto,

quando nuovo tumulto e nuovo grido

fe' risuonar da un'altra parte il lido.

52

Mentre avea il paladin da questa banda

cosi tenuto i barbari impediti,

eran senza contrasto quei d'Irlanda

da piu parte ne l'isola saliti;

e spenta ogni pieta, strage nefanda

di quel popul facean per tutti i liti:

fosse iustizia, o fosse crudeltade,

ne sesso riguardavano ne etade.

53

Nessun ripar fan gl'isolani, o poco;

parte, ch'accolti son troppo improviso,

parte, che poca gente ha il picciol loco,

e quella poca e di nessun aviso.

L'aver fu messo a sacco; messo fuoco

fu ne le case: il populo fu ucciso:

le mura fur tutte adeguate al suolo:

non fu lasciato vivo un capo solo.

54

Orlando, come gli appertenga nulla

l'alto rumor, le strida e la ruina,

viene a colei che su la pietra brulla

avea da divorar l'orca marina.

Guarda, e gli par conoscer la fanciulla;

e piu gli pare, e piu che s'avicina:

gli pare Olimpia: ed era Olimpia certo,

che di sua fede ebbe si iniquo merto.

55

Misera Olimpia! a cui dopo lo scorno

che gli fe' Amore, anco Fortuna cruda

mando i corsari(e fu il medesmo giorno),

che la portaro all'isola d'Ebuda.

Riconosce ella Orlando nel ritorno

che fa allo scoglio: ma perch'ella e nuda,

tien basso il capo; e non che non gli parli,

ma gli occhi non ardisce al viso alzarli.

56

Orlando domando ch'iniqua sorte

l'avesse fatta all'isola venire

dila dove lasciata col consorte

lieta l'avea, quanto si puo piu dire.

- Non so(disse ella) s'io v'ho, che la morte

voi mi schivaste, grazie a riferire,

o da dolermi che per voi non sia

oggi finita la miseria mia.

57

Io v'ho da ringraziar ch'una maniera

di morir mi schivaste troppo enorme;

che troppo saria enorme, se la fera

nel brutto ventre avesse avuto a porme.

Ma gia non vi ringrazio ch'io non pera;

che morte sol puo di miseria torme:

ben vi ringraziero, se da voi darmi

quella vedro, che d'ogni duol puo trarmi. -

58

Poi con gran pianto seguito, dicendo

come lo sposo suo l'avea tradita;

che la lascio su l'isola dormendo,

donde ella poi fu dai corsar rapita.

E mentre ella parlava, rivolgendo

s'andava in quella guisa che scolpita

o dipinta e Diana ne la fonte,

che getta l'acqua ad Ateone in fronte;

59

che, quanto puo, nasconde il petto e 'l ventre,

piu liberal dei fianchi e de le rene.

Brama Orlando ch'in porto il suo legno entre;

che lei, che sciolta avea da le catene,

vorria coprir d'alcuna veste. Or mentre

ch'a questo e intento, Oberto sopraviene,

Oberto il re d'Ibernia, ch'avea inteso

che 'l marin mostro era sul lito steso;

60

e che nuotando un cavallier era ito

a porgli in gola un'ancora assai grave;

e che l'avea cosi tirato al lito,

come si suol tirar contr'acqua nave.

Oberto, per veder se riferito

colui da chi l'ha inteso, il vero gli have,

se ne vien quivi; e la sua gente intanto

arde e distrugge Ebuda in ogni canto.

61

Il re d'Ibernia, ancor che fosse Orlando,

di sangue tinto, e d'acqua molle e brutto,

brutto del sangue che si trasse quando

usci de l'orca in ch'era entrato tutto,

pel conte l'ando pur raffigurando;

tanto piu che ne l'animo avea indutto,

tosto che del valor senti la nuova,

ch'altri ch'Orlando non faria tal pruova.

62

Lo conoscea, perch'era stato infante

d'onore in Francia, e se n'era partito

per pigliar la corona, l'anno inante,

del padre suo ch'era di vita uscito.

Tante volte veduto, e tante e tante

gli avea parlato, ch'era in infinito.

Lo corse ad abbracciare e a fargli festa,

trattasi la celata ch'avea in testa.

63

Non meno Orlando di veder contento

si mostro il re, che 'l re di veder lui.

Poi che furo a iterar l'abbracciamento

una o due volte tornati amendui,

narro ad Oberto Orlando il tradimento

che fu fatto alla giovane, e da cui

fatto le fu; dal perfido Bireno,

che via d'ogn'altro lo dovea far meno.

64

Le prove gli narro, che tante volte

ella d'amarlo dimostrato avea:

come i parenti e le sustanze tolte

le furo, e al fin per lui morir volea;

e ch'esso testimonio era di molte,

e renderne buon conto ne potea.

Mentre parlava, ibegli occhi sereni

de la donna di lagrime eran pieni.

65

Era il bel viso suo, quale esser suole

da primavera alcuna volta il cielo,

quando la pioggia cade, e a un tempo il sole

si sgombra intorno il nubiloso velo.

E come il rosignuol dolci carole

mena nei rami alor del verde stelo,

cosi alle belle lagrime le piume

si bagna Amore, e gode al chiaro lume.

66

E ne la face de' begli occhi accende

l'aurato strale, e nel ruscello amorza,

che tra vermigli e bianchi fiori scende:

e temprato che l'ha, tira di forza

contra il garzon, che ne scudo difende,

ne maglia doppia, ne ferrigna scorza;

che mentre sta a mirar gli occhi e le chiome,

si sente il cor ferito, e non sa come.

67

Le bellezze d'Olimpia eran di quelle

che son piu rare: e non la fronte sola,

gli occhi e le guance e le chiome avea belle,

la bocca, il naso, gli omeri e la gola;

ma discendendo giu da le mammelle,

le parti che solea coprir la stola,

fur di tanta eccellenza, ch'anteporse

a quante n'avea il mondo potean forse.

68

Vinceano di candor le nievi intatte,

ed eran piu ch'avorio a toccar molli:

le poppe ritondette parean latte

che fuor dei giunchi allora allora tolli.

Spazio fra lor tal discendea, qual fatte

esser veggian fra picciolini colli

l'ombrose valli, in sua stagione amene,

che 'l verno abbia di nieve allora piene.

69

I rilevati fianchi e le belle anche,

e netto piu che specchio il ventre piano,

pareano fatti, e quelle coscie bianche,

da Fidia a torno, o da piu dotta mano.

Di quelle parti debbovi dir anche,

che pur celare ella bramava invano?

Diro insomma, ch'in lei dal capo al piede,

quant'esser puo belta, tutta si vede.

70

Se fosse stata ne le valli Idee

vista dal Pastor frigio, io non so quanto

Vener, sebben vincea quell'altre dee,

portato avesse di bellezza il vanto:

ne forse ito saria ne le Amiclee

contrade esso a violar l'ospizio santo;

ma detto avria: - Con Menelao ti resta,

Elena pur; ch'altra io non vo' che questa. -

71

E se fosse costei stata a Crotone,

quando Zeusi l'imagine far volse,

che por dovea nel tempio di Iunone,

e tante belle nude insieme accolse;

e che, per una farne in perfezione,

da chi una parte e da chi un'altra tolse:

non avea da torre altra che costei;

che tutte le bellezze erano in lei.

72

Io non credo che mai Bireno, nudo

vedesse quel bel corpo; ch'io son certo

che stato non saria mai cosi crudo,

che l'avesse lasciata in quel deserto.

Ch'Oberto se n'accende, io vi concludo,

tanto che 'l fuoco non puo star coperto.

Si studia consolarla, e darle speme

ch'uscira in bene il mal ch'ora la preme:

73

e le promette andar secoin Olanda;

ne fin che ne lo stato la rimetta,

e ch'abbia fatto iusta e memoranda

di quel periuro e traditor vendetta,

non cessera con cio che possa Irlanda,

e lo fara quanto potra piu in fretta.

Cercare intanto in quelle case e in queste

facea di gonne e di feminee veste.

74

Bisogno non sara, per trovar gonne,

ch'a cercar fuor de l'isola si mande;

ch'ogni di se n'avea da quelle donne

che de l'avido mostro eran vivande.

Non fe' molto cercar, che ritrovonne

di varie fogge Oberto copia grande;

e fe' vestir Olimpia, e ben gl'increbbe

non la poter vestir come vorrebbe.

75

Ma ne si bella seta o si fin'oro

mai Fiorentini industri tesser fenno;

ne chi ricama fece mai lavoro,

postovi tempo, diligenza e senno,

che potesse a costui parer decoro,

se lo fesse Minerva o il dio di Lenno,

e degno di coprir si belle membre,

che forza e ad or ad or se ne rimembre.

76

Per piu rispetti il paladino molto

si dimostro di questo amor contento:

ch'oltre che 'l re non lascerebbe asciolto

Bireno andar di tanto tradimento,

sarebbe anch'esso per tal mezzo tolto

di grave e di noioso impedimento,

quivi non per Olimpia, ma venuto

per dar, se v'era, alla sua donna aiuto.

77

Ch'ella non v'era si chiari di corto,

ma gia non si chiari se v'era stata;

perche ogn'uomo ne l'isola era morto,

ne un sol rimaso di si gran brigata.

Il di seguente si partir del porto,

e tutti insieme andaro in una armata.

Con loro ando in Irlanda il paladino;

che fu per gire in Francia il suo camino.

78

A pena un giorno si fermo in Irlanda;

non valser preghi a far che piu vi stesse:

Amor, che dietro alla sua donna il manda,

di fermarvisi piu non gli concesse.

Quindi si parte; e prima raccomanda

Olimpia al re, che servi le promesse:

ben che non bisognasse; che gli attenne

molto piu, che di far non si convenne.

79

Cosi fra pochi di gente raccolse;

e fatto lega col re d'Inghilterra

e con l'altro di Scozia, gli ritolse

Olanda, e in Frisa non gli lascio terra;

ed a ribellione anco gli volse

la sua Selandia: e non fini la guerra,

che gli die morte; ne pero fu tale

la pena, ch'al delitto andasse eguale.

80

Olimpia Oberto si piglio per moglie,

e di contessa la fe' gran regina.

Ma ritorniamo al paladin che scioglie

nel mar le vele, e notte e di camina;

poi nel medesmo porto le raccoglie,

donde pria le spiego ne la marina:

e sul suo Brigliadoro armato salse,

e lascio dietro i venti e l'onde salse.

81

Credo che 'l resto di quel verno cose

facesse degne di tenerne conto;

ma fur sin a quel tempo si nascose,

che non e colpa mia s'or non le conto;

percheOrlando a far l'opre virtuose,

piu che a narrarle poi, sempre era pronto:

ne mai fu alcun de li suoi fatti espresso,

se non quando ebbe i testimoni appresso.

82

Passo il resto del verno cosi cheto,

che di lui non si seppe cosa vera:

ma poi che 'l sol ne l'animal discreto

che porto Friso, illumino la sfera,

e Zefiro torno soave e lieto

a rimenar la dolce primavera;

d'Orlando usciron le mirabil pruove

coi vaghi fiori e con l'erbette nuove.

83

Di piano in monte, e di campagna in lido,

pien di travaglio e di dolor ne gia;

quando all'entrar d'un bosco, un lungo grido,

un alto duol l'orecchie gli feria.

Spinge il cavallo, e piglia il brando fido,

e donde viene il suon, ratto s'invia:

ma diferisco un'altra volta a dire

quel che segui, se mi vorrete udire.

CANTO TREDICESIMO

1

Ben furo aventurosi i cavallieri

ch'erano a quella eta, che nei valloni,

ne le scure spelonche e boschi fieri,

tane di serpi, d'orsi e di leoni,

trovavan quel che nei palazzi altieri

a pena or trovar puon giudici buoni:

donne, che ne la lor piu fresca etade

sien degne d'aver titol di beltade.

2

Di sopra vi narrai che ne la grotta

avea trovato Orlando una donzella,

e che la dimando ch'ivi condotta

l'avesse: or seguitando, dico ch'ella,

poi che piu d'un signiozzo l'ha interrotta,

con dolce e suavissima favella

al conte fa le sue sciagure note,

con quella brevita che meglio puote.

3

- Ben che io sia certa(dice), o cavalliero,

ch'io portero del mio parlar supplizio,

perche a colui che qui m'ha chiusa, spero

che costei ne dara subito indizio;

pur son disposta non celarti il vero,

e vada la mia vita in precipizio.

E ch'aspettar poss'io da lui piu gioia,

che 'l si disponga un di voler ch'io muoia?

4

Isabella sono io, che figlia fui

del re mal fortunato di Gallizia.

Ben dissi fui; ch'or non son piu di lui,

ma di dolor, d'affanno e di mestizia.

Colpa d'Amor; ch'io non saprei di cui

dolermi piu che de la sua nequizia,

che dolcemente nei principi applaude,

e tesse di nascosto inganno e fraude.

5

Gia mi vivea di mia sorte felice,

gentil, giovane, ricca, onesta e bella:

vile e povera or sono, or infelice;

e s'altra e peggior sorte, io sono in quella.

Ma voglio sappi la prima radice

che produsse quel mal che mi flagella;

e ben ch'aiuto poi da te non esca,

poco non mi parra, che te n'incresca.

6

Mio patre fe' inBaiona alcune giostre,

esser denno oggimai dodici mesi.

Trasse la fama ne le terre nostre

cavallieri a giostrar di piu paesi.

Fra gli altri(o sia ch'Amor cosi mi mostre,

o che virtu pur se stessa palesi)

mi parve da lodar Zerbino solo,

che del gran re di Scozia era figliuolo.

7

Il qual poi che far pruove in campo vidi

miracolose di cavalleria,

fui presa del suo amore; e non m'avidi,

ch'io mi conobbi piu non esser mia.

E pur, ben che 'l suo amor cosi mi guidi,

mi giova sempre avere in fantasia

ch'io non misi il mio core in luogo immondo,

ma nel piu degno e bel ch'oggi sia al mondo.

8

Zerbino di bellezza e di valore

sopra tutti i signori era eminente.

Mostrammi, e credo mi portasse amore,

e che di me non fosse meno ardente.

Non ci manco chi del commune ardore

interprete fra noi fosse sovente,

poi che di vista ancor fummo disgiunti;

che gli animi restar sempre congiunti.

9

Pero che dato fine alla gran festa,

il mio Zerbino in Scozia fe' ritorno.

Se sai che cosa e amor, ben sai che mesta

restai, di lui pensando notte e giorno;

ed era certa che non men molesta

fiamma intorno al suo cor facea soggiorno.

Egli non fece al suo disio piu schermi,

se non che cerco via di seco avermi.

10

E perche vieta la diversa fede

(essendo egli cristiano, io saracina)

ch'al mio padre per moglie non mi chiede,

per furto indi levarmi si destina.

Fuor de la ricca mia patria, che siede

tra verdi campi allato alla marina,

aveva un bel giardin sopra una riva,

che colli intorno e tutto il mar scopriva.

11

Gli parve il luogo a fornir cio disposto,

che la diversa religion ci vieta;

e mi fa saper l'ordine che posto

avea di far la nostra vita lieta.

Appresso a Santa Marta avea nascosto

con gente armata una galea secreta,

in guardia d'Odorico di Biscaglia,

in mare e in terra mastro di battaglia.

12

Ne potendo in persona far l'effetto,

perch'egli allora era dal padre antico

a dar soccorso al re di Francia astretto,

manderia in vece sua questo Odorico,

che fra tutti i fedeli amici eletto

s'avea pel piu fedele e pel piu amico:

e bene esser dovea, se i benefici

sempre hanno forza d'acquistar gli amici.

13

Verria costui sopra un navilio armato,

al terminato tempo indi a levarmi.

E cosi venne il giorno disiato,

che dentro il mio giardin lasciai trovarmi.

Odorico la notte, accompagnato

di gente valorosa all'acqua e all'armi,

smonto ad un fiume alla citta vicino,

e venne chetamente al mio giardino.

14

Quindi fui tratta alla galea spalmata,

prima che la citta n'avesse avisi.

De la famiglia ignuda e disarmata

altri fuggiro, altri restaro uccisi,

parte captiva meco fu menata.

Cosi da la mia terra iomi divisi,

con quanto gaudio non ti potrei dire,

sperando in breve il mio Zerbin fruire.

15

Voltati sopra Mongia eramo a pena,

quando ci assalse alla sinistra sponda

un vento che turbo l'aria serena,

e turbo il mare, e al ciel gli levo l'onda.

Salta un maestro ch'a traverso mena,

e cresce ad ora ad ora, e soprabonda;

e cresce e soprabonda con tal forza,

che val poco alternar poggia con orza.

16

Non giova calar vele, e l'arbor sopra

corsia legar, ne ruinar castella;

che ci veggian mal grado portar sopra

acuti scogli, appresso alla Rocella.

Se non ci aiuta quel che sta di sopra,

ci spinge in terra la crudel procella.

Il vento rio ne caccia in maggior fretta,

che d'arco mai non si avento saetta.

17

Vide il periglio il Biscaglino, e a quello

uso un rimedio che fallir suol spesso:

ebbe ricorso subito al battello;

calossi, e me calar fece con esso.

Sceser dui altri, e ne scendea un drappello,

se i primi scesi l'avesser concesso;

ma con le spade li tenner discosto,

tagliar la fune, e ci allargammo tosto.

18

Fummo gittati a salvamento al lito

noi che nel palischermo eramo scesi;

periron gli altri col legno sdrucito;

in preda al mare andar tutti gli arnesi.

All'eterna Bontade, all'infinito

Amor, rendendo grazie, le man stesi,

che non m'avessi dal furor marino

lasciato tor di riveder Zerbino.

19

Come ch'io avessi sopra il legno e vesti

lasciato e gioie e l'altre cose care,

pur che la speme di Zerbin mi resti,

contenta son che s'abbi il resto il mare.

Non sono, ove scendemo, i liti pesti

d'alcun sentier, ne intorno albergo appare;

ma solo il monte, al qual mai sempre fiede

l'ombroso capo il vento, e 'l mare il piede.

20

Quivi il crudo tiranno Amor, che sempre

d'ogni promessa sua fu disleale,

e sempre guarda come involva e stempre

ogni nostro disegno razionale,

muto con triste e disoneste tempre

mio conforto in dolor, mio bene in male;

che quell'amico, in chi Zerbin si crede,

di desire arse, ed agghiaccio di fede.

21

O che m'avesse in mar bramata ancora,

ne fosse stato a dimostrarlo ardito,

o cominciassi il desiderio allora

che l'agio v'ebbe dal solingo lito;

disegno quivi senza piu dimora

condurre a fin l'ingordo suo appetito;

ma prima da se torre un de li dui

che nel battel campati eran con nui.

22

Quell'era omo di Scozia, Almonio detto,

che mostrava a Zerbin portar gran fede;

e commendato per guerrier perfetto

da lui fu, quando ad Odorico il diede.

Disse a costui, che biasmo era e difetto,

se mi traeano alla Rocella a piede;

e lo prego ch'inanti volesse ire

a farmi incontra alcun ronzin venire.

23

Almonio, che di cio nulla temea,

immantinente inanzi il camin piglia

alla citta che 'l bosco ci ascondea,

e non era lontana oltra sei miglia.

Odoricoscoprir sua voglia rea

all'altro finalmente si consiglia;

si perche tor non se lo sa d'appresso,

si perche avea gran confidenza in esso.

24

Era Corebo di Bilbao nomato

quel di ch'io parlo, che con noi rimase;

che da fanciullo picciolo allevato

s'era con lui ne le medesme case.

Poter con lui communicar l'ingrato

pensiero il traditor si persuase,

sperando ch'ad amar saria piu presto

il piacer de l'amico, che l'onesto.

25

Corebo, che gentile era e cortese,

non lo pote ascoltar senza gran sdegno:

lo chiamo traditore, e gli contese

con parole e con fatti il rio disegno.

Grande ira all'uno e all'altro il core accese,

e con le spade nude ne fer segno.

Al trar de' ferri, io fui da la paura

volta a fuggir per l'alta selva oscura.

26

Odorico, che maestro era di guerra,

in pochi colpi a tal vantaggio venne,

che per morto lascio Corebo in terra,

e per le mie vestigie il camin tenne.

Prestogli Amor(se 'l mio creder non erra),

accio potesse giungermi, le penne;

e gl'insegno molte lusinghe e prieghi,

con che ad amarlo e compiacer mi pieghi.

27

Ma tutto e indarno; che fermata e certa

piu tosto era a morir, ch'a satisfarli.

Poi ch'ogni priego, ogni lusinga esperta

ebbe e minacce, e non potean giovarli,

si ridusse alla forza a faccia aperta.

Nulla mi val che supplicando parli

de la fe ch'avea in lui Zerbino avuta,

e ch'io ne le sue man m'era creduta.

28

Poi che gittar mi vidi i prieghi invano,

ne mi sperare altronde altro soccorso,

e che piu sempre cupido e villano

a me venia, come famelico orso;

io mi difesi con piedi e con mano,

ed adopra'vi sin a l'ugne e il morso:

pela'gli il mento, e gli graffiai la pelle,

con stridi che n'andavano alle stelle.

29

Non so se fosse caso, o li miei gridi

che si doveano udir lungi una lega,

o pur ch'usati sian correre ai lidi

quando navilio alcun si rompe o anniega;

sopra il monte una turba apparir vidi,

e questa al mare e verso noi si piega.

Come la vede il Biscaglin venire,

lascia l'impresa, e voltasi a fuggire.

30

Contra quel disleal mi fu adiutrice

questa turba, signor; ma a quella image

che sovente in proverbio il vulgo dice:

cader de la padella ne le brage.

Gli e ver ch'io non son stata si infelice,

ne le lor menti ancor tanto malvage,

ch'abbino violata mia persona:

non che sia in lor virtu, ne cosa buona.

31

Ma perche se mi serban, come io sono,

vergine, speran vendermi piu molto.

Finito e il mese ottavo e viene il nono,

che fu il mio vivo corpo qui sepolto.

Del mio Zerbino ogni speme abbandono;

che gia, per quanto ho da lor detti accolto,

m'han promessa e venduta a un mercadante,

che portare al soldanmi de' in Levante. -

32

Cosi parlava la gentil donzella;

e spesso con signiozzi e con sospiri

interrompea l'angelica favella,

da muovere a pietade aspidi e tiri.

Mentre sua doglia cosi rinovella,

o forse disacerba i suoi martiri,

da venti uomini entrar ne la spelonca,

armati chi di spiedo e chi di ronca.

33

Il primo d'essi, uom di spietato viso,

ha solo un occhio, e sguardo scuro e bieco;

l'altro, d'un colpo che gli avea reciso

il naso e la mascella, e fatto cieco.

Costui vedendo il cavalliero assiso

con la vergine bella entro allo speco,

volto a' compagni, disse: - Ecco augel nuovo,

a cui non tesi, e ne la rete il truovo. -

34

Poi disse al conte: - Uomo non vidi mai

piu commodo di te, ne piu opportuno.

Non so se ti se' apposto, o se lo sai

perche te l'abbia forse detto alcuno,

che si bell'arme io desiava assai,

e questo tuo leggiadro abito bruno.

Venuto a tempo veramente sei,

per riparare agli bisogni miei. -

35

Sorrise amaramente, in pie salito,

Orlando, e fe' risposta al mascalzone:

- Io ti vendero l'arme ad un partito

che non ha mercadante in sua ragione. -

Del fuoco, ch'avea appresso, indi rapito

pien di fuoco e di fumo uno stizzone,

trasse, e percosse il malandrino a caso,

dove confina con le ciglia il naso.

36

Lo stizzone ambe le palpebre colse,

ma maggior danno fe' ne la sinistra;

che quella parte misera gli tolse,

che de la luce sola, era ministra.

Ne d'acciecarlo contentar si volse

il colpo fier, s'ancor non lo registra

tra quelli spirti che con suoi compagni

fa star Chiron dentro ai bollenti stagni.

37

Ne la spelonca una gran mensa siede

grossa duo palmi, e spaziosa in quadro,

che sopra un mal pulito e grosso piede,

cape con tutta la famiglia il ladro.

Con quell'agevolezza che si vede

gittar la canna lo Spagnuol leggiadro,

Orlando il grave desco da se scaglia

dove ristretta insieme e la canaglia.

38

A chi'l petto, a chi'l ventre, a chi la testa,

a chi rompe le gambe, a chi le braccia;

di ch'altri muore, altri storpiato resta:

chi meno e offeso, di fuggir procaccia.

Cosi talvolta un grave sasso pesta

e fianchi e lombi, e spezza capi e schiaccia,

gittato sopra un gran drapel di biscie,

che dopo il verno al sol si goda e liscie.

39

Nascono casi, e non saprei dir quanti:

una muore, una parte senza coda,

un'altra non si puo muover davanti,

e 'l deretano indarno aggira e snoda;

un'altra, ch'ebbe piu propizi i santi,

striscia fra l'erbe, e va serpendo a proda.

Il colpo orribil fu, ma non mirando,

poi che lo fece il valoroso Orlando.

40

Quei che la mensa o nulla o pocooffese

(e Turpin scrive a punto che fur sette),

ai piedi raccomandan sue difese:

ma ne l'uscita il paladin si mette;

e poi che presi gli ha senza contese,

le man lor lega con la fune istrette,

con una fune al suo bisogno destra,

che ritrovo ne la casa silvestra.

41

Poi li trascina fuor de la spelonca,

dove facea grande ombra un vecchio sorbo.

Orlando con la spada i rami tronca,

e quelli attacca per vivanda al corbo.

Non bisogno catena in capo adonca;

che per purgare il mondo di quel morbo,

l'arbor medesmo gli uncini prestolli,

con che pel mento Orlando ivi attaccolli.

42

La donna vecchia, amica a' malandrini,

poi che restar tutti li vide estinti,

fuggi piangendo e con le mani ai crini,

per selve e boscherecci labirinti.

Dopo aspri e malagevoli camini,

a gravi passi e dal timor sospinti,

in ripa un fiume in un guerrier scontrosse;

ma diferisco a ricontar chi fosse:

43

e torno all'altra, che si raccomanda

al paladin che non la lasci sola;

e dice di seguirlo in ogni banda.

Cortesemente Orlando la consola;

e quindi, poi ch'usci con la ghirlanda

di rose adorna e di purpurea stola

la bianca Aurora al solito camino,

parti con Isabella il paladino.

44

Senza trovar cosa che degna sia

d'istoria, molti giorni insieme andaro;

e finalmente un cavallier per via,

che prigione era tratto, riscontraro.

Chi fosse, diro poi; ch'or me ne svia

tal, di chi udir non vi sara men caro:

la figliuola d'Amon, la qual lasciai

languida dianzi in amorosi guai.

45

La bella donna, disiando invano

ch'a lei facesse il suo Ruggier ritorno,

stava a Marsilia, ove allo stuol pagano

dava da travagliar quasi ogni giorno;

il qual scorrea, rubando in monte e in piano,

per Linguadoca e per Provenza intorno:

ed ella ben facea l'ufficio vero

di savio duca e d'ottimo guerriero.

46

Standosi quivi, e di gran spazio essendo

passato il tempo che tornare a lei

il suo Ruggier dovea, ne lo vedendo,

vivea in timor di mille casi rei.

Un di fra gli altri, che di cio piangendo

stava solinga, le arrivo colei

che porto ne l'annel la medicina

che sano il cor ch'avea ferito Alcina.

47

Come a se ritornar senza il suo amante,

dopo si lungo termine, la vede,

resta pallida e smorta, e si tremante,

che non ha forza di tenersi in piede:

ma la maga gentil le va davante

ridendo, poi che del timor s'avede;

e con viso giocondo la conforta,

qual aver suol chi buone nuove apporta.

48

- Non temer(disse) di Ruggier, donzella,

ch'e vivo e sano, e come suol, t'adora;

ma non e gia in sua liberta; che quella

pur gli ha levata il tuo nemico ancora:

ed e bisogno che tu monti in sella,

se brami averlo, e che mi segui or ora;

che se mi segui,io t'apriro la via

donde per te Ruggier libero fia. -

49

E seguito, narrandole di quello

magico error che gli avea ordito Atlante:

che simulando d'essa il viso bello,

che captiva parea del rio gigante,

tratto l'avea ne l'incantato ostello,

dove sparito poi gli era davante;

e come tarda con simile inganno

le donne e i cavallier che di la vanno.

50

A tutti par, l'incantator mirando,

mirar quel che per se brama ciascuno,

donna, scudier, compagno, amico; quando

il desiderio uman non e tutto uno.

Quindi il palagio van tutti cercando

con lungo affanno, senza frutto alcuno;

e tanta e la speranza e il gran disire

del ritrovar, che non ne san partire.

51

Come tu giungi(disse) in quella parte

che giace presso all'incantata stanza,

verra l'incantatore a ritrovarte,

che terra di Ruggiero ogni sembianza;

e ti fara parer con sua mal'arte,

ch'ivi lo vinca alcun di piu possanza,

accio che tu per aiutarlo vada

dove con gli altri poi ti tenga a bada.

52

Accio l'inganni, in che son tanti e tanti

caduti, non ti colgan, sie avertita,

che se ben di Ruggier viso e sembianti

ti parra di veder, che chieggia aita,

non gli dar fede tu; ma, come avanti

ti vien, fagli lasciar l'indegna vita:

ne dubitar percio che Ruggier muoia,

ma ben colui che ti da tanta noia.

53

Ti parra duro assai, ben lo conosco,

uccidere un che sembri il tuo Ruggiero:

pur non dar fede all'occhio tuo, che losco

fara l'incanto, e celeragli il vero.

Fermati, pria ch'io ti conduca al bosco,

si che poi non si cangi il tuo pensiero;

che sempre di Ruggier rimarrai priva,

se lasci per vilta che 'l mago viva. -

54

La valorosa giovane, con questa

intenzion che 'l fraudolente uccida,

a pigliar l'arme ed a seguire e presta

Melissa; che sa ben quanto l'e fida.

Quella, or per terren culto, or per foresta,

a gran giornate e in gran fretta la guida,

cercando alleviarle tuttavia

con parlar grato la noiosa via.

55

E piu di tutti i bei ragionamenti,

spesso le ripetea ch'uscir di lei

e di Ruggier doveano gli eccellenti

principi e gloriosi semidei.

Come a Melissa fossino presenti

tutti i secreti degli eterni dei,

tutte le cose ella sapea predire,

ch'avean per molti seculi a venire.

56

- Deh, come, o prudentissima mia scorta

(dicea a la maga l'inclita donzella),

molti anni prima tu m'hai fatta accorta

di tanta mia viril progenie bella;

cosi d'alcuna donna mi conforta,

che di mia stirpe sia, s'alcuna in quella

metter si puo tra belle e virtuose. -

E la cortese maga le rispose:

57

- Da te uscir veggio le pudiche donne,

madri d'imperatori e di gran regi,

reparatrici e solide colonne

di case illustri e di domini egregi;

che men degne non son ne le lorgonne,

ch'in arme i cavallier, di sommi pregi,

di pieta, di gran cor, di gran prudenza,

di somma e incomparabil continenza.

58

E s'io avro da narrarti di ciascuna

che ne la stirpe tua sia d'onor degna,

troppo sara; ch'io non ne veggio alcuna

che passar con silenzio mi convegna.

Ma ti faro, tra mille, scelta d'una

o di due coppie, accio ch'a fin ne vegna.

Ne la spelonca perche nol dicesti?

che l'imagini ancor vedute avresti.

59

De la tua chiara stirpe uscira quella

d'opere illustri e di bei studi amica,

ch'io non so ben se piu leggiadra e bella

mi debba dire, o piu saggia e pudica,

liberale e magnanima Isabella,

che del bel lume suo di e notte aprica

fara la terra che sul Menzo siede,

a cui la madre d'Ocno il nome diede:

60

dove onorato e splendido certame

avra col suo dignissimo consorte,

chi di lor piu le virtu prezzi ed ame,

e chi meglio apra a cortesia le porte.

S'un narrera ch'al Taro e nel Reame

fu a liberar da' Galli Italia forte;

l'altra dira: - Sol perche casta visse

Penelope, non fu minor d'Ulisse. -

61

Gran cose e molte in brevi detti accolgo

di questa donna e piu dietro ne lasso,

che in quelli di ch'io mi levai dal volgo,

mi fe' chiare Merlin dal cavo sasso.

E s'in questo gran mar la vela sciolgo,

di lunga Tifi in navigar trapasso.

Conchiudo in somma, ch'ella avra, per dono,

de la virtu e del ciel, cio ch'e di buono.

62

Seco avra la sorella Beatrice,

a cui si converra tal nome a punto:

ch'essa non sol del ben che qua giu lice,

per quel che vivera, tocchera il punto;

ma avra forza di far seco felice,

fra tutti i ricchi duci, il suo congiunto,

il qual, come ella poi lascera il mondo,

cosi de l'infelici andra nel fondo.

63

E Moro e Sforza e Viscontei colubri,

lei viva, formidabili saranno

da l'iperboree nievi ai lidi rubri,

da l'Indo ai monti ch'al tuo mar via danno:

lei morta, andran col regno degl'Insubri,

e con grave di tutta Italia danno,

in servitute; e fia stimata, senza

costei, ventura la somma prudenza.

64

Vi saranno altre ancor, ch'avranno il nome

medesmo, e nasceran molt'anni prima:

di ch'una s'ornera le sacre chiome

de la corona di Pannonia opima;

un'altra, poi che le terrene some

lasciate avra, fia ne l'ausonio clima

collocata nel numer de le dive,

ed avra incensi e imagini votive.

65

De l'altre tacero; che, come ho detto,

lungo sarebbe a ragionar di tante;

ben che per se ciascuna abbia suggetto

degno, ch'eroica e chiara tuba cante.

Le Bianche, le Lucrezie io terro in petto,

e le Costanze e l'altre, che di quante

splendide case Italia reggeranno,

reparatrici e madri ad esser hanno.

66

Piu ch'altre fosser mai, le tuefamiglie

saran ne le lor donne aventurose;

non dico in quella piu de le lor figlie,

che ne l'alta onesta de le lor spose.

E accio da te notizia anco si piglie

di questa parte che Merlin mi espose,

forse perch'io 'l dovessi a te ridire,

ho di parlarne non poco desire.

67

E diro prima di Ricciarda, degno

esempio di fortezza e d'onestade:

vedova rimarra, giovane, a sdegno

di Fortuna; il che spesso ai buoni accade.

I figli, privi del paterno regno,

esuli andar vedra in strane contrade,

fanciulli in man degli aversari loro;

ma infine avra il suo male amplo ristoro.

68

De l'alta stirpe d'Aragone antica

non tacero la splendida regina,

di cui ne saggia si, ne si pudica

veggio istoria lodar greca o latina,

ne a cui Fortuna piu si mostri amica:

poi che sara da la Bonta divina

elletta madre a parturir la bella

progenie, Alfonso, Ippolito e Isabella.

69

Costei sara la saggia Leonora,

che nel tuo felice arbore s'inesta.

Che ti diro de la seconda nuora,

succeditrice prossima di questa?

Lucrezia Borgia, di cui d'ora in ora

le belta, la virtu, la fama onesta

e la fortuna crescera, non meno

che giovin pianta in morbido terreno.

70

Qual lo stagno all'argento, il rame all'oro,

il campestre papavero alla rosa,

pallido salce al sempre verde alloro,

dipinto vetro a gemma preziosa;

tal a costei, ch'ancor non nata onoro,

sara ciascuna insino a qui famosa

di singular belta, di gran prudenza,

e d'ogni altra lodevole eccellenza.

71

E sopra tutti gli altri incliti pregi

che le saranno e a viva e a morta dati,

si lodera che di costumi regi

Ercole e gli altri figli avra dotati,

e dato gran principio ai ricchi fregi

di che poi s'orneranno in toga e armati;

perche l'odor non se ne va si in fretta,

ch'in nuovo vaso, o buono o rio, si metta.

72

Non voglio ch'in silenzio anco Renata

di Francia, nuora di costei, rimagna,

di Luigi il duodecimo re nata,

e de l'eterna gloria di Bretagna.

Ogni virtu ch'in donna mai sia stata,

di poi che 'l fuoco scalda e l'acqua bagna,

e gira intorno il cielo, insieme tutta

per Renata adornar veggio ridutta.

73

Lungo sara che d'Alda di Sansogna

narri, o de la contessa di Celano,

o di Bianca Maria di Catalogna,

o de la figlia del re sicigliano,

o de la bella Lippa da Bologna,

e d'altre; che s'io vo' di mano in mano

venirtene dicendo le gran lode,

entro in un alto mar che non ha prode. -

74

Poi che le racconto la maggior parte

de la futura stirpe a suo grand'agio,

piu volte e piu le replico de l'arte

ch'avea tratto Ruggier dentro al palagio.

Melissa si fermo, poi che fu in parte

vicina al luogo del vecchio malvagio;

e non le parve di venir piuinante,

accio veduta non fosse da Atlante.

75

E la donzella di nuovo consiglia

di quel che mille volte ormai l'ha detto.

La lascia sola; e quella oltre a dua miglia

non cavalco per un sentiero istretto,

che vide quel ch'al suo Ruggier simiglia;

e dui giganti di crudele aspetto

intorno avea, che lo stringean si forte,

ch'era vicino esser condotto a morte.

76

Come la donna in tal periglio vede

colui che di Ruggiero ha tutti i segni,

subito cangia in sospizion la fede,

subito oblia tutti i suoi bei disegni.

Che sia in odio a Melissa Ruggier crede,

per nuova ingiuria e non intesi sdegni,

e cerchi far con disusata trama

che sia morto da lei che cosi l'ama.

77

Seco dicea: - Non e Ruggier costui,

che col cor sempre, ed or con gli occhi veggio?

e s'or non veggio e non conosco lui,

che mai veder o mai conoscer deggio?

perche voglio io de la credenza altrui

che la veduta mia giudichi peggio?

Che senza gli occhi ancor, sol per se stesso

puo il cor sentir se gli e lontano o appresso. -

78

Mentre che cosi pensa, ode la voce

che le par di Ruggier, chieder soccorso;

e vede quello a un tempo, che veloce

sprona il cavallo e gli ralenta il morso,

e l'un nemico e l'altro suo feroce,

che lo segue e lo caccia a tutto corso.

Di lor seguir la donna non rimase,

che si condusse all'incantate case.

79

De le quai non piu tosto entro le porte,

che fu sommersa nel commune errore.

Lo cerco tutto per vie dritte e torte

invan di su e di giu, dentro e di fuore;

ne cessa notte o di, tanto era forte

l'incanto: e fatto avea l'incantatore,

che Ruggier vede sempre e gli favella,

ne Ruggier lei, ne lui riconosce ella.

80

Ma lascian Bradamante, e non v'incresca

udir che cosi resti in quello incanto;

che quando sara il tempo ch'ella n'esca,

la faro uscire, e Ruggiero altretanto.

Come raccende il gusto il mutar esca,

cosi mi par che la mia istoria, quanto

or qua or la piu variata sia,

meno a chi l'udira noiosa fia.

81

Di molte fila esser bisogno parme

a condur la gran tela ch'io lavoro.

E pero non vi spiaccia d'ascoltarme,

come fuor de le stanze il popul Moro

davanti al re Agramante ha preso l'arme,

che, molto minacciando ai Gigli d'oro,

lo fa assembrare ad una mostra nuova,

per saper quanta gente si ritruova.

82

Perch'oltre i cavallieri, oltre i pedoni

ch'al numero sottratti erano in copia,

mancavan capitani, e pur de' buoni,

e di Spagna e di Libia e d'Etiopia,

e le diverse squadre e le nazioni

givano errando senza guida propia;

per dare e capo ed ordine a ciascuna,

tutto il campo alla mostra si raguna.

83

In supplimentode le turbe uccise

ne le battaglie e ne' fieri conflitti,

l'un signore in Ispagna, e l'altro mise

in Africa, ove molti n'eran scritti;

e tutti alli lor ordini divise,

e sotto i duci lor gli ebbe diritti.

Differiro, Signor, con grazia vostra,

ne l'altro canto l'ordine e la mostra.

1

Fu il vincer sempremai laudabil cosa,

vincasi o per fortuna o per ingegno:

gli e ver che la vittoria sanguinosa

spesso far suole il capitan men degno;

e quella eternamente e gloriosa,

e dei divini onori arriva al segno,

quando servando i suoi senza alcun danno,

si fa che gl'inimici in rotta vanno.

2

La vostra, Signor mio, fu degna loda,

quando al Leone, in mar tanto feroce,

ch'avea occupata l'una e l'altra proda

del Po, da Francolin sin alla foce,

faceste si, ch'ancor che ruggir l'oda,

s'io vedro voi, non tremero alla voce.

Come vincer si de', ne dimostraste;

ch'uccideste i nemici, e noi salvaste.

3

Questo il pagan, troppo in suo danno audace,

non seppe far; che i suoi nel fosso spinse,

dove la fiamma subita e vorace

non perdono ad alcun, ma tutti estinse.

A tanti non saria stato capace

tutto il gran fosso, ma il fuoco restrinse,

restrinse i corpi e in polve li ridusse,

accio ch'abile a tutti il luogo fusse.

4

Undicimila ed otto sopra venti

si ritrovar ne l'affocata buca,

che v'erano discesi malcontenti;

ma cosi volle il poco saggio duca.

Quivi fra tanto lume or sono spenti,

e la vorace fiamma li manuca:

e Rodomonte, causa delmal loro,

se ne va esente da tanto martoro:

5

che tra' nemici alla ripa piu interna

era passato d'un mirabil salto.

Se con gli altri scendea ne la caverna,

questo era ben il fin d'ogni suo assalto.

Rivolge gli occhi a quella valle inferna;

e quando vede il fuoco andar tant'alto,

e di sua gente il pianto ode e lo strido,

bestemmia il ciel con spaventoso grido.

6

Intanto il re Agramante mosso avea

impetuoso assalto ad una porta;

che, mentre la crudel battaglia ardea

quivi ove e tanta gente afflitta e morta,

quella sprovista forse esser credea

di guardia, che bastasse alla sua scorta.

Seco era il re d'Arzilla Bambirago,

e Baliverzo, d'ogni vizio vago;

7

e Corineo di Mulga, e Prusione,

il ricco re dell'Isole beate;

Malabuferso che la regione

tien di Fizan, sotto continua estate;

altri signori, ed altre assai persone

esperte ne la guerra e bene armate;

e molti ancor senza valore e nudi,

che 'l cor non s'armerian con mille scudi.

8

Trovo tutto il contrario al suo pensiero

in questa parte il re de' Saracini:

perche in persona il capo de l'Impero

v'era, re Carlo, e de' suoi paladini,

re Salamone ed il danese Ugiero,

ed ambo i Guidi ed ambo gli Angelini,

e 'l duca di Bavera e Ganelone,

e Berlengier e Avolio e Avino e Otone;

9

gente infinita poi di minor conto,

de' Franchi, de' Tedeschi e de' Lombardi,

presente il suo signor, ciascuno pronto

a farsi riputar fra i piu gagliardi.

Di questo altrove io vo' rendervi conto;

ch'ad un gran duca e forza ch'io riguardi,

il qual mi grida, e di lontano accenna,

e priega ch'io nol lasci ne la penna.

10

Gli e tempo ch'io ritorni ove lasciai

l'aventuroso Astolfo d'Inghilterra,

che 'l lungo esilio avendo in odio ormai,

di desiderio ardea de la sua terra;

come gli n'avea data pur assai

speme colei ch'Alcina vinse in guerra.

Ella di rimandarvilo avea cura

per la via piu espedita e piu sicura.

11

E cosi una galea fu apparechiata,

di che miglior mai non solco marina;

e perche ha dubbio per tutta fiata,

che non gli turbi il suo viaggio Alcina,

vuol Logistilla che con forte armata

Andronica ne vada e Sofrosina,

tanto che nel mar d'Arabi, o nel golfo

de' Persi, giunga a salvamento Astolfo.

12

Piu tosto vuol che volteggiando rada

gli Sciti e gl'Indi e i regni nabatei,

e torni poi per cosi lunga strada

a ritrovar i Persi e gli Eritrei;

che per quel boreal pelago vada,

che turban sempre iniqui venti e rei,

e si, qualche stagion, pover di sole,

che starne senza alcuni mesi suole.

13

La fata, poi che vide acconcio il tutto,

diede licenza al duca di partire,

avendol prima ammaestrato e istrutto

di cose assai, che fora lungo a dire;

e per schivar che non sia piu ridutto

perarte maga, onde non possa uscire,

un bello ed util libro gli avea dato,

che per suo amore avesse ognora allato.

14

Come l'uom riparar debba agl'incanti

mostra il libretto che costei gli diede:

dove ne tratta o piu dietro o piu inanti,

per rubrica e per indice si vede.

Un altro don gli fece ancor, che quanti

doni fur mai, di gran vantaggio eccede:

e questo fu d'orribil suono un corno,

che fa fugire ognun che l'ode intorno.

15

Dico che 'l corno e di si orribil suono,

ch'ovunque s'oda, fa fuggir la gente:

non puo trovarsi al mondo un cor si buono,

che possa non fuggir come lo sente:

rumor di vento e di termuoto, e 'l tuono,

a par del suon di questo, era niente.

Con molto riferir di grazie, prese

da la fata licenza il buono Inglese.

16

Lasciando il porto e l'onde piu tranquille,

con felice aura ch'alla poppa spira,

sopra le ricche e populose ville

de l'odorifera India il duca gira,

scoprendo a destra ed a sinistra mille

isole sparse; e tanto va, che mira

la terra di Tomaso, onde il nocchiero

piu a tramontana poi volge il sentiero.

17

Quasi radendo l'aurea Chersonesso,

la bella armata il gran pelago frange:

e costeggiando i ricchi liti, spesso

vede come nel mar biancheggi il Gange;

e Traprobane vede e Cori appresso;

e vede il mar che fra i duo liti s'ange.

Dopo gran via furo a Cochino, e quindi

usciro fuor dei termini degl'Indi.

18

Scorrendo il duca il mar con si fedele

e si sicura scorta, intender vuole,

e ne domanda Andronica, se de le

parti c'han nome dal cader del sole,

mai legno alcun che vada a remi e a vele,

nel mare orientale apparir suole;

e s'andar puo senza toccar mai terra,

chi d'India scioglia, in Francia o in Inghilterra.

19

- Tu dei sapere(Andronica risponde)

che d'ogn'intorno il mar la terra abbraccia;

e van l'una ne l'altra tutte l'onde,

sia dove bolle o dove il mar s'aggiaccia;

ma perche qui davante si difonde,

e sotto il mezzodi molto si caccia

la terra d'Etiopia, alcuno ha detto

ch'a Nettuno ir piu inanzi ivi e interdetto.

20

Per questo del nostro indico levante

nave non e che per Europa scioglia;

ne si muove d'Europa navigante

ch'in queste nostre parti arrivar voglia.

Il ritrovarsi questa terra avante,

e questi e quelli al ritornare invoglia;

che credono, veggendola si lunga,

che con l'altro emisperio si congiunga.

21

Ma volgendosi gli anni, io veggio uscire

da l'estreme contrade di ponente

nuovi Argonauti e nuovi Tifi, e aprire

la strada ignota infin al di presente:

altri volteggiar l'Africa, e seguire

tanto la costa de la negra gente,

che passino quel segno onde ritorno

fa il sole a noi, lasciando il Capricorno;

22

e ritrovar del lungo tratto il fine,

che questo faparer dui mar diversi;

e scorrer tutti i liti e le vicine

isole d'Indi, d'Arabi e di Persi:

altri lasciar le destre e le mancine

rive che due per opra Erculea fersi;

e del sole imitando il camin tondo,

ritrovar nuove terre e nuovo mondo.

23

Veggio la santa croce, e veggio i segni

imperial nel verde lito eretti:

veggio altri a guardia dei battuti legni,

altri all'acquisto del paese eletti:

veggio da dieci cacciar mille, e i regni

di la da l'India ad Aragon suggetti;

e veggio i capitan di Carlo quinto,

dovunque vanno, aver per tutto vinto.

24

Dio vuol ch'ascosa antiquamente questa

strada sia stata, e ancor gran tempo stia;

ne che prima si sappia, che la sesta

e la settima eta passata sia:

e serba a farla al tempo manifesta,

che vorra porre il mondo a monarchia,

sotto il piu saggio imperatore e giusto,

che sia stato o sara mai dopo Augusto.

25

Del sangue d'Austria e d'Aragon io veggio

nascer sul Reno alla sinistra riva

un principe, al valor del qual pareggio

nessun valor, di cui si parli o scriva.

Astrea veggio per lui riposta in seggio,

anzi di morta ritornata viva;

e le virtu che caccio il mondo, quando

lei caccio ancora, uscir per lui di bando.

26

Per questi merti la Bonta suprema

non solamente di quel grande impero

ha disegnato ch'abbia diadema

ch'ebbe Augusto, Traian, Marco e Severo;

ma d'ogni terra e quinci e quindi estrema,

che mai ne al sol ne all'anno apre il sentiero:

e vuol che sotto a questo imperatore

solo un ovile sia, solo un pastore.

27

E perch'abbian piu facile successo

gli ordini in cielo eternamente scritti,

gli pon la somma Providenza appresso

in mare e in terra capitani invitti.

Veggio Hernando Cortese, il qualo ha messo

nuove citta sotto i cesarei editti,

e regni in Oriente si remoti,

ch'a noi, che siamo in India, non son noti.

28

Veggio Prosper Colonna, e di Pescara

veggio un marchese, e veggio dopo loro

un giovene del Vasto, che fan cara

parer la bella Italia ai Gigli d'oro:

veggio ch'entrare inanzi si prepara

quel terzo agli altri a guadagnar l'alloro:

come buon corridor ch'ultimo lassa

le mosse, e giunge, e inanzi a tutti passa.

29

Veggio tanto il valor, veggio la fede

tanta d'Alfonso(che 'l suo nome e questo),

ch'in cosi acerba eta, che non eccede

dopo il vigesimo anno ancora il sesto,

l'imperator l'esercito gli crede,

il qual salvando, salvar non che 'l resto,

ma farsi tutto il mondo ubidiente

con questo capitan sara possente.

30

Come con questi, ovunque andar per terra

si possa, accrescera l'imperio antico;

cosi per tutto il mar, ch'in mezzo serra

di la l'Europa e di qua l'Afro aprico,

sara vittorioso in ogni guerra,

poi ch'Andrea Doria s'avra fatto amico.

Questo e quel Doria che fa dai pirati

sicuro il vostromar per tutti i lati.

31

Non fu Pompeio a par di costui degno,

se ben vinse e caccio tutti i corsari;

pero che quelli al piu possente regno

che fosse mai, non poteano esser pari:

ma questo Doria, sol col proprio ingegno

e proprie forze purghera quei mari;

si che da Calpe al Nilo, ovunque s'oda

il nome suo, tremar veggio ogni proda.

32

Sotto la fede entrar, sotto la scorta

di questo capitan di ch'io ti parlo,

veggio in Italia, ove da lui la porta

gli sara aperta, alla corona Carlo.

Veggio che 'l premio che di cio riporta,

non tien per se, ma fa alla patria darlo:

con prieghi ottien ch'in liberta la metta,

dove altri a se l'avria forse suggetta.

33

Questa pieta, ch'egli alla patria mostra,

e degna di piu onor d'ogni battaglia

ch'in Francia o in Spagna o ne la terra vostra

vincesse Iulio, o in Africa o in Tessaglia.

Ne il grande Ottavio, ne chi seco giostra

di par, Antonio, in piu onoranza saglia

pei gesti suoi; ch'ogni lor laude amorza

l'avere usato alla lor patria forza.

34

Questi ed ogn'altro che la patria tenta

di libera far serva, si arrosisca;

ne dove il nome d'Andrea Doria senta,

di levar gli occhi in viso d'uomo ardisca.

Veggio Carlo che 'l premio gli augumenta;

ch'oltre quel ch'in commun vuol che fruisca,

gli da la ricca terra ch'ai Normandi

sara principio a farli in Puglia grandi.

35

A questo capitan non pur cortese

il magnanimo Carlo ha da mostrarsi,

ma a quanti avra ne le cesaree imprese

del sangue lor non ritrovati scarsi.

D'aver citta, d'aver tutto un paese

donato a un suo fedel, piu ralegrarsi

lo veggio, e a tutti quei che ne son degni,

che d'acquistar nuov'altri imperi e regni. -

36

Cosi de le vittorie, le qual, poi

ch'un gran numero d'anni sara corso,

daranno a Carlo i capitani suoi,

facea col duca Andronica discorso:

e la compagna intanto ai venti eoi

viene allentando e raccogliendo il morso;

e fa ch'or questo or quel propizio l'esce,

e come vuol li minuisce e cresce.

37

Veduto aveano intanto il mar de' Persi

come in si largo spazio si dilaghi;

onde vicini in pochi giorni fersi

al golfo che nomar gli antiqui Maghi.

Quivi pigliaro il porto, e fur conversi

con la poppa alla ripa i legni vaghi;

quindi sicur d'Alcina e di sua guerra,

Astolfo il suo camin prese per terra.

38

Passo per piu d'un campo e piu d'un bosco,

per piu d'un monte e per piu d'una valle;

ove ebbe spesso, all'aer chiaro e al fosco,

i ladroni or inanzi or alle spalle.

Vide leoni, e draghi pien di tosco,

ed altre fere attraversarsi il calle;

ma non si tosto avea la bocca al corno,

che spaventati gli fuggian d'intorno.

39

Vien perl'Arabia ch'e detta Felice,

ricca di mirra e d'odorato incenso,

che per suo albergo l'unica fenice

eletto s'ha di tutto il mondo immenso;

fin che l'onda trovo vendicatrice

gia d'Israel, che per divin consenso

Faraone sommerse e tutti i suoi:

e poi venne alla terra degli Eroi.

40

Lungo il fiume Traiano egli cavalca

su quel destrier ch'al mondo e senza pare,

che tanto leggiermente e corre e valca,

che ne l'arena l'orma non n'appare:

l'erba non pur, non pur la nieve calca;

coi piedi asciutti andar potria sul mare;

e si si stende al corso, e si s'affretta,

che passa e vento e folgore e saetta.

41

Questo e il destrier che fu de l'Argalia,

che di fiamma e di vento era concetto;

e senza fieno e biada, si nutria

de l'aria pura, e Rabican fu detto.

Venne, seguendo il Duca la sua via,

dove da il Nilo a quel fiume ricetto;

e prima che giugnesse in su la foce,

vide un legno venire a se veloce.

42

Naviga in su la poppa uno eremita

con bianca barba, a mezzo il petto lunga,

che sopra il legno il paladino invita,

e: - Figliuol mio(gli grida da la lunga),

se non t'e in odio la tua propria vita,

se non brami che morte oggi ti giunga,

venir ti piaccia su quest'altra arena;

ch'a morir quella via dritto ti mena.

43

Tu non andrai piu che sei miglia inante,

che troverai la saguinosa stanza

dove s'alberga un orribil gigante

che d'otto piedi ogni statura avanza.

Non abbia cavallier ne viandante

di partirsi da lui, vivo, speranza:

ch'altri il crudel ne scanna, altri ne scuoia,

molti ne squarta, e vivo alcun ne 'ngoia.

44

Piacer, fra tanta crudelta, si prende

d'una rete ch'egli ha, molto ben fatta:

poco lontana al tetto suo la tende,

e ne la trita polve in modo appiatta,

che chi prima nol sa, non la comprende,

tanto e sottil, tanto egli ben l'adatta:

e con tai gridi i peregrin minaccia,

che spaventati dentro ve li caccia.

45

E con gran risa, aviluppati in quella

se li strascina sotto il suo coperto;

ne cavallier riguarda ne donzella,

o sia di grande o sia di picciol merto:

e mangiata la carne, e la cervella

succhiate e 'l sangue, da l'ossa al deserto;

e de l'umane pelli intorno intorno

fa il suo palazzo orribilmente adorno.

46

Prendi quest'altra via, prendila, figlio,

che fin al mar ti fia tutta sicura. -

- Io ti ringrazio, padre, del consiglio

(rispose il cavallier senza paura),

ma non istimo per l'onor periglio,

di ch'assai piu che de la vita ho cura.

Per far ch'io passi, invan tu parli meco;

anzi vo al dritto a ritrovar lo speco.

47

Fuggendo, posso con disnor salvarmi;

ma tal salute ho piu che morte a schivo.

S'io vi vo, alpeggio che potra incontrarmi,

fra molti restero di vita privo;

ma quando Dio cosi mi drizzi l'armi,

che colui morto, ed io rimanga vivo,

sicura a mille rendero la via:

si che l'util maggior che 'l danno fia.

48

Metto all'incontro la morte d'un solo

alla salute di gente infinita. -

- Vattene in pace(rispose), figliuolo;

Dio mandi in difension de la tua vita

l'arcangelo Michel dal sommo polo: -

e benedillo il semplice eremita.

Astolfo lungo il Nil tenne la strada,

sperando piu nel suon che ne la spada.

49

Giace tra l'alto fiume e la palude

picciol sentier nell'arenosa riva:

la solitaria casa lo richiude,

d'umanitade e di commercio priva.

Son fisse intorno teste e membra nude

de l'infelice gente che v'arriva.

Non v'e finestra, non v'e merlo alcuno,

onde penderne almen non si veggia uno.

50

Qual ne le alpine ville o ne' castelli

suol cacciator che gran perigli ha scorsi,

su le porte attaccar l'irsute pelli,

l'orride zampe e i grossi capi d'orsi;

tal dimostrava il fier gigante quelli

che di maggior virtu gli erano occorsi.

D'altri infiniti sparse appaion l'ossa;

ed e di sangue uman piena ogni fossa.

51

Stassi Caligorante in su la porta;

che cosi ha nome il dispietato mostro

ch'orna la sua magion di gente morta,

come alcun suol di panni d'oro o d'ostro.

Costui per gaudio a pena si comporta,

come il duca lontan se gli e dimostro;

ch'eran duo mesi, e il terzo ne venia,

che non fu cavallier per quella via.

52

Ver la palude, ch'era scura e folta

di verdi canne, in gran fretta ne viene;

che disegnato avea correre in volta,

e uscir al paladin dietro alle schene;

che ne la rete, che tenea sepolta

sotto la polve, di cacciarlo ha spene,

come avea fatto gli altri peregrini

che quivi tratto avean lor rei destini.

53

Come venire il paladin lo vede,

ferma il destrier, non senza gran sospetto

che vada in quelli lacci a dar del piede,

di che il buon vecchiarel gli avea predetto.

Quivi il soccorso del suo corno chiede,

e quel sonando fa l'usato effetto:

nel cor fere il gigante che l'ascolta,

di tal timor, ch'a dietro i passi volta.

54

Astolfo suona, e tuttavolta bada;

che gli par sempre che la rete scocchi.

Fugge il fellon, ne vede ove si vada;

che, come il core, avea perduti gli occhi.

Tanta e la tema, che non sa far strada,

che ne li propri aguati non trabocchi:

va ne la rete; e quella si disserra,

tutto l'annoda, e lo distende in terra.

55

Astolfo, ch'andar giu vede il gran peso,

gia sicuro per se, v'accorre in fretta;

e con la spada in man, d'arcion disceso,

va per far di mill'anime vendetta.

Poi gli par che s'uccide un che sia preso,

vilta, piu che virtu,ne sara detta;

che legate le braccia, i piedi e il collo

gli vede si, che non puo dare un crollo.

56

Avea la rete gia fatta Vulcano

di sottil fil d'acciar, ma con tal arte,

che saria stata ogni fatica invano

per ismagliarne la piu debol parte;

ed era quella che gia piedi e mano

avea legate a Venere ed a Marte.

La fe' il geloso, e non ad altro effetto,

che per pigliarli insieme ambi nel letto.

57

Mercurio al fabbro poi la rete invola;

che Cloride pigliar con essa vuole,

Cloride bella che per l'aria vola

dietro all'Aurora, all'apparir del sole,

e dal raccolto lembo de la stola

gigli spargendo va, rose e viole.

Mercurio tanto questa ninfa attese,

che con la rete in aria un di la prese.

58

Dove entra in mare il gran fiume etiopo,

par che la dea presa volando fosse.

Poi nei tempio d'Anubide a Canopo

la rete molti seculi serbosse.

Caligorante tremila anni dopo,

di la, dove era sacra, la rimosse:

se ne porto la rete il ladrone empio,

ed arse la cittade, e rubo il tempio.

59

Quivi adattolla in modo in su l'arena,

che tutti quei ch'avean da lui la caccia

vi davan dentro; ed era tocca a pena,

che lor legava e collo e piedi e braccia.

Di questa levo Astolfo una catena,

e le man dietro a quel fellon n'allaccia;

le braccia e 'l petto in guisa gli ne fascia,

che non puo sciorsi: indi levar lo lascia,

60

dagli altri nodi avendol sciolto prima,

ch'era tornato uman piu che donzella.

Di trarlo seco e di mostrarlo stima

per ville, per cittadi e per castella.

Vuol la rete anco aver, di che ne lima

ne martel fece mai cosa piu bella:

ne fa somier colui ch'alla catena

con pompa trionfal dietro si mena.

61

L'elmo e lo scudo anche a portar gli diede,

come a valletto, e seguito il camino,

di gaudio empiendo, ovunque metta il piede,

ch'ir possa ormai sicuro il peregrino.

Astolfo se ne va tanto, che vede

ch'ai sepolcri di Memfi e gia vicino,

Memfi per le piramidi famoso:

vede all'incontro il Cairo populoso.

62

Tutto il popul correndo si traea

per vedere il gigante smisurato.

- Come e possibil(l'un l'altro dicea)

che quel piccolo il grande abbia legato? -

Astolfo a pena inanzi andar potea,

tanto la calca il preme da ogni lato:

e come cavallier d'alto valore

ognun l'ammira, e gli fa grande onore.

63

Non era grande il Cairo cosi allora,

come se ne ragiona a nostra etade:

che 'l populo capir, che vi dimora,

non puon diciottomila gran contrade;

e che le case hanno tre palchi, e ancora

ne dormono infiniti in su le strade;

e che 'l soldano v'abita un castello

mirabil di grandezza, e ricco e bello;

64

e chequindicimila suoi vasalli,

che son cristiani rinegati tutti,

con mogli, con famiglie e con cavalli

ha sotto un tetto sol quivi ridutti.

Astolfo veder vuole ove s'avalli,

e quanto il Nilo entri nei salsi flutti

a Damiata; ch'avea quivi inteso,

qualunque passa restar morto o preso.

65

Pero ch'in ripa al Nilo in su la foce

si ripara un ladron dentro una torre,

ch'a paesani e a peregrini nuoce,

e fin al Cairo, ognun rubando scorre.

Non gli puo alcun resistere; ed ha voce

che l'uom gli cerca invan la vita torre:

centomila ferite egli ha gia avuto,

ne ucciderlo pero mai s'e potuto.

66

Per veder se puo far rompere il filo

alla Parca di lui, si che non viva,

Astolfo viene a ritrovare Orrilo

(cosi avea nome), e a Damiata arriva;

ed indi passa ove entra in mare il Nilo,

e vede la gran torre in su la riva,

dove s'alberga l'anima incantata

che d'un folletto nacque e d'una fata.

67

Quivi ritruova che crudel battaglia

era tra Orrilo e dui guerrieri accesa.

Orrilo e solo; e si que' dui travaglia,

ch'a gran fatica gli puon far difesa:

e quando in arme l'uno e l'altro vaglia,

a tutto il mondo la fama palesa.

Questi erano i dui figli d'Oliviero,

Grifone il bianco ed Aquilante il nero.

68

Gli e ver che 'l negromante venuto era

alla battaglia con vantaggio grande;

che seco tratto in campo avea una fera,

la qual si truova solo in quelle bande:

vive sul lito e dentro alla rivera;

e i corpi umani son le sue vivande,

de le persone misere ed incaute

de viandanti e d'infelici naute.

69

La bestia ne l'arena appresso al porto

per man dei duo fratei morta giacea;

e per questo ad Orril non si fa torto,

s'a un tempo l'uno e l'altro gli nocea.

Piu volte l'han smembrato e non mai morto,

ne, per smembrarlo, uccider si potea;

che se tagliato o mano o gamba gli era,

la rapiccava, che parea di cera.

70

Or fin a' denti il capo gli divide

Grifone, or Aquilante fin al petto.

Egli dei colpi lor sempre si ride:

s'adiran essi, che non hanno effetto.

Chi mai d'alto cader l'argento vide,

che gli alchimisti hanno mercurio detto,

e sparger e raccor tutti i suo' membri,

sentendo di costui, se ne rimembri.

71

Se gli spiccano il capo, Orrilo scende,

ne cessa brancolar fin che lo truovi;

ed or pel crine ed or pel naso il prende,

lo salda al collo, e non so con che chiovi.

Piglial talor Grifone, e 'l braccio stende,

nel fiume il getta, e non par ch'anco giovi;

che nuota Orrilo al fondo come un pesce,

e col suo capo salvo alla ripa esce.

72

Due belle donne onestamente ornate,

l'una vestita a bianco e l'altra a nero,

che de la pugnacausa erano state,

stavano a riguardar l'assalto fiero.

Queste eran quelle due benigne fate

ch'avean notriti i figli d'Oliviero,

poi che li trasson teneri citelli

dai curvi artigli di duo grandi augelli,

73

che rapiti gli avevano a Gismonda,

e portati lontan dal suo paese.

Ma non bisogna in cio ch'io mi diffonda,

ch'a tutto il mondo e l'istoria palese;

ben che l'autor nel padre si confonda,

ch'un per un altro(io non so come) prese.

Or la battaglia i duo gioveni fanno,

che le due donne ambi pregati n'hanno.

74

Era in quel clima gia sparito il giorno,

all'isole ancor alto di Fortuna;

l'ombre avean tolto ogni vedere a torno

sotto l'incerta e mal compresa luna;

quando alla rocca Orril fece ritorno,

poi ch'alla bianca e alla sorella bruna

piacque di differir l'aspra battaglia

fin che 'l sol nuovo all'orizzonte saglia.

75

Astolfo, che Grifone ed Aquilante,

ed all'insegne e piu al ferir gagliardo,

riconosciuto avea gran pezzo inante,

lor non fu altiero a salutar ne tardo.

Essi vedendo che quel che 'l gigante

traea legato, era il baron dal pardo

(che cosi in corte era quel duca detto),

raccolser lui con non minore affetto.

76

Le donne a riposare i cavallieri

menaro a un lor palagio indi vicino.

Donzelle incontra vennero e scudieri

con torchi accesi, a mezzo del camino.

Diero a chi n'ebbe cura i lor destrieri,

trassonsi l'arme; e dentro un bel giardino

trovar ch'apparechiata era la cena

ad una fonte limpida ed amena.

77

Fan legare il gigante alla verdura

Con un'altra catena molto grossa

ad una quercia di molt'anni dura,

che non si rompera per una scossa;

e da dieci sergenti averne cura,

che la notte discior non se ne possa,

ed assalirli, e forse far lor danno,

mentre sicuri e senza guardia stanno.

78

All'abondante e sontuosa mensa,

dove il manco piacer fur le vivande,

del ragionar gran parte si dispensa

sopra d'Orrilo e del miracol grande,

che quasi par un sogno a chi vi pensa,

ch'or capo or braccio a terra se gli mande,

ed egli lo raccolga e lo raggiugna,

e piu feroce ognor torni alla pugna.

79

Astolfo nel suo libro avea gia letto

(quel ch'agl'incanti riparare insegna)

ch'ad Orril non trarra l'alma del petto

fin ch'un crine fatal nel capo tegna;

ma, se lo svelle o tronca, fia costretto

che suo mal grado fuor l'alma ne vegna.

Questo ne dice il libro; ma non come

conosca il crine in cosi folte chiome.

80

Non men de la vittoria si godea,

che se n'avesse Astolfo gia la palma;

come chi speme in pochi colpi avea

svellere il crine al negromante e l'alma.

Pero di quella impresa promettea

tor su gli omeri suoi tutta la salma:

Orril fara morir, quando non spiaccia

ai duo fratei, ch'egli la pugna faccia.

81

Ma quei gli danno volentier l'impresa,

certi che debbia affaticarsi invano.

Eragia l'altra aurora in cielo ascesa,

quando calo dai muri Orrilo al piano.

Tra il duca e lui fu la battaglia accesa:

la mazza l'un, l'altro ha la spada in mano.

Di mille attende Astolfo un colpo trarne,

che lo spirto gli sciolga da la carne.

82

Or cader gli fa il pugno con la mazza,

or l'uno or l'altro braccio con la mano;

quando taglia a traverso la corazza,

e quando il va troncando a brano a brano:

ma ricogliendo sempre de la piazza

va le sue membra Orrilo, e si fa sano.

S'in cento pezzi ben l'avesse fatto,

redintegrarsi il vedea Astolfo a un tratto.

83

Al fin di mille colpi un gli ne colse

sopra le spalle ai termini del mento:

la testa e l'elmo dal capo gli tolse,

ne fu d'Orrilo a dismontar piu lento.

La sanguinosa chioma in man s'avolse,

e risalse a cavallo in un momento;

e la porto correndo incontra 'l Nilo,

che riaver non la potesse Orrilo.

84

Quel sciocco, che del fatto non s'accorse,

per la polve cercando iva la testa:

ma come intese il corridor via torse,

portare il capo suo per la foresta;

immantinente al suo destrier ricorse,

sopra vi sale, e di seguir non resta.

Volea gridare: - Aspetta, volta, volta! -

ma gli avea il duca gia la bocca tolta.

85

Pur, che non gli ha tolto anco le calcagna

si riconforta, e segue a tutta briglia.

Dietro il lascia gran spazio di campagna

quel Rabican che corre a maraviglia.

Astolfo intanto per la cuticagna

va da la nuca fin sopra le ciglia

cercando in fretta, se 'l crine fatale

conoscer puo, ch'Orril tiene immortale.

86

Fra tanti e innumerabili capelli,

un piu de l'altro non si stende o torce:

qual dunque Astolfo scegliera di quelli,

che per dar morte al rio ladron raccorce?

- Meglio e(disse) che tutti io tagli o svelli: -

ne si trovando aver rasoi ne force,

ricorse immantinente alla sua spada,

che taglia si, che si puo dir che rada.

87

E tenendo quel capo per lo naso,

dietro e dinanzi lo dischioma tutto.

Trovo fra gli altri quel fatale a caso:

si fece il viso allor pallido e brutto,

travolse gli occhi, e dimostro all'occaso,

per manifesti segni, esser condutto;

e 'l busto che seguia troncato al collo,

di sella cadde, e die l'ultimo crollo.

88

Astolfo, ove le donne e i cavallieri

lasciato avea, torno col capo in mano,

che tutti avea di morte i segni veri,

e mostro il tronco ove giacea lontano.

Non so ben se lo vider volentieri,

ancor che gli mostrasser viso umano;

che la intercetta lor vittoria forse

d'invidia ai duo germani il petto morse.

89

Ne che tal fin quella battuglia avesse,

credo piu fosse alle due donne grato.

Queste, perchepiu in lungo si traesse

de' duo fratelli il doloroso fato

ch'in Francia par ch'in breve esser dovesse,

con loro Orrilo avean quivi azzuffato,

con speme di tenerli tanto a bada,

che la trista influenza se ne vada.

90

Tosto che 'l castellan di Damiata

certificossi ch'era morto Orrilo,

la columba lascio, ch'avea legata

sotto l'ala la lettera col filo.

Quella ando al Cairo; ed indi fu lasciata

un'altra altrove, come quivi e stilo:

si che in pochissime ore ando l'aviso

per tutto Egitto, ch'era Orrilo ucciso.

91

Il duca, come al fin trasse l'impresa,

conforto molto i nobili garzoni,

ben che da se v'avean la voglia intesa,

ne bisognavan stimuli ne sproni,

che per difender de la santa Chiesa

e del romano Imperio le ragioni,

lasciasser le battaglie d'Oriente,

e cercassino onor ne la lor gente.

92

Cosi Grifone ed Aquilante tolse

ciascuno da la sua donna licenza;

le quali, ancor che lor ne 'ncrebbe e dolse,

non vi seppon pero far resistenza.

Con essi Astolfo a man destra si volse;

che si deliberar far riverenza

ai santi luoghi ove Dio in carne visse,

prima che verso Francia si venisse.

93

Potuto avrian pigliar la via mancina,

ch'era piu dilettevole e piu piana,

e mai non si scostar da la marina;

ma per la destra andaro orrida e strana,

perche l'alta citta di Palestina

per questa sei giornate e men lontana.

Acqua si truova ed erba in questa via:

di tutti gli altri ben v'e carestia.

94

Si che prima ch'entrassero in viaggio,

cio che lor bisogno, fecion raccorre,

e carcar sul gigante il carriaggio,

ch'avria portato in collo anco una torre.

Al finir del camino aspro e selvaggio,

da l'alto monte alla lor vista occorre

la santa terra, ove il superno Amore

lavo col proprio sangue il nostro errore.

95

Trovano in su l'entrar de la cittade

un giovene gentil, lor conoscente,

Sansonetto da Meca, oltre l'etade,

ch'era nel primo fior, molto prudente;

d'alta cavalleria, d'alta bontade

famoso, e riverito fra la gente.

Orlando lo converse a nostra fede,

e di sua man battesmo anco gli diede.

96

Quivi lo trovan che disegna a fronte

del calife d'Egitto una fortezza;

e circondar vuole il Calvario monte

di muro di duo miglia di lunghezza.

Da lui raccolti fur con quella fronte

che puo d'interno amor dar piu chiarezza,

e dentro accompagnati, e con grande agio

fatti alloggiar nel suo real palagio.

97

Avea in governo egli la terra, e in vece

di Carlo vi reggea l'imperio giusto.

Il duca Astolfo a costui dono fece

di quel si grande e smisurato busto,

ch'a portar pesi gli varra per diece

bestie da soma, tanto era robusto.

Diegli Astolfo il gigante, e diegli appresso

la rete ch'in sua forza l'avea messo.

98

Sansonetto all'incontro al duca diede

per la spada una cinta ricca e bella;

e diede spron per l'uno e l'altro piede,

ched'oro avean la fibbia e la girella;

ch'esser del cavallier stati si crede,

che libero dal drago la donzella:

al Zaffo avuti con molt'altro arnese

Sansonetto gli avea, quando lo prese.

99

Purgati de lor colpe a un monasterio

che dava di se odor di buoni esempi,

de la passion di Cristo ogni misterio

contemplando n'andar per tutti i tempi

ch'or con eterno obbrobrio e vituperio

agli cristiani usurpano i Mori empi.

L'Europa e in arme, e di far guerra agogna

in ogni parte, fuor ch'ove bisogna.

100

Mentre avean quivi l'animo divoto,

a perdonanze e a cerimonie intenti,

un peregrin di Grecia, a Grifon noto,

novelle gli arreco gravi e pungenti,

dal suo primo disegno e lungo voto

troppo diverse e troppo differenti;

e quelle il petto gl'infiammaron tanto,

che gli scacciar l'orazion da canto.

101

Amava il cavallier, per sua sciagura,

una donna ch'avea nome Orrigille:

di piu bel volto e di miglior statura

non se ne sceglierebbe una fra mille;

ma disleale e di si rea natura,

che potresti cercar cittadi e ville,

la terra ferma e l'isole del mare,

ne credo ch'una le trovassi pare.

102

Ne la citta di Costantin lasciata

grave l'avea di febbre acuta e fiera.

Or quando rivederla alla tornata

piu che mai bella, e di goderla spera,

ode il meschin, ch'in Antiochia andata

dietro un suo nuovo amante ella se n'era,

non le parendo ormai di piu patire

ch'abbia in si fresca eta sola a dormire.

103

Da indi in qua ch'ebbe la trista nuova,

sospirava Grifon notte e di sempre.

Ogni piacer ch'agli altri aggrada e giova,

par ch'a costui piu l'animo distempre:

pensilo ognun, ne li cui danni pruova

Amor, se li suoi strali han buone tempre.

Ed era grave sopra ogni martire,

che 'l mal ch'avea si vergognava a dire.

104

Questo, perche mille fiate inante

gia ripreso l'avea di quello amore,

di lui piu saggio, il fratello Aquilante,

e cercato colei trargli del core,

colei ch'al suo giudicio era di quante

femine rie si trovin la peggiore.

Grifon l'escusa, se 'l fratel la danna;

e le piu volte il parer proprio inganna.

105

Pero fece pensier, senza parlarne

con Aquilante, girsene soletto

sin dentro d'Antiochia, e quindi trarne

colei che tratto il cor gli avea del petto;

trovar colui che gli l'ha tolta, e farne

vendetta tal, che ne sia sempre detto.

Diro, come ad effetto il pensier messe,

nell'altro canto, e cio che ne successe.

1

Il giusto Dio, quando i peccati nostri

hanno di remission passato il segno,

accio che la giustizia sua dimostri

uguale alla pieta, spesso da regno

a tiranni atrocissimi ed a mostri,

e da lor forza e di mal fare ingegno.

Per questo Mario e Silla pose al mondo,

e duo Neroni e Caio furibondo,

2

Domiziano e l'ultimo Antonino;

e tolse da la immonda e bassa plebe,

ed esalto all'imperio Massimino;

e nascer prima fe' Creonte a Tebe;

e die Mezenzio al populo Agilino,

che fe' di sangue uman grasse le glebe;

e diede Italia a tempi men remoti

in preda agli Unni, ai Longobardi, ai Goti.

3

Che d'Atila diro? che de l'iniquo

Ezzellin da Roman? che d'altri cento?

che dopo un lungo andar sempre in obliquo,

ne manda Dio per pena e per tormento.

Di questo abbian non pur al tempo antiquo,

ma ancora al nostro, chiaro esperimento,

quando a noi, greggi inutili e malnati,

ha dato per guardian lupi arrabbiati:

4

a cui non par ch'abbi a bastar lor fame,

ch'abbi il lor ventre a capir tanta carne;

e chiaman lupi di piu ingorde brame

da boschi oltramontani a divorarne.

Di Trasimeno l'insepulto ossame

e di Canne e di Trebia poco parne

verso quel che le ripe e i campi ingrassa,

dov'Ada e Mella e Ronco e Tarro passa.

5

Or Dio consente che noi sian puniti

da populi di noi forse peggiori,

per li multiplicati ed infiniti

nostri nefandi, obbrobriosi errori.

Tempo verra ch'a depredar lor liti

andremo noi, se mai saren migliori,

e che i peccati lor giungano al segno,

che l'eterna Bonta muovano a sdegno.

6

Doveano allora aver gli eccessi loro

di Dio turbata la serena fronte,

che scorse ogni lor luogo il Turco e 'l Moro

con stupri, uccision, rapine ed onte:

ma piu di tutti gli altri danni, foro

gravati dal furor di Rodomonte.

Dissi ch'ebbe di lui la nuova Carlo,

e che 'n piazza venia per ritrovarlo.

7

Vede tra viala gente sua troncata,

arsi i palazzi, e ruinati i templi,

gran parte de la terra desolata;

mai non si vider si crudeli esempli.

- Dove fuggite, turba spaventata?

Non e tra voi chi 'l danno suo contempli?

Che citta, che refugio piu vi resta,

quando si perda si vilmente questa?

8

Dunque un uom solo in vostra terra preso,

cinto di mura onde non puo fuggire,

si partira che non l'avrete offeso,

quando tutti v'avra fatto morire? -

Cosi Carlo dicea, che d'ira acceso

tanta vergogna non potea patire.

E giunse dove inanti alla gran corte

vide il pagan por la sua gente a morte.

9

Quivi gran parte era del populazzo,

sperandovi trovare aiuto, ascesa;

perche forte di mura era il palazzo,

con munizion da far lunga difesa.

Rodomonte, d'orgoglio e d'ira pazzo,

solo s'avea tutta la piazza presa:

e l'una man, che prezza il mondo poco,

ruota la spada, e l'altra getta il fuoco.

10

E de la regal casa, alta e sublime,

percuote e risuonar fa le gran porte.

Gettan le turbe da le eccelse cime

e merli e torri, e si metton per morte.

Guastare i tetti non e alcun che stime;

e legne e pietre vanno ad una sorte,

lastre e colonne, e le dorate travi

che furo in prezzo agli lor padri e agli avi.

11

Sta su la porta il re d'Algier, lucente

di chiaro acciar che 'l capo gli arma e 'l busto,

come uscito di tenebre serpente,

poi c'ha lasciato ogni squalor vetusto,

del nuovo scoglio altiero, e che si sente

ringiovenito e piu che mai robusto:

tre lingue vibra, ed ha negli occhi foco;

dovunque passa, ogn'animal da loco.

12

Non sasso, merlo, trave, arco o balestra,

ne cio che sopra il Saracin percuote,

ponno allentar la sanguinosa destra

che la gran porta taglia, spezza e scuote:

e dentro fatto v'ha tanta finestra,

che ben vedere e veduto esser puote

dai visi impressi di color di morte,

che tutta piena quivi hanno la corte.

13

Suonar per gli alti e spaziosi tetti

s'odono gridi e feminil lamenti:

l'afflitte donne, percotendo i petti,

corron per casa pallide e dolenti;

e abbraccian gli usci e i geniali letti

che tosto hanno a lasciare a strane genti.

Tratta la cosa era in periglio tanto,

quando 'l re giunse, e suoi baroni accanto.

14

Carlo si volse a quelle man robuste

ch'ebbe altre volte a gran bisogni pronte.

- Non sete quelli voi, che meco fuste

contra Agolante(disse) in Aspramonte?

Sono le forze vostre ora si fruste,

che, s'uccideste lui, Troiano e Almonte

con centomila, or ne temete un solo

pur di quel sangue e pur di quello stuolo?

15

Perche debbo vedere in voi fortezza

ora minor ch'io la vedessi allora?

Mostrate a questo can vostra prodezza,

a questo can che gli uominidevora.

Un magnanimo cor morte non prezza,

presta o tarda che sia, pur che ben muora.

Ma dubitar non posso ove voi sete,

che fatto sempre vincitor m'avete. -

16

Al fin de le parole urta il destriero,

con l'asta bassa, al Saracino adosso.

Mossesi a un tratto il paladino Ugiero,

a un tempo Namo ed Ulivier si e mosso,

Avino, Avolio, Otone e Berlingiero,

ch'un senza l'altro mai veder non posso:

e ferir tutti sopra a Rodomonte

e nel petto e nei fianchi e ne la fronte.

17

Ma lasciamo, per Dio, Signore, ormai

di parlar d'ira e di cantar di morte;

e sia per questa volta detto assai

del Saracin non men crudel che forte:

che tempo e ritornar dov'io lasciai

Grifon, giunto a Damasco in su le porte

con Orrigille perfida, e con quello

ch'adulter era, e non di lei fratello.

18

De le piu ricche terre di Levante,

de le piu populose e meglio ornate

si dice esser Damasco, che distante

siede a Ierusalem sette giornate,

in un piano fruttifero e abondante,

non men giocondo il verno, che l'estate.

A questa terra il primo raggio tolle

de la nascente aurora un vicin colle.

19

Per la citta duo fiumi cristallini

vanno inaffiando per diversi rivi

un numero infinito di giardini,

non mai di fior, non mai di fronde privi.

Dicesi ancor, che macinar molini

potrian far l'acque lanfe che son quivi;

e chi va per le vie vi sente, fuore

di tutte quelle case, uscire odore.

20

Tutta coperta e la strada maestra

di panni di diversi color lieti;

e d'odorifera erba, e di silvestra

fronda la terra e tutte le pareti.

Adorna era ogni porta, ogni finestra

di finissimi drappi e di tapeti,

ma piu di belle e ben ornate donne

di ricche gemme e di superbe gonne.

21

Vedeasi celebrar dentr'alle porte,

in molti lochi, solazzevol balli;

il popul, per le vie, di miglior sorte

maneggiar ben guarniti e bei cavalli:

facea piu bel veder la ricca corte

de' signor, de' baroni e de' vasalli,

con cio che d'India e d'eritree maremme

di perle aver si puo, d'oro e di gemme.

22

Venia Grifone e la sua compagnia

mirando e quinci e quindi il tutto ad agio,

quando fermolli un cavalliero in via,

e gli fece smontare a un suo palagio;

e per l'usanza e per sua cortesia

di nulla lascio lor patir disagio.

Li fe' nel bagno entrar, poi con serena

fronte gli accolse a sontuosa cena.

23

E narro lor come il re Norandino,

re di Damasco e di tutta Soria,

fatto avea il paesano e 'l peregrino

ch'ordine avesse di cavalleria,

alla giostra invitar, ch'al matutino

del di sequente in piazza si faria;

e che s'avean valor pari al sembiante,

potrian mostrarlo senza andar piu inante.

24

Ancor che quivi non venne Grifone

a questo effetto, pur lo'nvito tenne;

che qual volta se n'abbia occasione,

mostrar virtude mai non disconvenne.

Interrogollo poi de la cagione

di quella festa, e s'ella era solenne

usata ogn'anno, o pure impresa nuova

del re ch'i suoi veder volesse in pruova.

25

Rispose il cavallier: - La bella festa

s'ha da far sempre ad ogni quarta luna:

de l'altre che verran, la prima e questa:

ancora non se n'e fatta piu alcuna.

Sara in memoria che salvo la testa

il re in tal giorno da una gran fortuna,

dopo che quattro mesi in doglie e 'n pianti

sempre era stato, e con la morte inanti.

26

Ma per dirvi la cosa pienamente,

il nostro re, che Norandin s'appella,

molti e molt'anni ha avuto il core ardente

de la leggiadra e sopra ogn'altra bella

figlia del re di Cipro: e finalmente

avutala per moglie, iva con quella,

con cavallieri e donne in compagnia;

e dritto avea il camin verso Soria.

27

Ma poi che fummo tratti a piene vele

lungi dal porto nel Carpazio iniquo,

la tempesta salto tanto crudele,

che sbigotti sin al padrone antiquo.

Tre di e tre notti andammo errando ne le

minacciose onde per camino obliquo.

Uscimo al fin nel lito stanchi e molli,

tra freschi rivi, ombrosi e verdi colli.

28

Piantare i padiglioni, e le cortine

fra gli arbori tirar facemo lieti.

S'apparechiano i fuochi e le cucine;

le mense d'altra parte in su tapeti.

Intanto il re cercando alle vicine

valli era andato e a' boschi piu secreti,

se ritrovasse capre o daini o cervi;

e l'arco gli portar dietro duo servi.

29

Mentre aspettamo, in gran piacer sedendo,

che da cacciar ritorni il signor nostro,

vedemo l'Orco a noi venir correndo

lungo il lito del mar, terribil mostro.

Dio vi guardi, signor, che 'l viso orrendo

de l'Orco agli occhi mai vi sia dimostro:

meglio e per fama aver notizia d'esso,

ch'andargli, si che lo veggiate, appresso.

30

Non gli puo comparir quanto sia lungo,

si smisuratamente e tutto grosso.

In luogo d'occhi, di color di fungo

sotto la fronte ha duo coccole d'osso.

Verso noi vien(come vi dico) lungo

il lito, e par ch'un monticel sia mosso.

Mostra le zanne fuor, come fa il porco;

ha lungo il naso, il sen bavoso e sporco.

31

Correndo viene, e 'l muso a guisa porta

che 'l bracco suol, quando entra in su la traccia.

Tutti che lo veggiam, con faccia smorta

in fuga andamo ove il timor ne caccia.

Poco il veder lui cieco ne conforta,

quando, fiutando sol, par che piu faccia,

ch'altri non fa, ch'abbia odorato e lume:

e bisogno al fuggire eran le piume.

32

Corron chi qua chi la; ma poco lece

da lui fuggir, veloce piu che 'l Noto.

Di quaranta persone, a pena diece

sopra il navilio si salvaro a nuoto.

Sotto il braccioun fastel d'alcuni fece,

ne il grembio si lascio ne il seno voto;

un suo capace zaino empissene anco,

che gli pendea, come a pastor, dal fianco.

33

Portoci alla sua tana il mostro cieco,

cavata in lito al mar dentr'uno scoglio.

Di marmo cosi bianco e quello speco,

come esser soglia ancor non scritto foglio.

Quivi abitava una matrona seco,

di dolor piena in vista e di cordoglio;

ed avea in compagnia donne e donzelle

d'ogni eta, d'ogni sorte, e brutte e belle.

34

Era presso alla grotta in ch'egli stava,

quasi alla cima del giogo superno,

un'altra non minor di quella cava,

dove del gregge suo facea governo.

Tanto n'avea, che non si numerava;

e n'era egli il pastor l'estate e 'l verno.

Ai tempi suoi gli apriva e tenea chiuso,

per spasso che n'avea, piu che per uso.

35

L'umana carne meglio gli sapeva:

e prima il fa veder ch'all'antro arrivi;

che tre de' nostri giovini ch'aveva,

tutti li mangia, anzi trangugia vivi.

Viene alla stalla, e un gran sasso ne leva:

ne caccia il gregge, e noi riserra quivi.

Con quel sen va dove il suol far satollo,

sonando una zampogna ch'avea in collo.

36

Il signor nostro intanto ritornato

alla marina, il suo danno comprende;

che truova gran silenzio in ogni lato,

voti frascati, padiglioni e tende.

Ne sa pensar chi si l'abbia rubato;

e pien di gran timore al lito scende,

onde i nocchieri suoi vede in disparte

sarpar lor ferri e in opra por le sarte.

37

Tosto ch'essi lui veggiono sul lito,

il palischermo mandano a levarlo:

ma non si tosto ha Norandino udito

de l'Orco che venuto era a rubarlo,

che, senza piu pensar, piglia partito,

dovunque andato sia, di seguitarlo.

Vedersi tor Lucina si gli duole,

ch'o racquistarla, o non piu viver vuole.

38

Dove vede apparir lungo la sabbia

la fresca orma, ne va con quella fretta

con che lo spinge l'amorosa rabbia,

fin che giunge alla tana ch'io v'ho detta;

ove con tema la maggior che s'abbia

a patir mai, l'Orco da noi s'aspetta:

ad ogni suono di sentirlo parci,

ch'affamato ritorni a divorarci.

39

Quivi Fortuna il re da tempo guida,

che senza l'Orco in casa era la moglie.

Come ella 'l vede: - Fuggine!(gli grida)

misero te, se l'Orco ti ci coglie! -

- Coglia(disse) o non coglia, o salvi o uccida,

che miserrimo i' sia non mi si toglie.

Disir mi mena, e non error di via,

c'ho di morir presso alla moglie mia. -

40

Poi segui, dimandandole novella

di quei che prese l'Orco in su la riva;

prima degli altri, di Lucina bella,

se l'avea morta, o la tenea captiva.

La donna umanamente gli favella,

e lo conforta, che Lucina e viva,

e che non e alcun dubbio ch'ella muora;

che maifemina l'Orco non divora.

41

- Esser di cio argumento ti poss'io,

e tutte queste donne che son meco:

ne a me ne a lor mai l'Orco e stato rio,

pur che non ci scostian da questo speco.

A chi cerca fuggir, pon grave fio;

ne pace mai puon ritrovar piu seco:

o le sotterra vive, o l'incatena,

o fa star nude al sol sopra l'arena.

42

Quando oggi egli porto qui la tua gente,

le femine dai maschi non divise;

ma, si come gli avea, confusamente

dentro a quella spelonca tutti mise.

Sentira a naso il sesso differente.

Le donne non temer che sieno uccise:

gli uomini, siene certo; ed empieranne

di quattro, il giorno, o sei, l'avide canne.

43

Di levar lei di qui non ho consiglio

che dar ti possa; e contentar ti puoi

che ne la vita sua non e periglio:

stara qui al ben e al mal ch'avremo noi.

Ma vattene, per Dio, vattene, figlio,

che l'Orco non ti senta e non t'ingoi.

Tosto che giunge, d'ogn'intorno annasa,

e sente sin a un topo che sia in casa. -

44

Rispose il re, non si voler partire,

se non vedea la sua Lucina prima;

e che piu tosto appresso a lei morire,

che viverne lontan, faceva stima.

Quando vede ella non potergli dire

cosa che 'l muova da la voglia prima,

per aiutarlo fa nuovo disegno,

e ponvi ogni sua industria, ogni suo ingegno.

45

Morte avea in casa, e d'ogni tempo appese,

con lor mariti, assai capre ed agnelle,

onde a se ed alle sue facea le spese;

e dal tetto pendea piu d'una pelle.

La donna fe' che 'l re del grasso prese,

ch'avea un gran becco intorno alle budelle,

e che se n'unse dal capo alle piante,

fin che l'odor caccio ch'egli ebbe inante.

46

E poi che 'l tristo puzzo aver le parve,

di che il fetido becco ognora sape,

piglia l'irsuta pelle, e tutto entrarve

lo fe'; ch'ella e si grande che lo cape.

Coperto sotto a cosi strane larve,

facendol gir carpon, seco lo rape

la dove chiuso era d'un sasso grave

de la sua donna il bel viso soave.

47

Norandino ubidisce; ed alla buca

de la spelonca ad aspettar si mette,

accio col gregge dentro si conduca;

e fin a sera disiando stette.

Ode la sera il suon de la sambuca,

con che 'nvita a lassar l'umide erbette,

e ritornar le pecore all'albergo

il fier pastor che lor venia da tergo.

48

Pensate voi se gli tremava il core,

quando l'Orco senti che ritornava,

e che 'l viso crudel pieno d'orrore

vide appressare all'uscio de la cava;

ma pote la pieta piu che 'l timore:

s'ardea, vedete, o se fingendo amava.

Vien l'Orco inanzi, e leva il sasso, ed apre:

Norandino entra fra pecore e capre.

49

Entratoil gregge, l'Orco a noi descende;

ma prima sopra se l'uscio si chiude.

Tutti ne va fiutando: al fin duo prende;

che vuol cenar de le lor carni crude.

Al rimembrar di quelle zanne orrende,

non posso far ch'ancor non trieme e sude.

Partito l'Orco, il re getta la gonna

ch'avea di becco, e abbraccia la sua donna.

50

Dove averne piacer deve e conforto,

vedendol quivi, ella n'ha affanno e noia:

lo vede giunto ov'ha da restar morto;

e non puo far pero ch'essa non muoia.

- Con tutto 'l mal(diceagli) ch'io supporto,

signor, sentia non mediocre gioia,

che ritrovato non t'eri con nui

quando da l'Orco oggi qui tratta fui.

51

Che se ben il trovarmi ora in procinto

d'uscir di vita m'era acerbo e forte;

pur mi sarei, come e commune istinto,

dogliuta sol de la mia trista sorte:

ma ora, o prima o poi che tu sia estinto,

piu mi dorra la tua che la mia morte. -

E seguito, mostrando assai piu affanno

di quel di Norandin, che del suo danno.

52

- La speme(disse il re) mi fa venire,

c'ho di salvarti, e tutti questi teco:

e s'io nol posso far, meglio e morire,

che senza te, mio sol, viver poi cieco.

Come io ci venni, mi potro partire;

e voi tutt'altri ne verrete meco,

se non avrete, come io non ho avuto,

schivo a pigliare odor d'animal bruto. -

53

La fraude insegno a noi, che contra il naso

de l'Orco insegno a lui la moglie d'esso;

di vestirci le pelli, in ogni caso

ch'egli ne palpi ne l'uscir del fesso.

Poi che di questo ognun fu persuaso;

quanti de l'un, quanti de l'altro sesso

ci ritroviamo, uccidian tanti becchi,

quelli che piu fetean, ch'eran piu vecchi.

54

Ci ungemo i corpi di quel grasso opimo

che ritroviamo all'intestina intorno,

e de l'orride pelli ci vestimo.

Intanto usci da l'aureo albergo il giorno.

Alla spelonca, come apparve il primo

raggio del sol, fece il pastor ritorno;

e dando spirto alle sonore canne,

chiamo il suo gregge fuor de le capanne.

55

Tenea la mano al buco de la tana,

accio col gregge non uscissin noi:

ci prendea al varco; e quando pelo o lana

sentia sul dosso, ne lasciava poi.

Uomini e donne uscimmo per si strana

strada, coperti dagl'irsuti cuoi:

e l'Orco alcun di noi mai non ritenne,

fin che con gran timor Lucina venne.

56

Lucina, o fosse perch'ella non volle

ungersi come noi, che schivo n'ebbe;

o ch'avesse l'andar piu lento e molle,

che l'imitata bestia non avrebbe;

o quando l'Orco la groppa toccolle,

gridasse per la tema che le accrebbe;

o che se le sciogliessero le chiome;

sentita fu, ne ben so dirvi come.

57

Tutti eravam si intenti al caso nostro,

che non avemmo gliocchi agli altrui fatti.

Io mi rivolsi al grido; e vidi il mostro

che gia gl'irsuti spogli le avea tratti,

e fattola tornar nel cavo chiostro.

Noi altri dentro a nostre gonne piatti

col gregge andamo ove 'l pastor ci mena,

tra verdi colli in una piaggia amena.

58

Quivi attendiamo infin che steso all'ombra

d'un bosco opaco il nasuto Orco dorma.

Chi lungo il mar, chi verso 'l monte sgombra:

sol Norandin non vuol seguir nostr'orma.

L'amor de la sua donna si lo 'ngombra,

ch'alla grotta tornar vuol fra la torma,

ne partirsene mai sin alla morte,

se non racquista la fedel consorte:

59

che quando dianzi avea all'uscir del chiuso

vedutala restar captiva sola,

fu per gittarsi, dal dolor confuso,

spontaneamente al vorace Orco in gola;

e si mosse, e gli corse infino al muso,

ne fu lontano a gir sotto la mola:

ma pur lo tenne in mandra la speranza

ch'avea di trarla ancor di quella stanza.

60

La sera, quando alla spelonca mena

il gregge l'Orco, e noi fuggiti sente,

e c'ha da rimaner privo di cena,

chiama Lucina d'ogni mal nocente,

e la condanna a star sempre in catena

allo scoperto in sul sasso eminente.

Vedela il re per sua cagion patire,

e si distrugge, e sol non puo morire.

61

Matina e sera l'infelice amante

la puo veder come s'affliga e piagna;

che le va misto fra le capre avante,

torni alla stalla o torni alla campagna.

Ella con viso mesto e supplicante

gli accenna che per Dio non vi rimagna,

perche vi sta a gran rischio de la vita,

ne pero a lei puo dare alcuna aita.

62

Cosi la moglie ancor de l'Orco priega

il re che se ne vada, ma non giova;

che d'andar mai senza Lucina niega,

e sempre piu costante si ritruova.

In questa servitude, in che lo lega

Pietate e Amor, stette con lunga pruova

tanto, ch'a capitar venne a quel sasso

il figlio d'Agricane e 'l re Gradasso.

63

Dove con loro audacia tanto fenno,

che liberaron la bella Lucina;

ben che vi fu aventura piu che senno:

e la portar correndo alla marina;

e al padre suo, che quivi era, la denno:

e questo fu ne l'ora matutina,

che Norandin con l'altro gregge stava

a ruminar ne la montana cava.

64

Ma poi che 'l giorno aperta fu la sbarra,

e seppe il re la donna esser partita

(che la moglie de l'Orco gli lo narra),

e come a punto era la cosa gita;

grazie a Dio rende, e con voto n'inarra,

ch'essendo fuor di tal miseria uscita,

faccia che giunga onde per arme possa,

per prieghi o per tesoro, esser riscossa.

65

Pien di letizia va con l'altra schiera

del simo gregge, e viene ai verdi paschi;

e quivi aspetta fin ch'all'ombra nera

il mostro per dormir ne l'erbacaschi.

Poi ne vien tutto il giorno e tutta sera;

e al fin sicur che l'Orco non lo 'ntaschi,

sopra un navilio monta in Satalia;

e son tre mesi ch'arrivo in Soria.

66

In Rodi, in Cipro, e per citta e castella

e d'Africa e d'Egitto e di Turchia,

il re cercar fe' di Lucina bella;

ne fin l'altr'ieri aver ne pote spia.

L'altr'ier n'ebbe dal suocero novella,

che seco l'avea salva in Nicosia,

dopo che molti di vento crudele

era stato contrario alle sue vele.

67

Per allegrezza de la buona nuova

prepara il nostro re la ricca festa;

e vuol ch'ad ogni quarta luna nuova,

una se n'abbia a far simile a questa:

che la memoria rifrescar gli giova

dei quattro mesi che 'n irsuta vesta

fu tra il gregge de l'Orco; e un giorno, quale

sara dimane, usci di tanto male.

68

Questo ch'io v'ho narrato, in parte vidi,

in parte udi' da chi trovossi al tutto;

dal re, vi dico, che calende ed idi

vi stette, fin che volse in riso il lutto:

e se n'udite mai far altri gridi,

direte a chi gli fa, che mal n'e istrutto. -

Il gentiluomo in tal modo a Grifone

de la festa narro l'alta cagione.

69

Un gran pezzo di notte si dispensa

dai cavallieri in tal ragionamento;

e conchiudon ch'amore e pieta immensa

mostro quel re con grande esperimento.

Andaron, poi che si levar da mensa,

ove ebbon grato e buono alloggiamento.

Nel seguente matin sereno e chiaro,

al suon de l'allegrezze si destaro.

70

Vanno scorrendo timpani e trombette,

e ragunando in piazza la cittade.

Or, poi che de cavalli e de carrette

e ribombar de gridi odon le strade,

Grifon le lucide arme si rimette,

che son di quelle che si trovan rade;

che l'avea impenetrabili e incantate

la Fata bianca di sua man temprate.

71

Quel d'Antiochia, piu d'ogn'altro vile,

armossi seco, e compagnia gli tenne.

Preparate avea lor l'oste gentile

nerbose lance, e salde e grosse antenne,

e del suo parentado non umile

compagnia tolta; e seco in piazza venne;

e scudieri a cavallo, e alcuni a piede,

a tal servigi attissimi, lor diede.

72

Giunsero in piazza, e trassonsi in disparte,

ne pel campo curar far di se mostra,

per veder meglio il bel popul di Marte,

ch'ad uno, o a dua, o a tre, veniano in giostra.

Chi con colori accompagnati ad arte

letizia o doglia alla sua donna mostra;

chi nel cimier, chi nel dipinto scudo

disegna Amor, se l'ha benigno o crudo.

73

Soriani in quel tempo aveano usanza

d'armarsi a questa guisa di Ponente.

Forse ve gli inducea la vicinanza

che de' Franceschi avean continuamente,

che quivi allor reggean la sacra stanza

dove in carne abito Dio onnipotente;

ch'ora i superbi e miseri cristiani,

con biasmi lor, lasciano in man de' cani.

74

Doveabbassar dovrebbono la lancia

in augumento de la santa fede,

tra lor si dan nel petto e ne la pancia

a destruzion del poco che si crede.

Voi, gente ispana, e voi, gente di Francia,

volgete altrove, e voi, Svizzeri, il piede,

e voi, Tedeschi, a far piu degno acquisto;

che quanto qui cercate e gia di Cristo.

75

Se Cristianissimi esser voi volete,

e voi altri Catolici nomati,

perche di Cristo gli uomini uccidete?

perche de' beni lor son dispogliati?

Perche Ierusalem non riavete,

che tolto e stato a voi da' rinegati?

Perche Costantinopoli e del mondo

la miglior parte occupa il Turco immondo?

76

Non hai tu, Spagna, l'Africa vicina,

che t'ha via piu di questa Italia offesa?

E pur, per dar travaglio alla meschina,

lasci la prima tua si bella impresa.

O d'ogni vizio fetida sentina,

dormi, Italia imbriaca, e non ti pesa

ch'ora di questa gente, ora di quella

che gia serva ti fu, sei fatta ancella?

77

Se 'l dubbio di morir ne le tue tane,

Svizzer, di fame, in Lombardia ti guida,

e tra noi cerchi o chi ti dia del pane,

o, per uscir d'inopia, chi t'uccida;

le richezze del Turco hai non lontane:

caccial d'Europa, o almen di Grecia snida;

cosi potrai o del digiuno trarti,

o cader con piu merto in quelle parti.

78

Quel ch'a te dico, io dico al tuo vicino

tedesco ancor; la le richezze sono,

che vi porto da Roma Costantino:

portonne il meglio, e fe' del resto dono.

Pattolo ed Ermo onde si tra' l'or fino,

Migdonia e Lidia, e quel paese buono

per tante laudi in tante istorie noto,

non e, s'andar vi vuoi, troppo remoto.

79

Tu, gran Leone, a cui premon le terga

de le chiavi del ciel le gravi some,

non lasciar che nel sonno si sommerga

Italia, se la man l'hai ne le chiome.

Tu sei Pastore; e Dio t'ha quella verga

data a portare, e scelto il fiero nome,

perche tu ruggi, e che le braccia stenda,

si che dai lupi il grege tuo difenda.

80

Ma d'un parlar ne l'altro, ove sono ito

si lungi, dal camin ch'io faceva ora?

Non lo credo pero si aver smarrito,

ch'io non lo sappia ritrovare ancora.

Io dicea ch'in Soria si tenea il rito

d'armarsi, che i Franceschi aveano allora:

si che bella in Damasco era la piazza

di gente armata d'elmo e di corazza.

81

Le vaghe donne gettano dai palchi

sopra i giostranti fior vermigli e gialli,

mentre essi fanno a suon degli oricalchi

levare a salti ed aggirar cavalli.

Ciascuno, o bene o mal ch'egli cavalchi,

vuol far quivi vedersi, e sprona e dalli:

di ch'altri ne riporta pregio e lode;

mentre altri a riso, e gridar dietro s'ode.

82

De la giostra era il prezzo un'armatura

che fu donata al repochi di inante,

che su la strada ritrovo a ventura,

ritornando d'Armenia, un mercatante.

Il re di nobilissima testura

le sopraveste all'arme aggiunse, e tante

perle vi pose intorno e gemme ed oro,

che la fece valer molto tesoro.

83

Se conosciute il re quell'arme avesse,

care avute l'avria sopra ogni arnese;

ne in premio de la giostra l'avria messe,

come che liberal fosse e cortese.

Lungo saria chi raccontar volesse

chi l'avea si sprezzate e vilipese,

che 'n mezzo de la strada le lasciasse,

preda chiunque o inanzi o indietro andasse.

84

Di questo ho da contarvi piu di sotto:

or diro di Grifon, ch'alla sua giunta

un paio e piu di lance trovo rotto,

menato piu d'un taglio e d'una punta.

Dei piu cari e piu fidi al re fur otto

che quivi insieme avean lega congiunta;

gioveni; in arme pratichi ed industri,

tutti o signori o di famiglie illustri.

85

Quei rispondean ne la sbarrata piazza

per un di, ad uno ad uno, a tutto 'l mondo,

prima con lancia, e poi con spada o mazza,

fin ch'al re di guardarli era giocondo;

e si foravan spesso la corazza:

per giuoco in somma qui facean, secondo

fan gli nimici capitali, eccetto

che potea il re partirli a suo diletto.

86

Quel d'Antiochia, un uom senza ragione,

che Martano il codardo nominosse,

come se de la forza di Grifone,

poi ch'era seco, participe fosse,

audace entro nel marziale agone;

e poi da canto ad aspettar fermosse,

sin che finisce una battaglia fiera

che tra duo cavallier cominciata era.

87

Il signor di Seleucia, di quell'uno,

ch'a sostener l'impresa aveano tolto,

combattendo in quel tempo con Ombruno,

lo feri d'una punta in mezzo 'l volto,

si che l'uccise: e pieta n'ebbe ognuno,

perche buon cavallier lo tenean molto;

ed oltra la bontade, il piu cortese

non era stato in tutto quel paese.

88

Veduto cio, Martano ebbe paura

che parimente a se non avvenisse;

e ritornando ne la sua natura,

a pensar comincio come fugisse.

Grifon, che gli era appresso e n'avea cura,

lo spinse pur, poi ch'assai fece e disse,

contra un gentil guerrier che s'era mosso,

come si spinge il cane al lupo adosso;

89

che dieci passi gli va dietro o venti,

e poi si ferma, ed abbaiando guarda

come digrigni i minacciosi denti,

come negli occhi orribil fuoco gli arda.

Quivi ov'erano e principi presenti

e tanta gente nobile e gagliarda,

fuggi lo 'ncontro il timido Martano,

e torse 'l freno e 'l capo a destra mano.

90

Pur la colpa potea dar al cavallo,

chi di scusarlo avesse tolto il peso;

ma con la spada poi fe' si gran fallo,

che non l'avria Demostene difeso.

Di carta armato par, non di metallo;

si teme da ogni colpo essere offeso.

Fuggesi al fine, e gli ordini disturba,

ridendo intorno a lui tutta laturba.

91

Il batter de le mani, il grido intorno

se gli levo del populazzo tutto.

Come lupo cacciato, fe' ritorno

Martano in molta fretta al suo ridutto.

Resta Grifone; e gli par de lo scorno

del suo compagno esser macchiato e brutto:

esser vorrebbe stato in mezzo il foco,

piu tosto che trovarsi in questo loco.

92

Arde nel core, e fuor nel viso avampa,

come sia tutta sua quella vergogna;

perche l'opere sue di quella stampa

vedere aspetta il populo ed agogna:

si che rifulga chiara piu che lampa

sua virtu, questa volta gli bisogna;

ch'un'oncia, un dito sol d'error che faccia,

per la mala impression parra sei braccia.

93

Gia la lancia avea tolta su la coscia

Grifon, ch'errare in arme era poco uso:

spinse il cavallo a tutta briglia, e poscia

ch'alquanto andato fu, la messe suso,

e porto nel ferire estrema angoscia

al baron di Sidonia, ch'ando giuso.

Ognun maravigliando in pie si leva;

che 'l contrario di cio tutto attendeva.

94

Torno Grifon con la medesma antenna,

che 'ntiera e ferma ricovrata avea,

ed in tre pezzi la roppe alla penna

de lo scudo al signor di Lodicea.

Quel per cader tre volte e quattro accenna,

che tutto steso alla groppa giacea:

pur rilevato al fin la spada strinse,

volto il cavallo, e ver Grifon si spinse.

95

Grifon, che 'l vede in sella, e che non basta

si fiero incontro perche a terra vada,

dice fra se: - Quel che non pote l'asta,

in cinque colpi o 'n sei fara la spada. -

E su la tempia subito l'attasta

d'un dritto tal, che par che dal ciel cada;

e un altro gli accompagna e un altro appresso,

tanto che l'ha stordito e in terra messo.

96

Quivi erano d'Apamia duo germani,

soliti in giostra rimaner di sopra,

Tirse e Corimbo; ed ambo per le mani

del figlio d'Uliver cader sozzopra.

L'uno gli arcion lascia allo scontro vani;

con l'altro messa fu la spada in opra.

Gia per commun giudicio si tien certo

che di costui fia de la giostra il merto.

97

Ne la lizza era entrato Salinterno,

gran diodarro e maliscalco regio,

e che di tutto 'l regno avea il governo,

e di sua mano era guerriero egregio.

Costui, sdegnoso ch'un guerriero esterno

debba portar di quella giostra il pregio,

piglia una lancia, e verso Grifon grida,

e molto minacciandolo lo sfida.

98

Ma quel con un lancion gli fa risposta,

ch'avea per lo miglior fra dieci eletto,

e per non far error, lo scudo apposta,

e via lo passa e la corazza e 'l petto:

passa il ferro crudel tra costa e costa,

e fuor pel tergo un palmo esce di netto.

Il colpo, eccetto al re, fu a tutti caro;

ch'ognuno odiava Salinterno avaro.

99

Grifone, appresso a questi, in terra getta

duodi Damasco, Ermofilo e Carmondo.

La milizia del re dal primo e retta;

del mar grande almiraglio e quel secondo.

Lascia allo scontro l'un la sella in fretta:

adosso all'altro si riversa il pondo

del rio destrier, che sostener non puote

l'alto valor con che Grifon percuote.

100

Il signor di Seleucia ancor restava,

miglior guerrier di tutti gli altri sette;

e ben la sua possanza accompagnava

con destrier buono e con arme perfette.

Dove de l'elmo la vista si chiava,

l'asta allo scontro l'uno e l'altro mette;

pur Grifon maggior colpo al pagan diede,

che lo fe' staffeggiar dal manco piede.

101

Gittaro i tronchi, e si tornaro adosso

pieni di molto ardir coi brandi nudi.

Fu il pagan prima da Grifon percosso

d'un colpo che spezzato avria gl'incudi.

Con quel fender si vide e ferro ed osso

d'un ch'eletto s'avea tra mille scudi;

e se non era doppio e fin l'arnese,

feria la coscia ove cadendo scese.

102

Feri quel di Seleucia alla visera

Grifone a un tempo; e fu quel colpo tanto,

che l'avria aperta e rotta, se non era

fatta, come l'altr'arme, per incanto.

Gli e un perder tempo che 'l pagan piu fera:

cosi son l'arme dure in ogni canto:

e 'n piu parti Grifon gia fessa e rotta

ha l'armatura a lui, ne perde botta.

103

Ognun potea veder quanto di sotto

il signor di Seleucia era a Grifone;

e se partir non li fa il re di botto,

quel che sta peggio, la vita vi pone.

Fe' Norandino alla sua guardia motto

ch'entrasse a distaccar l'aspra tenzone.

Quindi fu l'uno, e quindi l'altro tratto;

e fu lodato il re di si buon atto.

104

Gli otto che dianzi avean col mondo impresa,

e non potuto durar poi contra uno,

avendo mal la parte lor difesa,

usciti eran dal campo ad uno ad uno.

Gli altri ch'eran venuti a lor contesa,

quivi restar senza contrasto alcuno,

avendo lor Grifon, solo, interrotto

quel che tutti essi avean da far contra otto.

105

E duro quella festa cosi poco,

ch'in men d'un'ora il tutto fatto s'era:

ma Norandin, per far piu lungo il giuoco

e per continuarlo infino a sera,

dal palco scese, e fe' sgombrare il loco;

e poi divise in due la grossa schiera,

indi, secondo il sangue e la lor prova,

gli ando accoppiando, e fe' una giostra nova.

106

Grifone intanto avea fatto ritorno

alla sua stanza pien d'ira e di rabbia

e piu gli preme di Martan lo scorno

che non giova l'onor ch'esso vinto abbia.

Quivi, per tor l'obbrobrio ch'avea intorno,

Martano adopra le mendaci labbia:

e l'astuta e bugiarda meretrice,

come meglio sapea, gli era adiutrice.

107

O si o no che 'l giovin gli credesse,

pur la scusa accetto, come discreto:

e pel suo meglio allora allora elesse

quindi levarsi tacito esecreto,

per tema che, se 'l populo vedesse

Martano comparir, non stesse cheto.

Cosi per una via nascosa e corta

usciro al camin lor fuor de la porta.

108

Grifone, o ch'egli o che 'l cavallo fosse

stanco, o gravasse il sonno pur le ciglia,

al primo albergo che trovar, fermosse,

che non erano andati oltre a dua miglia.

Si trasse l'elmo, e tutto disarmosse,

e trar fece a' cavalli e sella e briglia;

e poi serrossi in camera soletto,

e nudo per dormire entro nel letto.

109

Non ebbe cosi tosto il capo basso,

che chiuse gli occhi, e fu dal sonno oppresso

cosi profundamente, che mai tasso

ne ghiro mai s'addormento quanto esso.

Martano in tanto ed Orrigille a spasso

entraro in un giardin ch'era li appresso;

ed un inganno ordir, che fu il piu strano

che mai cadesse in sentimento umano.

110

Martano disegno torre il destriero,

i panni e l'arme che Grifon s'ha tratte;

e andare inanzi al re pel cavalliero

che tante pruove avea giostrando fatte.

L'effetto ne segui, fatto il pensiero:

tolle il destrier piu candido che latte,

scudo e cimiero ed arme e sopraveste,

e tutte di Grifon l'insegne veste.

111

Con gli scudieri e con la donna, dove

era il popolo ancora, in piazza venne;

e giunse a tempo che finian le pruove

di girar spade e d'arrestare antenne.

Commanda il re che 'l cavallier si truove,

che per cimier avea le bianche penne,

bianche le vesti e bianco il corridore;

che 'l nome non sapea del vincitore.

112

Colui ch'indosso il non suo cuoio aveva,

come l'asino gia quel del leone,

chiamato, se n'ando, come attendeva,

a Norandino, in loco di Grifone.

Quel re cortese incontro se gli leva,

l'abbraccia e bacia, e allato se lo pone:

ne gli basta onorarlo e dargli loda,

che vuol che 'l suo valor per tutto s'oda.

113

E fa gridarlo al suon degli oricalchi

vincitor de la giostra di quel giorno.

L'alta voce ne va per tutti i palchi,

che 'l nome indegno udir fa d'ogn'intorno.

Seco il re vuol ch'a par a par cavalchi,

quando al palazzo suo poi fa ritorno;

e di sua grazia tanto gli comparte,

che basteria, se fosse Ercole o Marte.

114

Bello ed ornato alloggiamento dielli

in corte, ed onorar fece con lui

Orrigille anco; e nobili donzelli

mando con essa, e cavallieri sui.

Ma tempo e ch'anco di Grifon favelli,

il qual ne dal compagno ne d'altrui

temendo inganno, addormentato s'era,

ne mai si risveglio fin alla sera.

115

Poi che fu desto, e che de l'ora tarda

s'accorse, usci di camera con fretta,

dove il falso cognato e la bugiarda

Orrigille lascio con l'altra setta;

e quando non gli truova, e che riguarda

non v'esser l'arme ne i panni, sospetta;

ma il veder poi piu sospettoso il fece

l'insegne del compagno inquella vece.

116

Sopravien l'oste, e di colui l'informa

che gia gran pezzo, di bianch'arme adorno,

con la donna e col resto de la torma

avea ne la citta fatto ritorno.

Truova Grifone a poco a poco l'orma

ch'ascosa gli avea Amor fin a quel giorno;

e con suo gran dolor vede esser quello

adulter d'Orrigille, e non fratello.

117

Di sua sciocchezza indarno ora si duole,

ch'avendo il ver dal peregrino udito,

lasciato mutar s'abbia alle parole

di chi l'avea piu volte gia tradito.

Vendicar si potea, ne seppe; or vuole

l'inimico punir, che gli e fuggito;

ed e costretto con troppo gran fallo

a tor di quel vil uom l'arme e 'l cavallo.

118

Eragli meglio andar senz'arme e nudo,

che porsi indosso la corazza indegna,

o ch'imbracciar l'abominato scudo,

o por su l'elmo la beffata insegna;

ma per seguir la meretrice e 'l drudo,

ragione in lui pari al disio non regna.

A tempo venne alla citta, ch'ancora

il giorno avea quasi di vivo un'ora.

119

Presso alla porta ove Grifon venia,

siede a sinistra un splendido castello,

che, piu che forte e ch'a guerre atto sia,

di ricche stanze e accommodato e bello.

I re, i signori, i primi di Soria

con alte donne in un gentil drappello

celebravano quivi in loggia amena

la real sontuosa e lieta cena.

120

La bella loggia sopra 'l muro usciva

con l'alta rocca fuor de la cittade;

e lungo tratto di lontan scopriva

i larghi campi e le diverse strade.

Or che Grifon verso la porta arriva

con quell'arme d'obbrobrio e di viltade,

fu con non troppa aventurosa sorte

dal re veduto e da tutta la corte:

121

e riputato quel di ch'avea insegna,

mosse le donne e i cavallieri a riso.

Il vil Martano, come quel che regna

in gran favor, dopo 'l re e 'l primo assiso,

e presso a lui la donna di se degna;

dai quali Norandin con lieto viso

volse saper chi fosse quel codardo

che cosi avea al suo onor poco riguardo;

122

che dopo una si trista e brutta pruova,

con tanta fronte or gli tornava inante.

Dicea: - Questa mi par cosa assai nuova,

ch'essendo voi guerrier degno e prestante,

costui compagno abbiate, che non truova,

di vilta, pari in terra di Levante.

Il fate forse per mostrar maggiore,

per tal contrario, il vostro alto valore.

123

Ma ben vi giuro per gli eterni dei,

che se non fosse ch'io riguardo a vui,

la publica ignominia gli farei,

ch'io soglio fare agli altri pari a lui.

Perpetua ricordanza gli darei,

come ognor di vilta nimico fui.

Ma sappia, s'impunito se ne parte,

grado a voi che 'l menaste in questa parte. -

124

Colui che fu de tutti i vizi il vaso,

rispose: - Alto signor, dir non sapria

chi sia costui; ch'io l'ho trovatoa caso,

venendo d'Antiochia, in su la via.

Il suo sembiante m'avea persuaso

che fosse degno di mia compagnia;

ch'intesa non n'avea pruova ne vista,

se non quella che fece oggi assai trista.

125

La qual mi spiacque si, che resto poco,

che per punir l'estrema sua viltade,

non gli facessi allora allora un gioco,

che non toccasse piu lance ne spade:

ma ebbi, piu ch'a lui, rispetto al loco,

e riverenza a vostra maestade.

Ne per me voglio che gli sia guadagno

l'essermi stato un giorno o dua compagno:

126

di che contaminato anco esser parme;

e sopra il cor mi sara eterno peso,

se, con vergogna del mestier de l'arme,

io lo vedro da noi partire illeso:

e meglio che lasciarlo, satisfarme

potrete, se sara d'un merlo impeso;

e fia lodevol opra e signorile,

perch'el sia esempio e specchio ad ogni vile. -

127

Al detto suo Martano Orrigille have,

senza accennar, confermatrice presta.

- Non son(rispose il re) l'opre si prave,

ch'al mio parer v'abbia d'andar la testa.

Voglio per pena del peccato grave,

che sol rinuovi al populo la festa. -

E tosto a un suo baron, che fe' venire,

impose quanto avesse ad esequire.

128

Quel baron molti armati seco tolse,

ed alla porta de la terra scese;

e quivi con silenzio li raccolse,

e la venuta di Grifone attese:

e ne l'entrar si d'improviso il colse,

che fra i duo ponti a salvamento il prese;

e lo ritenne con beffe e con scorno

in una oscura stanza insin al giorno.

129

Il Sole a pena avea il dorato crine

tolto di grembio alla nutrice antica,

e cominciava da le piagge alpine

a cacciar l'ombre e far la cima aprica;

quando temendo il vil Martan ch'al fine

Grifone ardito la sua causa dica,

e ritorni la colpa ond'era uscita,

tolse licenza, e fece indi partita,

130

trovando idonia scusa al priego regio,

che non stia allo spettacolo ordinato.

Altri doni gli avea fatto, col pregio

de la non sua vittoria, il signor grato;

e sopra tutto un amplo privilegio,

dov'era d'altri onori al sommo ornato.

Lascianlo andar; ch'io vi prometto certo,

che la mercede avra secondo il merto.

131

Fu Grifon tratto a gran vergogna in piazza,

quando piu si trovo piena di gente.

Gli avean levato l'elmo e la corazza,

e lasciato in farsetto assai vilmente;

e come il conducessero alla mazza,

posto l'avean sopra un carro eminente,

che lento lento tiravan due vacche

da lunga fame attenuate e fiacche.

132

Venian d'intorno alla ignobil quadriga

vecchie sfacciate e disoneste putte,

di che n'era una ed or un'altra auriga,

e con gran biasmo lo mordeano tutte.

Lo poneano i fanciulli in maggior briga,

che, oltre le parole infami e brutte,

l'avrian coi sassi insino a morte offeso,

se dai piu saggi non era difeso.

133

L'arme che delsuo male erano state

cagion, che di lui fer non vero indicio,

da la coda del carro strascinate

patian nel fango debito supplicio.

Le ruote inanzi a un tribunal fermate

gli fero udir de l'altrui maleficio

la sua ignominia, che 'n sugli occhi detta

gli fu, gridando un publico trombetta.

134

Lo levar quindi, e lo mostrar per tutto

dinanzi a templi, ad officine e a case,

dove alcun nome scelerato e brutto,

che non gli fosse detto, non rimase.

Fuor de la terra all'ultimo cundutto

fu da la turba, che si persuase

bandirlo e cacciare indi a suon di busse,

non conoscendo ben ch'egli si fusse.

135

Si tosto a pena gli sferraro i piedi

e liberargli l'una e l'altra mano,

che tor lo scudo ed impugnar gli vedi

la spada, che rigo gran pezzo il piano.

Non ebbe contra se lance ne spiedi;

che senz'arme venia il populo insano.

Ne l'altro canto diferisco il resto;

che tempo e omai, Signor, di finir questo.

1

Alcun non puo saper da chi sia amato,

quando felice in su la ruota siede:

pero c'ha i veri e i finti amici a lato,

che mostran tutti una medesma fede.

Se poi sicangia in tristo il lieto stato,

volta la turba adulatrice il piede;

e quel che di cor ama riman forte,

ed ama il suo signor dopo la morte.

2

Se, come il viso, si mostrasse il core,

tal ne la corte e grande e gli altri preme,

e tal e in poca grazia al suo signore,

che la lor sorte muteriano insieme.

Questo umil diverria tosto il maggiore:

staria quel grande infra le turbe estreme.

Ma torniamo a Medor fedele e grato,

che 'n vita e in morte ha il suo signore amato.

3

Cercando gia nel piu intricato calle

il giovine infelice di salvarsi;

ma il grave peso ch'avea su le spalle,

gli facea uscir tutti i partiti scarsi.

Non conosce il paese, e la via falle,

e torna fra le spine a invilupparsi.

Lungi da lui tratto al sicuro s'era

l'altro, ch'avea la spalla piu leggiera.

4

Cloridan s'e ridutto ove non sente

di chi segue lo strepito e il rumore:

ma quando da Medor si vede assente,

gli pare aver lasciato a dietro il core.

- Deh, come fui(dicea) si negligente,

deh, come fui si di me stesso fuore,

che senza te, Medor, qui mi ritrassi,

ne sappia quando o dove io ti lasciassi! -

5

Cosi dicendo, ne la torta via

de l'intricata selva si ricaccia;

ed onde era venuto si ravvia,

e torna di sua morte in su la traccia.

Ode i cavalli e i gridi tuttavia,

e la nimica voce che minaccia:

all'ultimo ode il suo Medoro, e vede

che tra molti a cavallo e solo a piede.

6

Cento a cavallo, e gli son tutti intorno:

Zerbin commanda e grida che sia preso.

L'infelice s'aggira com'un torno,

e quanto puo si tien da lor difeso,

or dietro quercia, or olmo, or faggio, or orno,

ne si discosta mai dal caro peso.

L'ha riposato al fin su l'erba, quando

regger nol puote, e gli va intorno errando:

7

come orsa, che l'alpestre cacciatore

ne la pietrosa tana assalita abbia,

sta sopra i figli con incerto core,

e freme in suono di pieta e di rabbia:

ira la 'nvita e natural furore

a spiegar l'ugne e a insanguinar le labbia;

amor la 'ntenerisce, e la ritira

a riguardare ai figli in mezzo l'ira.

8

Cloridan, che non sa come l'aiuti,

e ch'esser vuole a morir seco ancora,

ma non ch'in morte prima il viver muti,

che via non truovi ove piu d'un ne mora;

mette su l'arco un de' suoi strali acuti,

e nascoso con quel si ben lavora,

che fora ad uno Scotto le cervella,

e senza vita il fa cader di sella.

9

Volgonsi tutti gli altri a quella banda

ond'era uscito il calamo omicida.

Intanto un altro il Saracin ne manda,

perche 'l secondo a lato al primo uccida;

che mentrein fretta a questo e a quel domanda

chi tirato abbia l'arco, e forte grida,

lo strale arriva e gli passa la gola,

e gli taglia pel mezzo la parola.

10

Or Zerbin, ch'era il capitano loro,

non pote a questo aver piu pazienza.

Con ira e con furor venne a Medoro,

dicendo: - Ne farai tu penitenza. -

Stese la mano in quella chioma d'oro,

e strascinollo a se con violenza:

ma come gli occhi a quel bel volto mise,

gli ne venne pietade, e non l'uccise.

11

Il giovinetto si rivolse a' prieghi,

e disse: - Cavallier, per lo tuo Dio,

non esser si crudel, che tu mi nieghi

ch'io sepelisca il corpo del re mio.

Non vo' ch'altra pieta per me ti pieghi,

ne pensi che di vita abbi disio:

ho tanta di mia vita, e non piu, cura,

quanta ch'al mio signor dia sepultura.

12

E se pur pascer voi fiere ed augelli,

che 'n te il furor sia del teban Creonte,

fa lor convito di miei membri, e quelli

sepelir lascia del figliuol d'Almonte. -

Cosi dicea Medor con modi belli,

e con parole atte a voltare un monte;

e si commosso gia Zerbino avea,

che d'amor tutto e di pietade ardea.

13

In questo mezzo un cavallier villano,

avendo al suo signor poco rispetto,

feri con una lancia sopra mano

al supplicante il delicato petto.

Spiacque a Zerbin l'atto crudele e strano;

tanto piu, che del colpo il giovinetto

vide cader si sbigottito e smorto,

che 'n tutto giudico che fosse morto.

14

E se ne sdegno in guisa e se ne dolse,

che disse: - Invendicato gia non fia! -

e pien di mal talento si rivolse

al cavallier che fe' l'impresa ria:

ma quel prese vantaggio, e se gli tolse

dinanzi in un momento, e fuggi via.

Cloridan, che Medor vede per terra,

salta del bosco a discoperta guerra.

15

E getta l'arco, e tutto pien di rabbia

tra gli nimici il ferro intorno gira,

piu per morir, che per pensier ch'egli abbia

di far vendetta che pareggi l'ira.

Del proprio sangue rosseggiar la sabbia

fra tante spade, e al fin venir si mira;

e tolto che si sente ogni potere,

si lascia a canto al suo Medor cadere.

16

Seguon gli Scotti ove la guida loro

per l'alta selva alto disdegno mena,

poi che lasciato ha l'uno e l'altro Moro,

l'un morto in tutto, e l'altro vivo a pena.

Giacque gran pezzo il giovine Medoro,

spicciando il sangue da si larga vena,

che di sua vita al fin saria venuto,

se non sopravenia chi gli die aiuto.

17

Gli sopravenne a caso una donzella,

avolta in pastorale ed umil veste,

ma di real presenza e in viso bella,

d'alte maniere e accortamente oneste.

Tanto e ch'io nonne dissi piu novella,

ch'a pena riconoscer la dovreste:

questa, se non sapete, Angelica era,

del gran Can del Catai la figlia altiera.

18

Poi che 'l suo annello Angelica riebbe,

di che Brunel l'avea tenuta priva,

in tanto fasto, in tanto orgoglio crebbe,

ch'esser parea di tutto 'l mondo schiva.

Se ne va sola, e non si degnerebbe

compagno aver qual piu famoso viva:

si sdegna a rimembrar che gia suo amante

abbia Orlando nomato, o Sacripante.

19

E sopra ogn'altro error via piu pentita

era del ben che gia a Rinaldo volse,

troppo parendole essersi avilita,

ch'a riguardar si basso gli occhi volse.

Tant'arroganza avendo Amor sentita,

piu lungamente comportar non volse:

dove giacea Medor, si pose al varco,

e l'aspetto, posto lo strale all'arco.

20

Quando Angelica vide il giovinetto

languir ferito, assai vicino a morte,

che del suo re che giacea senza tetto,

piu che del proprio mal si dolea forte;

insolita pietade in mezzo al petto

si senti entrar per disusate porte,

che le fe' il duro cor tenero e molle,

e piu, quando il suo caso egli narrolle.

21

E rivocando alla memoria l'arte

ch'in India imparo gia di chirugia

(che par che questo studio in quella parte

nobile e degno e di gran laude sia;

e senza molto rivoltar di carte,

che 'l patre ai figli ereditario il dia),

si dispose operar con succo d'erbe,

ch'a piu matura vita lo riserbe.

22

E ricordossi che passando avea

veduta un'erba in una piaggia amena;

fosse dittamo, o fosse panacea,

o non so qual, di tal effetto piena,

che stagna il sangue, e de la piaga rea

leva ogni spasmo e perigliosa pena.

La trovo non lontana, e quella colta,

dove lasciato avea Medor, die volta.

23

Nel ritornar s'incontra in un pastore

ch'a cavallo pel bosco ne veniva,

cercando una iuvenca, che gia fuore

duo di di mandra e senza guardia giva.

Seco lo trasse ove perdea il vigore

Medor col sangue che del petto usciva;

e gia n'avea di tanto il terren tinto,

ch'era omai presso a rimanere estinto.

24

Del palafreno Angelica giu scese,

e scendere il pastor seco fece anche.

Pesto con sassi l'erba, indi la prese,

e succo ne cavo fra le man bianche;

ne la piaga n'infuse, e ne distese

e pel petto e pel ventre e fin a l'anche:

e fu di tal virtu questo liquore,

che stagno il sangue, e gli torno il vigore;

25

e gli die forza, che pote salire

sopra il cavallo che 'l pastor condusse.

Non pero volse indi Medor partire

prima ch'in terra il suo signor non fusse.

E Cloridan col re fe' sepelire;

e poi dove a lei piacque si ridusse.

Ed ella per pieta ne l'umil case

del cortese pastor seco rimase.

26

Ne fin che nol tornasse in sanitade,

volea partir: cosi di lui fe' stima,

tanto seinteneri de la pietade

che n'ebbe, come in terra il vide prima.

Poi vistone i costumi e la beltade,

roder si senti il cor d'ascosa lima;

roder si senti il core, e a poco a poco

tutto infiammato d'amoroso fuoco.

27

Stava il pastore in assai buona e bella

stanza, nel bosco infra duo monti piatta,

con la moglie e coi figli; ed avea quella

tutta di nuovo e poco inanzi fatta.

Quivi a Medoro fu per la donzella

la piaga in breve a sanita ritratta:

ma in minor tempo si senti maggiore

piaga di questa avere ella nel core.

28

Assai piu larga piaga e piu profonda

nel cor senti da non veduto strale,

che da' begli occhi e da la testa bionda

di Medoro avento l'Arcier c'ha l'ale.

Arder si sente, e sempre il fuoco abonda;

e piu cura l'altrui che 'l proprio male:

di se non cura, e non e ad altro intenta,

ch'a risanar chi lei fere e tormenta.

29

La sua piaga piu s'apre e piu incrudisce,

quanto piu l'altra si ristringe e salda.

Il giovine si sana: ella languisce

di nuova febbre, or agghiacciata, or calda.

Di giorno in giorno in lui belta fiorisce:

la misera si strugge, come falda

strugger di nieve intempestiva suole,

ch'in loco aprico abbia scoperta il sole.

30

Se di disio non vuol morir, bisogna

che senza indugio ella se stessa aiti:

e ben le par che di quel ch'essa agogna,

non sia tempo aspettar ch'altri la 'nviti.

Dunque, rotto ogni freno di vergogna,

la lingua ebbe non men che gli occhi arditi:

e di quel colpo domando mercede,

che, forse non sapendo, esso le diede.

31

O conte Orlando, o re di Circassia,

vostra inclita virtu, dite, che giova?

Vostro alto onor dite in che prezzo sia,

o che merce vostro servir ritruova.

Mostratemi una sola cortesia

che mai costei v'usasse, o vecchia o nuova,

per ricompensa e guidardone e merto

di quanto avete gia per lei sofferto.

32

Oh se potessi ritornar mai vivo,

quanto ti parria duro, o re Agricane!

che gia mostro costei si averti a schivo

con repulse crudeli ed inumane.

O Ferrau, o mille altri ch'io non scrivo,

ch'avete fatto mille pruove vane

per questa ingrata, quanto aspro vi fora,

s'a costu' in braccio voi la vedesse ora!

33

Angelica a Medor la prima rosa

coglier lascio, non ancor tocca inante:

ne persona fu mai si aventurosa,

ch'in quel giardin potesse por le piante.

Per adombrar, per onestar la cosa,

si celebro con cerimonie sante

il matrimonio, ch'auspice ebbe Amore,

e pronuba la moglie del pastore.

34

Fersi le nozze sotto all'umil tetto

le piu solenni che vi potean farsi;

e piu d'un mese poi stero a diletto

i duo tranquilli amanti a ricrearsi.

Piu lunge non vedea del giovinetto

la donna, ne di lui potea saziarsi;

ne, permai sempre pendergli dal collo,

il suo disir sentia di lui satollo.

35

Se stava all'ombra o se del tetto usciva,

avea di e notte il bel giovine a lato:

matino e sera or questa or quella riva

cercando andava, o qualche verde prato:

nel mezzo giorno un antro li copriva,

forse non men di quel commodo e grato,

ch'ebber, fuggendo l'acque, Enea e Dido,

de' lor secreti testimonio fido.

36

Fra piacer tanti, ovunque un arbor dritto

vedesse ombrare o fonte o rivo puro,

v'avea spillo o coltel subito fitto;

cosi, se v'era alcun sasso men duro:

ed era fuori in mille luoghi scritto,

e cosi in casa in altritanti il muro,

Angelica e Medoro, in vari modi

legati insieme di diversi nodi.

37

Poi che le parve aver fatto soggiorno

quivi piu ch'a bastanza, fe' disegno

di fare in India del Catai ritorno,

e Medor coronar del suo bel regno.

Portava al braccio un cerchio d'oro, adorno

di ricche gemme, in testimonio e segno

del ben che 'l conte Orlando le volea;

e portato gran tempo ve l'avea.

38

Quel dono gia Morgana a Ziliante,

nel tempo che nel lago ascoso il tenne;

ed esso, poi ch'al padre Monodante,

per opra e per virtu d'Orlando venne,

lo diede a Orlando: Orlando ch'era amante,

di porsi al braccio il cerchio d'or sostenne,

avendo disegnato di donarlo

alla regina sua di ch'io vi parlo.

39

Non per amor del paladino, quanto

perch'era ricco e d'artificio egregio,

caro avuto l'avea la donna tanto,

che piu non si puo aver cosa di pregio.

Se lo serbo ne l'Isola del pianto,

non so gia dirvi con che privilegio,

la dove esposta al marin mostro nuda

fu da la gente inospitale e cruda.

40

Quivi non si trovando altra mercede

ch'al buon pastor ed alla moglie dessi,

che serviti gli avea con si gran fede

dal di che nel suo albergo si fur messi,

levo dal braccio il cerchio e gli lo diede,

e volse per suo amor che lo tenessi.

Indi saliron verso la montagna

che divide la Francia da la Spagna.

41

Dentro a Valenza o dentro a Barcellona

per qualche giorno avea pensato porsi,

fin che accadesse alcuna nave buona

che per Levante apparecchiasse a sciorsi.

Videro il mar scoprir sotto a Girona

ne lo smontar giu dei montani dorsi;

e costeggiando a man sinistra il lito,

a Barcellona andar pel camin trito.

42

Ma non vi giunser prima, ch'un uom pazzo

giacer trovato in su l'estreme arene,

che, come porco, di loto e di guazzo

tutto era brutto e volto e petto e schene.

Costui si scaglio lor come cagnazzo

ch'assalir forestier subito viene;

e die lor noia, e fu per far lor scorno.

Ma di Marfisa a ricontarvi torno.

43

Di Marfisa, d'Astolfo, d'Aquilante,

di Grifone e degli altri io vi vuo' dire,

che travagliati, econ la morte inante,

mal si poteano incontra il mar schermire:

che sempre piu superba e piu arrogante

crescea fortuna le minacce e l'ire;

e gia durato era tre di lo sdegno,

ne di placarsi ancor mostrava segno.

44

Castello e ballador spezza e fracassa

l'onda nimica e 'l vento ognor piu fiero:

se parte ritta il verno pur ne lassa,

la taglia e dona al mar tutta il nocchiero.

Chi sta col capo chino in una cassa

su la carta appuntando il suo sentiero

a lume di lanterna piccolina,

e chi col torchio giu ne la sentina.

45

Un sotto poppe, un altro sotto prora

si tiene inanzi l'oriuol da polve:

e torna a rivedere ogni mezz'ora

quanto e gia corso, ed a che via si volve:

indi ciascun con la sua carta fuora

a mezza nave il suo parer risolve,

la dove a un tempo i marinari tutti

sono a consiglio dal padron ridutti.

46

Chi dice: - Sopra Linmisso venuti

siamo, per quel ch'io trovo, alle seccagne; -

chi: - Di Tripoli appresso i sassi acuti,

dove il mar le piu volte i legni fragne; -

chi dice: - Siamo in Satalia perduti,

per cui piu d'un nocchier sospira e piagne. -

Ciascun secondo il parer suo argomenta,

ma tutti ugual timor preme e sgomenta.

47

Il terzo giorno con maggior dispetto

gli assale il vento, e il mar piu irato freme;

e l'un ne spezza e portane il trinchetto,

e 'l timon l'altro, e chi lo volge insieme.

Ben e di forte e di marmoreo petto

e piu duro ch'acciar, ch'ora non teme.

Marfisa, che gia fu tanto sicura,

non nego che quel giorno ebbe paura.

48

Al monte Sinai fu peregrino,

a Gallizia promesso, a Cipro, a Roma,

al Sepolcro, alla Vergine d'Ettino,

e se celebre luogo altro si noma.

Sul mare intanto, e spesso al ciel vicino

l'afflitto e conquassato legno toma,

di cui per men travaglio avea il padrone

fatto l'arbor tagliar de l'artimone.

49

E colli e casse e cio che v'e di grave

gitta da prora e da poppe e da sponde;

e fa tutte sgombrar camere e giave,

e dar le ricche merci all'avide onde.

Altri attende alle trombe, e a tor di nave

l'acque importune, e il mar nel mar rifonde;

soccorre altri in sentina, ovunque appare

legno da legno aver sdrucito il mare.

50

Stero in questo travaglio, in questa pena

ben quattro giorni, e non avean piu schermo;

e n'avria avuto il mar vittoria piena,

poco piu che 'l furor tenesse fermo:

ma diede speme lor d'aria serena

la disiata luce di santo Ermo,

ch'in prua s'una cocchina a por si venne;

che piu non v'erano arbori ne antenne.

51

Veduto fiammeggiar la bella face,

s'inginocchiaro tutti i naviganti,

e domandaro il martranquillo e pace

con umidi occhi e con voci tremanti.

La tempesta crudel, che pertinace

fu sin allora, non ando piu inanti:

Maestro e Traversia piu non molesta,

e sol del mar tiran Libecchio resta.

52

Questo resta sul mar tanto possente,

e da la negra bocca in modo esala,

ed e con lui si il rapido corrente

de l'agitato mar ch'in fretta cala,

che porta il legno piu velocemente,

che pelegrin falcon mai facesse ala,

con timor del nocchier ch'al fin del mondo

non lo trasporti, o rompa, o cacci al fondo.

53

Rimedio a questo il buon nocchier ritruova,

che commanda gittar per poppa spere,

e caluma la gomona, e fa pruova

di duo terzi del corso ritenere.

Questo consiglio, e piu l'augurio giova

di chi avea acceso in proda le lumiere:

questo il legno salvo che peria forse,

e fe' ch'in alto mar sicuro corse.

54

Nel golfo di Laiazzo inver Soria

sopra una gran citta si trovo sorto,

e si vicino al lito, che scopria

l'uno e l'altro castel che serra il porto.

Come il padron s'accorse de la via

che fatto avea, ritorno in viso smorto;

che ne porto pigliar quivi volea,

ne stare in alto, ne fuggir potea.

55

Ne potea stare in alto, ne fuggire,

che gli arbori e l'antenne avea perdute:

eran tavole e travi pel ferire

del mar, sdrucite, macere e sbattute.

E 'l pigliar porto era un voler morire,

o perpetuo legarsi in servitute;

che riman serva ogni persona, o morta,

che quivi errore o ria fortuna porta.

56

E 'l stare in dubbio era con gran periglio

che non salisser genti de la terra

con legni armati, e al suo desson di piglio,

mal atto a star sul mar, non ch'a far guerra.

Mentre il padron non sa pigliar consiglio,

fu domandato da quel d'Inghilterra,

chi gli tenea si l'animo suspeso,

e perche gia non avea il porto preso.

57

Il padron narro lui che quella riva

tutta tenean le femine omicide,

di quai l'antiqua legge ognun ch'arriva

in perpetuo tien servo, o che l'uccide;

e questa sorte solamente schiva

chi nel campo dieci uomini conquide,

e poi la notte puo assaggiar nel letto

diece donzelle con carnal diletto.

58

E se la prima pruova gli vien fatta,

e non fornisca la seconda poi,

egli vien morto, e chi e con lui si tratta

da zappatore o da guardian di buoi.

Se di far l'uno e l'altro e persona atta,

impetra libertade a tutti i suoi;

a se non gia, c'ha da restar marito

di diece donne, elette a suo appetito.

59

Non pote udire Astolfo senza risa

de la vicina terra il rito strano.

Sopravien Sansonetto, e poi Marfisa,

indi Aquilante, e seco il suo germano.

Il padron parimente lor divisa

la causa che dal porto il tien lontano:

- Voglio(dicea) che inanziil mar m'affoghi,

ch'io senta mai di servitude i gioghi. -

60

Del parer del padrone i marinari

e tutti gli altri naviganti furo;

ma Marfisa e' compagni eran contrari,

che, piu che l'acque, il lito avean sicuro.

Via piu il vedersi intorno irati i mari,

che centomila spade, era lor duro.

Parea lor questo e ciascun altro loco

dov'arme usar potean, da temer poco.

61

Bramavano i guerrier venire a proda,

ma con maggior baldanza il duca inglese;

che sa, come del corno il rumor s'oda,

sgombrar d'intorno si fara il paese.

Pigliare il porto l'una parte loda,

e l'altra il biasma, e sono alle contese;

ma la piu forte in guisa il padron stringe,

ch'al porto, suo malgrado, il legno spinge.

62

Gia, quando prima s'erano alla vista

de la citta crudel sul mar scoperti,

veduto aveano una galea provista

di molta ciurma e di nochieri esperti

venire al dritto a ritrovar la trista

nave, confusa di consigli incerti;

che, l'alta prora alle sua poppe basse

legando, fuor de l'empio mar la trasse.

63

Entrar nel porto remorchiando, e a forza

di remi piu che per favor di vele;

pero che l'alternar di poggia e d'orza

avea levato il vento lor crudele.

Intanto ripigliar la dura scorza

i cavallieri e il brando lor fedele;

ed al padrone ed a ciascun che teme

non cessan dar con lor conforti speme.

64

Fatto e 'l porto a sembianza d'una luna,

e gira piu di quattro miglia intorno:

seicento passi e in bocca, ed in ciascuna

parte una rocca ha nel finir del corno.

Non teme alcuno assalto di fortuna,

se non quando gli vien dal mezzogiorno.

A guisa di teatro se gli stende

la citta a cerco, e verso il poggio ascende.

65

Non fu quivi si tosto il legno sorto

(gia l'aviso era per tutta la terra),

che fur seimila femine sul porto,

con gli archi in mano, in abito di guerra;

e per tor de la fuga ogni conforto,

tra l'una rocca e l'altra il mar si serra:

da navi e da catene fu rinchiuso,

che tenean sempre istrutte a cotal uso.

66

Una che d'anni alla Cumea d'Apollo

pote uguagliarsi e alla madre d'Ettorre,

fe' chiamare il padrone, e domandollo

se si volean lasciar la vita torre,

o se voleano pur al giogo il collo,

secondo la costuma, sottoporre.

Degli dua l'uno aveano a torre: o quivi

tutti morire, o rimaner captivi.

67

- Gli e ver(dicea) che s'uom si ritrovasse

tra voi cosi animoso e cosi forte,

che contra dieci nostri uomini osasse

prender battaglia, e desse lor la morte,

e far con diece femine bastasse

per una notte ufficio di consorte;

egli si rimarria principe nostro,

e gir voi ne potreste al camin vostro.

68

E sara in vostro arbitrio il restar anco,

vogliate o tutti o parte;ma con patto,

che chi vorra restare, e restar franco,

marito sia per diece femine atto.

Ma quando il guerrier vostro possa manco

dei dieci che gli fian nimici a un tratto,

o la seconda pruova non fornisca,

voglian voi siate schiavi, egli perisca. -

69

Dove la vecchia ritrovar timore

credea nei cavallier, trovo baldanza;

che ciascun si tenea tal feritore,

che fornir l'uno e l'altro avea speranza:

ed a Marfisa non mancava il core,

ben che mal atta alla seconda danza;

ma dove non l'aitasse la natura,

con la spada supplir stava sicura.

70

Al padron fu commessa la risposta,

prima conchiusa per commun consiglio:

ch'avean chi lor potria di se a lor posta

ne la piazza e nel letto far periglio.

Levan l'offese, ed il nocchier s'accosta,

getta la fune e le fa dar di piglio;

e fa acconciare il ponte, onde i guerrieri

escono armati, e tranno i lor destrieri.

71

E quindi van per mezzo la cittade,

e vi ritruovan le donzelle altiere,

succinte cavalcar per le contrade,

ed in piazza armeggiar come guerriere.

Ne calciar quivi spron, ne cinger spade,

ne cosa d'arme puoi gli uomini avere,

se non dieci alla volta, per rispetto

de l'antiqua costuma ch'io v'ho detto.

72

Tutti gli altri alla spola, all'aco, al fuso,

al pettine ed all'aspo sono intenti,

con vesti feminil che vanno giuso

insin al pie, che gli fa molli e lenti.

Si tengono in catena alcuni ad uso

d'arar la terra o di guardar gli armenti.

Son pochi i maschi, e non son ben, per mille

femine, cento, fra cittadi e ville.

73

Volendo torre i cavallieri a sorte

chi di lor debba, per commune scampo

l'una decina in piazza porre a morte,

e poi l'altra ferir ne l'altro campo;

non disegnavan di Marfisa forte,

stimando che trovar dovesse inciampo

ne la seconda giostra de la sera,

ch'ad averne vittoria abil non era.

74

Ma con gli altri esser volse ella sortita:

or sopra lei la sorte in somma cade.

Ella dicea: - Prima v'ho a por la vita,

che v'abbiate a por voi la libertade;

ma questa spada(e lor la spada addita,

che cinta avea) vi do per securtade

ch'io vi sciorro tutti gl'intrichi al modo

che fe' Alessandro il gordiano nodo.

75

Non vuo' mai piu che forestier si lagni

di questa terra, fin che 'l mondo dura. -

Cosi disse; e non potero i compagni

torle quel che le dava sua aventura.

Dunque, o ch'in tutto perda, o lor guadagni

la liberta, le lasciano la cura.

Ella di piastre gia guernita e maglia,

s'appresento nel campo alla battaglia.

76

Gira una piazza al sommo de la terra,

di gradi a seder atti intorno chiusa;

che solamente a giostre, a simil guerra,

a cacce, a lotte, e non ad altro s'usa:

quattro porte hadi bronzo, onde si serra.

Quivi la moltitudine confusa

de l'armigere femine si trasse;

e poi fu detto a Marfisa ch'entrasse.

77

Entro Marfisa s'un destrier leardo,

tutto sparso di macchie e di rotelle,

di piccol capo e d'animoso sguardo,

d'andar superbo e di fattezze belle.

Pel maggiore e piu vago e piu gagliardo,

di mille che n'avea con briglie e selle,

scelse in Damasco, e realmente ornollo,

ed a Marfisa Norandin donollo.

78

Da mezzogiorno e da la porta d'austro

entro Marfisa; e non vi stette guari,

ch'appropinquare e risonar pel claustro

udi di trombe acuti suoni e chiari:

e vide poi di verso il freddo plaustro

entrar nel campo i dieci suoi contrari.

Il primo cavallier ch'apparve inante,

di valer tutto il resto avea sembiante.

79

Quel venne in piazza sopra un gran destriero,

che, fuor ch'in fronte e nel pie dietro manco,

era, piu che mai corbo, oscuro e nero:

nel pie e nel capo avea alcun pelo bianco.

Del color del cavallo il cavalliero

vestito, volea dir che, come manco

del chiaro era l'oscuro, era altretanto

il riso in lui verso l'oscuro pianto.

80

Dato che fu de la battaglia il segno,

nove guerrier l'aste chinaro a un tratto:

ma quel dal nero ebbe il vantaggio a sdegno;

si ritiro, ne di giostrar fece atto.

Vuol ch'alle leggi inanzi di quel regno,

ch'alla sua cortesia, sia contrafatto.

Si tra' da parte e sta a veder le pruove

ch'una sola asta fara contra a nove.

81

Il destrier, ch'avea andar trito e soave,

porto all'incontro la donzella in fretta,

che nel corso arresto lancia si grave,

che quattro uomini avriano a pena retta.

L'avea pur dianzi al dismontar di nave

per la piu salda in molte antenne eletta.

Il fier sembiante con ch'ella si mosse,

mille facce imbianco, mille cor scosse.

82

Aperse al primo che trovo si il petto,

che fora assai che fosse stato nudo:

gli passo la corazza e il soprapetto,

ma prima un ben ferrato e grosso scudo.

Dietro le spalle un braccio il ferro netto

si vide uscir: tanto fu il colpo crudo.

Quel fitto ne la lancia a dietro lassa,

e sopra gli altri a tutta briglia passa.

83

E diede d'urto a chi venia secondo,

ed a chi terzo si terribil botta,

che rotto ne la schiena uscir del mondo

fe' l'uno e l'altro, e de la sella a un'otta;

si duro fu l'incontro e di tal pondo,

si stretta insieme ne venia la frotta.

Ho veduto bombarde a quella guisa

le squadre aprir, che fe' lo stuol Marfisa.

84

Sopra di lei piu lance rotte furo;

ma tanto a quelli colpi ella si mosse,

quanto nel giuoco de le cacce un muro

si muova a' colpi de le palle grosse.

L'usbergo suo di tempra era si duro,

che non gli potean contrale percosse;

e per incanto al fuoco de l'Inferno

cotto, e temprato all'acque fu d'Averno.

85

Al fin del campo il destrier tenne e volse,

e fermo alquanto: e in fretta poi lo spinse

incontra gli altri, e sbarragliolli e sciolse,

e di lor sangue insin all'elsa tinse.

All'uno il capo, all'altro il braccio tolse;

e un altro in guisa con la spada cinse,

che 'l petto in terra ando col capo ed ambe

le braccia, e in sella il ventre era e le gambe.

86

Lo parti, dico, per dritta misura,

de le coste e de l'anche alle confine,

e lo fe' rimaner mezza figura,

qual dinanzi all'imagini divine,

poste d'argento, e piu di cera pura

son da genti lontane e da vicine,

ch'a ringraziarle e sciorre il voto vanno

de le domande pie ch'ottenute hanno.

87

Ad uno che fuggia, dietro si mise,

ne fu a mezzo la piazza, che lo giunse;

e 'l capo e 'l collo in modo gli divise,

che medico mai piu non lo raggiunse.

In somma tutti un dopo l'altro uccise,

o feri si ch'ogni vigor n'emunse;

e fu sicura che levar di terra

mai piu non si potrian per farle guerra.

88

Stato era il cavallier sempre in un canto,

che la decina in piazza avea condutta;

pero che contra un solo andar con tanto

vantaggio opra gli parve iniqua e brutta.

Or che per una man torsi da canto

vide si tosto la compagna tutta,

per dimostrar che la tardanza fosse

cortesia stata e non timor, si mosse.

89

Con man fe' cenno di volere, inanti

che facesse altro, alcuna cosa dire;

e non pensando in si viril sembianti

che s'avesse una vergine a coprire,

le disse; - Cavalliero, omai di tanti

esser dei stanco, c'hai fatto morire;

e s'io volessi, piu di quel che sei,

stancarti ancor, discortesia farei.

90

Che ti risposi in sino al giorno nuovo,

e doman torni in campo, ti concedo.

Non mi fia onor se teco oggi mi pruovo,

che travagliato e lasso esser ti credo. -

- Il travagliare in arme non m'e nuovo,

ne per si poco alla fatica cedo

(disse Marfisa); e spero ch'a tuo costo

io ti faro di questo aveder tosto.

91

De la cortese offerta ti ringrazio,

ma riposare ancor non mi bisogna;

e ci avanza del giorno tanto spazio,

ch'a porlo tutto in ozio e pur vergogna. -

Rispose il cavallier: - Fuss'io si sazio

d'ogn'altra cosa che 'l mio core agogna,

come t'ho in questo da saziar; ma vedi

che non ti manchi il di piu che non credi. -

92

Cosi disse egli, e fe' portare in fretta

due grosse lance, anzi due gravi antenne;

ed a Marfisa dar ne fe' l'eletta:

tolse l'altra per se, ch'indietro venne.

Gia sonoin punto, ed altro non s'aspetta

ch'un alto suon che lor la giostra accenne.

Ecco la terra e l'aria e il mar rimbomba

nel mover loro al primo suon di tromba.

93

Trar fiato, bocca aprir, o battere occhi

non si vedea de' riguardanti alcuno:

tanto a mirare a chi la palma tocchi

dei duo campioni, intento era ciascuno.

Marfisa, accio che de l'arcion trabocchi,

si che mai non si levi, il guerrier bruno,

drizza la lancia; e il guerrier bruno forte

studia non men di por Marfisa a morte.

94

Le lance ambe di secco e suttil salce,

non di cerro sembrar grosso ed acerbo,

cosi n'andaro in tronchi fin al calce;

e l'incontro ai destrier fu si superbo,

che parimente parve da una falce

de le gambe esser lor tronco ogni nerbo.

Cadero ambi ugualmente; ma i campioni

fur presti a disbrigarsi dagli arcioni.

95

A mille cavallieri alla sua vita

al primo incontro avea la sella tolta

Marfisa, ed ella mai non n'era uscita;

e n'usci, come udite, a questa volta.

Del caso strano non pur sbigottita,

ma quasi fu per rimanerne stolta.

Parve anco strano al cavallier dal nero,

che non solea cader gia di leggiero.

96

Tocca avean nel cader la terra a pena,

che furo in piedi e rinovar l'assalto.

Tagli e punte a furor quivi si mena,

quivi ripara or scudo, or lama, or salto.

Vada la botta vota o vada piena,

l'aria ne stride e ne risuona in alto.

Quelli elmi, quelli usberghi, quelli scudi

mostrar ch'erano saldi piu ch'incudi.

97

Se de l'aspra donzella il braccio e grave,

ne quel del cavallier nimico e lieve.

Ben la misura ugual l'un da l'altro have:

quanto a punto l'un da, tanto riceve.

Chi vol due fiere audaci anime brave,

cercar piu la di queste due non deve,

ne cercar piu destrezza ne piu possa;

che n'han tra lor quanto piu aver si possa.

98

Le donne, che gran pezzo mirato hanno

continuar tante percosse orrende,

e che nei cavallier segno d'affanno

e di stanchezza ancor non si comprende;

dei duo miglior guerrier lode lor danno,

che sien tra quanto il mar sua braccia estende.

Par lor che, se non fosser piu che forti,

esser dovrian sol del travaglio morti.

99

Ragionando tra se, dicea Marfisa:

- Buon fu per me, che costui non si mosse;

ch'andava a risco di restarne uccisa,

se dianzi stato coi compagni fosse,

quando io mi truovo a pena a questa guisa

di potergli star contra alle percosse. -

Cosi dice Marfisa; e tuttavolta

non resta di menar la spada in volta.

100

- Buon fu per me(dicea quell'altro ancora),

che riposar costui non ho lasciato.

Difender me ne posso a fatica ora

che de la prima pugna e travagliato.

Se fin al nuovo di facea dimora

aripigliar vigor, che saria stato?

Ventura ebbi io, quanto piu possa aversi,

che non volesse tor quel ch'io gli offersi. -

101

La battaglia duro fin alla sera,

ne chi avesse anco il meglio era palese;

ne l'un ne l'altro piu senza lumiera

saputo avria come schivar l'offese.

Giunta la notte, all'inclita guerriera

fu primo a dir il cavallier cortese:

- Che faren, poi che con ugual fortuna

n'ha sopragiunti la notte importuna?

102

Meglio mi par che 'l viver tuo prolunghi

almeno insino a tanto che s'aggiorni.

Io non posso concederti che aggiunghi

fuor ch'una notte picciola ai tua giorni.

E di cio che non gli abbi aver piu lunghi,

la colpa sopra me non vuo' che torni:

torni pur sopra alla spietata legge

del sesso feminil che 'l loco regge.

103

Se di te duolmi e di quest'altri tuoi,

lo sa colui che nulla cosa ha oscura.

Con tuoi compagni star meco tu puoi:

con altri non avrai stanza sicura;

perche la turba, a cu' i mariti suoi

oggi uccisi hai, gia contra te congiura.

Ciascun di questi a cui dato hai la morte,

era di diece femine consorte.

104

Del danno c'han da te ricevut'oggi,

disian novanta femine vendetta:

si che se meco ad albergar non poggi,

questa notte assalito esser t'aspetta. -

Disse Marfisa: - Accetto che m'alloggi,

con sicurta che non sia men perfetta

in te la fede e la bonta del core,

che sia l'ardire e il corporal valore.

105

Ma che t'incresca che m'abbi ad uccidere,

ben ti puo increscere anco del contrario.

Fin qui non credo che l'abbi da ridere,

perch'io sia men di te duro avversario.

O la pugna seguir vogli o dividere,

o farla all'uno o all'altro luminario,

ad ogni cenno pronta tu m'avrai,

e come ed ogni volta che vorrai. -

106

Cosi fu differita la tenzone

fin che di Gange uscisse il nuovo albore,

e si resto senza conclusione

chi d'essi duo guerrier fosse il migliore.

Ad Aquilante venne ed a Grifone

e cosi agli altri il liberal signore,

e li prego che fin al nuovo giorno

piacesse lor di far seco soggiorno.

107

Tenner lo 'nvito senza alcun sospetto:

indi, a splendor de bianchi torchi ardenti,

tutti saliro ov'era un real tetto,

distinto in molti adorni alloggiamenti.

Stupefatti al levarsi de l'elmetto,

mirandosi, restaro i combattenti;

che 'l cavallier, per quanto apparea fuora,

non eccedeva i diciotto anni ancora.

108

Si maraviglia la donzella, come

in arme tanto un giovinetto vaglia;

si maraviglia l'altro, ch'alle chiome

s'avede con chi avea fatto battaglia:

e si domandan l'un con l'altro il nome,

e tal debito tosto si ragguaglia.

Ma come si nomasse il giovinetto,

ne l'altro canto ad ascoltar v'aspetto.

1

Ne fune intorto credero che stringa

soma cosi, ne cosi legno chiodo,

come la fe ch'una bella alma cinga

del suo tenace indissolubil nodo.

Ne dagli antiqui par che si dipinga

la santa Fe vestita in altro modo,

che d'un vel bianco che la cuopra tutta:

ch'un sol punto, un sol neo la puo far brutta.

2

La fede unqua non debbe esser corrotta,

o data a un solo, o data insieme a mille;

e cosi in una selva, in una grotta,

lontan da le cittadi e da le ville,

come dinanzi a tribunali, in frotta

di testimon, di scritti e di postille,

senza giurare o segno altro piu espresso,

basti una volta che s'abbia promesso.

3

Quella servo, come servar si debbe

in ogni impresa, il cavallier Zerbino:

e quivi dimostro che conto n'ebbe,

quando si tolse dal proprio camino

per andar con costei, la qual gl'increbbe,

come s'avesse il morbo si vicino,

o pur la morte istessa; ma potea,

piu che 'l disio, quel che promesso avea.

4

Dissi di lui, che di vederla sotto

la sua condotta tanto al cor gli preme,

che n'arrabbia di duol, ne le fa motto,

e vanno muti e taciturni insieme:

dissi che poi fu quel silenzio rotto,

ch'al mondo il sol mostro le ruote estreme,

da un cavalliero aventuroso errante,

ch'in mezzo del camin lor si fe' inante.

5

La vecchia che conobbe il cavalliero,

ch'era nomato Ermonide d'Olanda,

che per insegna ha ne lo scudo nero

attraversata una vermiglia banda,

posto l'orgoglio e quel sembiante altiero,

umilmente a Zerbin si raccomanda,

e gli ricorda quel ch'esso promise

alla guerriera ch'in sua man la mise.

6

Perche di lei nimico e di sua gente

era il guerrier che contra lor venia:

ucciso ad essa avea il padre innocente,

e un fratello che solo al mondo avia;

e tuttavolta far del rimanente,

come degli altri, il traditor disia.

- Fin ch'alla guardia tua, donna, mi senti

(dicea Zerbin), non vo' che tu paventi. -

7

Come piu presso il cavallier si specchia

in quella faccia che si in odio gli era:

- O di combatter meco t'apparecchia

(grido con voce minacciosa e fiera),

o lascia la difesa de la vecchia,

che di mia man secondo il merto pera.

Se combatti per lei, rimarrai morto;

che cosi avviene a chi s'appiglia al torto. -8

Zerbin cortesemente a lui risponde

che gli e desir di bassa e mala sorte,

ed a cavalleria non corrisponde

che cerchi dare ad una donna morte:

se pur combatter vuol, non si nasconde;

ma che prima consideri ch'importe

ch'un cavallier, com'era egli, gentile,

voglia por man nel sangue feminile,

9

Queste gli disse e piu parole invano;

e fu bisogno al fin venire a' fatti.

Poi che preso a bastanza ebbon del piano,

tornarsi incontra a tutta briglia ratti.

Non van si presti i razzi fuor di mano,

ch'al tempo son de le allegrezze tratti,

come andaron veloci i duo destrieri

ad incontrare insieme i cavallieri.

10

Ermonide d'Olanda segno basso,

che per passare il destro fianco attese:

ma la sua debol lancia ando in fracasso,

e poco il cavallier di Scozia offese.

Non fu gia l'altro colpo vano e casso:

roppe lo scudo, e si la spalla prese,

che la foro da l'uno all'altro lato,

e riversar fe' Ermonide sul prato.

11

Zerbin che si penso d'averlo ucciso,

di pieta vinto, scese in terra presto,

e levo l'elmo da lo smorto viso;

e quel guerrier, come dal sonno desto,

senza parlar guardo Zerbino fiso;

e poi gli disse: - Non m'e gia molesto

ch'io sia da te abbattuto, ch'ai sembianti

mostri esser fior de' cavallier erranti;

12

ma ben mi duol che questo per cagione

d'una femina perfida m'avviene,

a cui non so come tu sia campione,

che troppo al tuo valor si disconviene.

E quando tu sapessi la cagione

ch'a vendicarmi di costei mi mene,

avresti, ognor che rimembrassi, affanno

d'aver, per campar lei, fatto a me danno.

13

E se spirto a bastanza avro nel petto

ch'io il possa dir(ma del contrario temo),

io ti faro veder ch'in ogni effetto

scelerata e costei piu ch'in estremo.

Io ebbi gia un fratel che giovinetto

d'Olanda si parti, donde noi semo,

e si fece d'Eraclio cavalliero,

ch'allor tenea de' Greci il sommo impero.

14

Quivi divenne intrinseco e fratello

d'un cortese baron di quella corte,

che nei confin di Servia avea un castello

di sito ameno e di muraglia forte.

Nomossi Argeo colui di ch'io favello,

di questa iniqua femina consorte,

la quale egli amo si, che passo il segno

ch'a un uom si convenia, come lui, degno.

15

Ma costei, piu volubile che foglia

quando l'autunno e piu priva d'umore,

che l' freddo vento gli arbori ne spoglia

e le soffia dinanzi al suo furore;

verso il marito cangio tosto voglia,

che fisso qualche tempo ebbe nel core;

e volse ogni pensiero, ogni disio

d'acquistar per amante il fratel mio.

16

Ma ne si saldo all'impeto marino

l'Acrocerauno d'infamato nome,

ne sta si duro incontra borea il pino

che rinovato ha piu di cento chiome,

che quanto appar fuor de lo scoglio alpino,

tanto sotterra ha le radici; come

il mio fratello a' prieghi di costei,

nidode tutti i vizi infandi e rei.

17

Or, come avviene a un cavallier ardito,

che cerca briga e la ritrova spesso,

fu in una impresa il mio fratel ferito,

molto al castel del suo compagno appresso,

dove venir senza aspettare invito

solea, fosse o non fosse Argeo con esso;

e dentro a quel per riposar fermosse

tanto che del suo mal libero fosse.

18

Mentre egli quivi si giacea, convenne

ch'in certa sua bisogna andasse Argeo.

Tosto questa sfacciata a tentar venne

il mio fratello, ed a sua usanza feo;

ma quel fedel non oltre piu sostenne

avere ai fianchi un stimulo si reo:

elesse, per servar sua fede a pieno,

di molti mal quel che gli parve meno.

19

Tra molti mal gli parve elegger questo:

lasciar d'Argeo l'intrinsichezza antiqua;

lungi andar si, che non sia manifesto

mai piu il suo nome alla femina iniqua.

Ben che duro gli fosse, era piu onesto

che satisfare a quella voglia obliqua,

o ch'accusar la moglie al suo signore,

da cui fu amata a par del proprio core.

20

E de le sue ferite ancora infermo

l'arme si veste, e del castel si parte;

e con animo va costante e fermo

di non mai piu tornare in quella parte.

Ma che gli val? ch'ogni difesa e schermo

gli disipa Fortuna con nuova arte;

ecco il marito che ritorna intanto,

e trova la moglier che fa gran pianto,

21

e scapigliata e con la faccia rossa;

e le domanda di che sia turbata.

Prima ch'ella a rispondere sia mossa,

pregar si lascia piu d'una fiata,

pensando tuttavia come si possa

vendicar di colui che l'ha lasciata:

e ben convenne al suo mobile ingegno

cangiar l'amore in subitano sdegno.

22

- Deh(disse al fine), a che l'error nascondo

c'ho commesso, signor, ne la tua assenza?

che quando ancora io 'l celi a tutto 'l mondo,

celar nol posso alla mia coscienza.

L'alma che sente il suo peccato immondo,

pate dentro da se tal penitenza,

ch'avanza ogn'altro corporal martire

che dar mi possa alcun del mio fallire;

23

quando fallir sia quel che si fa a forza:

ma sia quel che si vuol, tu sappil'anco;

poi con la spada da la immonda scorza

scioglie lo spirto imaculato e bianco,

e le mie luci eternamente ammorza;

che dopo tanto vituperio, almanco

tenerle basse ognor non mi bisogni,

e di ciascun ch'io vegga, io mi vergogni.

24

Il tuo compagno ha l'onor mio distrutto:

questo corpo per forza ha violato;

e perche teme ch'io ti narri il tutto,

or si parte il villan senza commiato. -

In odio con quel dir gli ebbe ridutto

colui che piu d'ogn'altro gli fu grato.

Argeo lo crede, ed altro non aspetta;

ma piglia l'arme e corre a far vendetta.

25

E come quel ch'avea il paese noto,

lo giunse che nonfu troppo lontano;

che 'l mio fratello, debole ed egroto,

senza sospetto se ne gia pian piano:

e brevemente, in un loco remoto

pose, per vendicarsene, in lui mano.

Non trova il fratel mio scusa che vaglia;

ch'in somma Argeo con lui vuol la battaglia.

26

Era l'un sano e pien di nuovo sdegno,

infermo l'altro, ed all'usanza amico:

si ch'ebbe il fratel mio poco ritegno

contra il compagno fattogli nimico.

Dunque Filandro di tal sorte indegno

(de l'infelice giovene ti dico:

cosi avea nome), non sofrendo il peso

di si fiera battaglia, resto preso.

27

- Non piaccia a Dio che mi conduca a tale

il mio giusto furore e il tuo demerto

(gli disse Argeo), che mai sia omicidiale

di te ch'amava; e me tu amavi certo,

ben che nel fin me l'hai mostrato male;

pur voglio a tutto il mondo fare aperto

che, come fui nel tempo de l'amore,

cosi ne l'odio son di te migliore.

28

Per altro modo puniro il tuo fallo,

che le mie man piu nel tuo sangue porre. -

Cosi dicendo, fece sul cavallo

di verdi rami una bara comporre,

e quasi morto in quella riportallo

dentro al castello in una chiusa torre,

dove in perpetuo per punizione

candanno l'innocente a star prigione.

29

Non pero ch'altra cosa avesse manco,

che la liberta prima del partire;

perche nel resto, come sciolto e franco

vi comandava e si facea ubidire.

Ma non essendo ancor l'animo stanco

di questa ria del suo pensier fornire,

quasi ogni giorno alla prigion veniva;

ch'avea le chiavi, e a suo piacer l'apriva:

30

e movea sempre al mio fratello assalti,

e con maggiore audacia che di prima.

- Questa tua fedelta(dicea) che valti,

poi che perfidia per tutto si stima?

Oh che trionfi gloriosi ed alti!

oh che superbe spoglie e preda opima!

oh che merito al fin te ne risulta,

se, come a traditore, ognun t'insulta!

31

Quanto utilmente, quanto con tuo onore

m'avresti dato quel che da te volli!

Di questo si ostinato tuo rigore

la gran merce che tu guadagni, or tolli:

in prigion sei, ne crederne uscir fuore,

se la durezza tua prima non molli.

Ma quando mi compiacci, io faro trama

di racquistarti e libertade e fama. -

32

- No, no(disse Filandro) aver mai spene

che non sia, come suol, mia vera fede,

se ben contra ogni debito mi avviene

ch'io ne riporti si dura mercede,

e di me creda il mondo men che bene:

basta che inanti a quel che 'l tutto vede

e mi puo ristorar di grazia eterna,

chiara la mia innocenza si discerna.

33

Se non basta ch'Argeo mi tenga preso,

tolgami ancor questa noiosa vita.

Forse non mi fia il premio in ciel conteso

de la buona opra, qui poco gradita.

Forse egli, che dame si chiama offeso,

quando sara quest'anima partita,

s'avedra poi d'avermi fatto torto,

e piangera il fedel compagno morto. -

34

Cosi piu volte la sfacciata donna

tenta Filandro, e torna senza frutto.

Ma il cieco suo desir, che non assonna

del scelerato amor traer costrutto,

cercando va piu dentro ch'alla gonna

suoi vizi antiqui, e ne discorre il tutto.

Mille pensier fa d'uno in altro modo,

prima che fermi in alcun d'essi il chiodo.

35

Stette sei mesi che non messe piede,

come prima facea, ne la prigione;

di che il miser Filandro e spera e crede

che costei piu non gli abbia affezione.

Ecco Fortuna, al mal propizia, diede

a questa scelerata occasione

di metter fin con memorabil male

al suo cieco appetito irrazionale.

36

Antiqua nimicizia avea il marito

con un baron detto Morando il bello,

che, non v'essendo Argeo, spesso era ardito

di correr solo, e sin dentro al castello;

ma s'Argeo v'era, non tenea lo 'nvito,

ne s'accostava a dieci miglia a quello.

Or, per poterlo indur che ci venisse,

d'ire in Ierusalem per voto disse.

37

Disse d'andare; e partesi ch'ognuno

lo vede, e fa di cio sparger le grida:

ne il suo pensier, fuor che la moglie, alcuno

puote saper; che sol di lei si fida.

Torna poi nel castello all'aer bruno,

ne mai, se non la notte, ivi s'annida;

e con mutate insegne al nuovo albore,

senza vederlo alcun, sempre esce fuore.

38

Se ne va in questa e in quella parte errando,

e volteggiando al suo castello intorno,

pur per veder se credulo Morando

volesse far, come solea, ritorno.

Stava il di tutto alla foresta; e quando

ne la marina vedea ascoso il giorno,

venia al castello, e per nascose porte

lo togliea dentro l'infedel consorte.

39

Crede ciascun, fuor che l'iniqua moglie,

che molte miglia Argeo lontan si trove.

Dunque il tempo oportuno ella si toglie:

al fratel mio va con malizie nuove.

Ha di lagrime a tutte le sue voglie

un nembo che dagli occhi al sen le piove.

- Dove potro(dicea) trovare aiuto,

che in tutto l'onor mio non sia perduto?

40

E col mio quel del mio marito insieme,

il qual se fosse qui, non temerei.

Tu conosci Morando, e sai se teme,

quando Argeo non ci sente, omini e dei.

Questi or pregando, or minacciando, estreme

prove fa tuttavia, ne alcun de' miei

lascia che non contamini, per trarmi

a' suoi desii, ne so s'io potro aitarmi.

41

Or c'ha inteso il partir del mio consorte,

e ch'al ritorno non sara si presto,

ha avuto ardir d'entrar ne la mia corte

senza altra scusa e senz'altro pretesto;

che se ci fosse il mio signor per sorte,

non sol non avria audacia di far questo,

ma non si terria ancor, per Dio, sicuro

d'appressarsi a tre miglia a questomuro.

42

E quel che gia per messi ha ricercato,

oggi me l'ha richiesto a fronte a fronte,

e con tai modi, che gran dubbio e stato

de lo avvenirmi disonore ed onte,

e se non che parlar dolce gli ho usato,

e finto le mie voglie alle sue pronte,

saria a forza, di quel suto rapace,

che spera aver per mie parole in pace.

43

Promesso gli ho, non gia per osservargli

(che fatto per timor, nullo e il contratto);

ma la mia intenzion fu per vietargli

quel che per forza avrebbe allora fatto.

Il caso e qui: tu sol poi rimediargli;

del mio onor altrimenti sara tratto,

e di quel del mio Argeo, che gia m'hai detto

aver o tanto, o piu che 'l proprio, a petto.

44

E se questo mi nieghi, io diro dunque

ch'in te non sia la fe di che ti vanti;

ma che fu sol per crudelta, qualunque

volta hai sprezzati i miei supplici pianti;

non per rispetto alcun d'Argeo, quantunque

m'hai questo scudo ognora opposto inanti.

Saria stato tra noi la cosa occulta;

ma di qui aperta infamia mi risulta. -

45

- Non si convien(disse Filandro) tale

prologo a me, per Argeo mio disposto.

Narrami pur quel che tu vuoi, che quale

sempre fui, di sempre essere ho proposto;

e ben ch'a torto io ne riporti male,

a lui non ho questo peccato imposto.

Per lui son pronto andare anco alla morte,

e siami contra il mondo e la mia sorte. -

46

Rispose l'empia: - Io voglio che tu spenga

colui che 'l nostro disonor procura.

Non temer ch'alcun mal di cio t'avenga;

ch'io te ne mostrero la via sicura.

Debbe egli a me tornar come rivenga

su l'ora terza la notte piu scura;

e fatto un segno de ch'io l'ho avvertito,

io l'ho a tor dentro, che non sia sentito.

47

A te non gravera prima aspettarme

ne la camera mia dove non luca,

tanto che dispogliar gli faccia l'arme,

e quasi nudo in man te lo conduca. -

Cosi la moglie conducesse parme

il suo marito alla tremenda buca;

se per dritto costei moglie s'appella,

piu che furia infernal crudele e fella.

48

Poi che la notte scelerata venne,

fuor trasse il mio fratel con l'arme in mano;

e ne l'oscura camera lo tenne,

fin che tornasse il miser castellano.

Come ordine era dato, il tutto avvenne;

che 'l consiglio del mal va raro invano.

Cosi Filandro il buon Argeo percosse,

che si penso che quel Morando fosse.

49

Con esso un colpo il capo fesse e il collo;

ch'elmo non v'era, e non vi fu riparo.

Pervenne Argeo, senza pur dare un crollo,

de la misera vita al fine amaro:

e tal l'uccise, che mai non pensollo,

ne mai l'avriacreduto: oh caso raro!

che cercando giovar, fece all'amico

quel di che peggio non si fa al nimico.

50

Poscia ch'Argeo non conosciuto giacque,

rende a Gabrina il mio fratel la spada.

Gabrina e il nome di costei, che nacque

sol per tradire ognun che in man le cada.

Ella, che 'l ver fin a quell'ora tacque,

vuol che Filandro a riveder ne vada

col lume in mano il morto ond'egli e reo:

e gli dimostra il suo compagno Argeo.

51

E gli minaccia poi, se non consente

all'amoroso suo lungo desire,

di palesare a tutta quella gente

quel ch'egli ha fatto, e nol puo contradire;

e lo fara vituperosamente

come assassino e traditor morire:

e gli ricorda che sprezzar la fama

non de', se ben la vita si poco ama.

52

Pien di paura e di dolor rimase

Filandro, poi che del suo error s'accorse.

Quasi il primo furor gli persuase

d'uccider questa, e stette un pezzo in forse:

e se non che ne le nimiche case

si ritrovo(che la ragion soccorse),

non si trovando avere altr'arme in mano,

coi denti la stracciava a brano a brano.

53

Come ne l'alto mar legno talora,

che da duo venti sia percosso e vinto,

ch'ora uno inanzi l'ha mandato, ed ora

un altro al primo termine respinto,

e l'han girato da poppa e da prora,

dal piu possente al fin resta sospinto;

cosi Filandro, tra molte contese

de' duo pensieri, al manco rio s'apprese.

54

Ragion gli dimostro il pericol grande,

oltre al morir, del fine infame e sozzo,

se l'omicidio nel castel si spande;

e del pensare il termine gli e mozzo.

Voglia o non voglia, al fin convien che mande

l'amarissimo calice nel gozzo.

Pur finalmente ne l'afflitto core

piu de l'ostinazion pote il timore.

55

Il timor del supplicio infame e brutto

prometter fece con mille scongiuri,

che faria di Gabrina il voler tutto,

se di quel luogo se partian sicuri.

Cosi per forza colse l'empia il frutto

del suo desire, e poi lasciar quei muri.

Cosi Filandro a noi fece ritorno,

di se lasciando in Grecia infamia e scorno.

56

E porto nel cor fisso il suo compagno

che cosi scioccamente ucciso avea,

per far con sua gran noia empio guadagno

d'una Progne crudel, d'una Medea.

E se la fede e il giuramento, magno

e duro freno, non lo ritenea,

come al sicuro fu, morta l'avrebbe;

ma, quanto piu si puote, in odio l'ebbe.

57

Non fu da indi in qua rider mai visto:

tutte le sue parole erano meste,

sempre sospir gli uscian dal petto tristo,

ed era divenuto un nuovo Oreste,

poi che la madre uccise e il sacro Egisto,

e che l'ultrice Furie ebbe moleste.

E senza mai cessar, tanto l'afflisse

questo dolor, ch'infermo al letto il fisse.

58

Or questa meretrice, che si pensa

quanto a quest'altro suo poco siagrata,

muta la fiamma gia d'amore intensa

in odio, in ira ardente ed arrabbiata;

ne meno e contra al mio fratello accensa,

che fosse contra Argeo la scelerata:

e dispone tra se levar dal mondo,

come il primo marito, anco il secondo.

59

Un medico trovo d'inganni pieno,

sufficiente ed atto a simil uopo,

che sapea meglio uccider di veneno,

che risanar gl'infermi di silopo;

e gli promesse, inanzi piu che meno

di quel che domando, donargli, dopo

ch'avesse con mortifero liquore

levatole dagli occhi il suo signore.

60

Gia in mia presenza e d'altre piu persone

venia col tosco in mano il vecchio ingiusto,

dicendo ch'era buona pozione

da ritornare il mio fratel robusto.

Ma Gabrina con nuova intenzione,

pria che l'infermo ne turbasse il gusto,

per torsi il consapevole d'appresso,

o per non dargli quel ch'avea promesso,

61

la man gli prese, quando a punto dava

la tazza dove il tosco era celato,

dicendo: - Ingiustamente e se 'l ti grava

ch'io tema per costui c'ho tanto amato.

Voglio esser certa che bevanda prava

tu non gli dia, ne succo avelenato;

e per questo mi par che 'l beveraggio

non gli abbi a dar, se non ne fai tu il saggio. -

62

Come pensi, signor, che rimanesse

il miser vecchio conturbato allora?

La brevita del tempo si l'oppresse,

che pensar non pote che meglio fora;

pur, per non dar maggior sospetto, elesse

il calice gustar senza dimora:

e l'infermo, seguendo una tal fede,

tutto il resto piglio, che si gli diede.

63

Come sparvier che nel piede grifagno

tenga la starna e sia per trarne pasto,

dal can che si tenea fido compagno,

ingordamente e sopragiunto e guasto;

cosi il medico intento al rio guadagno,

donde sperava aiuto ebbe contrasto.

Odi di summa audacia esempio raro!

e cosi avvenga a ciascun altro avaro.

64

Fornito questo, il vecchio s'era messo,

per ritornare alla sua stanza, in via,

ed usar qualche medicina appresso,

che lo salvasse da la peste ria;

ma da Gabrina non gli fu concesso,

dicendo non voler ch'andasse pria

che 'l succo ne lo stomaco digesto

il suo valor facesse manifesto.

65

Pregar non val, ne far di premio offerta,

che lo voglia lasciar quindi partire.

Il disperato, poi che vede certa

la morte sua, ne la poter fuggire,

ai circostanti fa la cosa aperta;

ne la seppe costei troppo coprire.

E cosi quel che fece agli altri spesso,

quel buon medico al fin fece a se stesso:

66

e sequito con l'alma quella ch'era

gia de mio frate caminata inanzi.

Noi circostanti, che la cosa vera

del vecchio udimmo, che fe' pochi avanzi,

pigliammo questa abominevol fera,

piu crudel di qualunque in selva stanzi;

e la serrammo in tenebroso loco,

per condannarla al meritato foco. -

67

Questo Ermonide disse, e piu voleva

seguir, com'ella di prigion levossi;

ma il dolor dela piaga si l'aggreva,

che pallido ne l'erba riversossi.

Intanto duo scudier, che seco aveva,

fatto una bara avean di rami grossi:

Ermonide si fece in quella porre;

ch'indi altrimente non si potea torre.

68

Zerbin col cavallier fece sua scusa,

che gl'increscea d'averli fatto offesa;

ma, come pur tra cavallieri s'usa,

colei che venia seco avea difesa:

ch'altrimente sua fe saria confusa;

perche, quando in sua guardia l'avea presa,

promesse a sua possanza di salvarla

contra ognun che venisse a disturbarla.

69

E s'in altro potea gratificargli,

prontissimo offeriase alla sua voglia.

Rispose il cavallier, che ricordargli

sol vuol, che da Gabrina si discioglia

prima ch'ella abbia cosa a machinargli,

di ch'esso indarno poi si penta e doglia.

Gabrina tenne sempre gli occhi bassi,

perche non ben risposta al vero dassi.

70

Con la vecchia Zerbin quindi partisse

al gia promesso debito viaggio;

e tra se tutto il di la maledisse,

che far gli fece a quel barone oltraggio.

Ed or che pel gran mal che gli ne disse

chi lo sapea, di lei fu istrutto e saggio,

se prima l'avea a noia e a dispiacere,

or l'odia si che non la puo vedere.

71

Ella che di Zerbin sa l'odio a pieno,

ne in mala volunta vuole esser vinta,

un'oncia a lui non ne riporta meno:

la tien di quarta, e la rifa di quinta.

Nel cor era gonfiata di veneno,

e nel viso altrimente era dipinta.

Dunque ne la concordia ch'io vi dico,

tenean lor via per mezzo il bosco antico.

72

Ecco, volgendo il sol verso la sera,

udiron gridi e strepiti e percosse,

che facean segno di battaglia fiera

che, quanto era il rumor, vicina fosse.

Zerbino, per veder la cosa ch'era,

verso il rumore in gran fretta si mosse:

non fu Gabrina lenta a seguitarlo.

Di quel ch'avvenne, all'altro canto io parlo.

CANTO VENTITREESIMO

1

Studisi ognun giovare altrui; che rade

volte il ben far senza il suo premio fia:

e se pur senza, almen non te ne accade

morte ne danno ne ignominia ria.

Chi nuoce altrui, tardi o per tempo cade

il debito a scontar, che non s'oblia.

Dice il proverbio, ch'a trovar si vanno

gli uomini spesso, e i monti fermi stanno.

2

Or vedi quel ch'a Pinabello avviene

per essersi portato iniquamente:

e giunto in somma alle dovute pene,

dovute e giuste alla sua ingiusta mente.

E Dio, che le piu volte non sostiene

veder patire a torto uno innocente,

salvo la donna; e salvera ciascuno

che d'ogni fellonia viva digiuno.

3

Credette Pinabel questa donzella

gia d'aver morta, e cola giu sepulta;

ne la pensava mai veder, non ch'ella

gli avesse a tor degli error suoi la multa.

Ne il ritrovarsi in mezzo le castella

del padre, in alcun util gli risulta.

Quivi Altaripa era tra monti fieri

vicina al tenitorio di Pontieri.

4

Tenea quell'Altaripa il vecchio conte

Anselmo, di ch'usci questo malvagio,

che, per fuggir la man di Chiaramonte,

d'amici e di soccorso ebbe disagio.

La donna al traditore a pie d'un monte

tolse l'indegna vita a suo grande agio;

che d'altro aiuto quel non si provede,

che d'alti gridi e di chiamar mercede.

5

Morto ch'ella ebbe il falso cavalliero

che lei voluto avea gia porre a morte,

volse tornare ove lascio Ruggiero;

ma non lo consenti sua dura sorte,

che la fe' traviar per un sentiero

che la porto dov'era spesso e forte,

dove piu strano e piu solingo il bosco,

lasciando il sol gia il mondo all'aer fosco.

6

Ne sappiendo ella ove potersi altrove

la notte riparar, si fermo quivi

sotto le frasche in su l'erbette nuove,

parte dormendo, fin che 'l giorno arrivi,

parte mirando ora Saturno or Giove,

Venere e Marte e gli altri erranti divi;

ma sempre, o veglio dorma, con la mente

contemplando Ruggier come presente.

7

Spesso di cor profondo ella sospira,

di pentimento e di dolor compunta,

ch'abbia in lei, piu ch'amor, potuto l'ira.

- L'ira(dicea) m'ha dal mio amor disgiunta:

almen ci avessi io posta alcuna mira,

poi ch'avea pur la mala impresa assunta,

di saper ritornar donde io veniva;

che ben fui d'occhi e di memoria priva. -

8

Queste ed altre parole ella non tacque,

e molto piu ne ragiono col core.

Il vento intanto di sospiri, e l'acque

di pianto facean pioggia di dolore.

Dopo una lunga aspettazion pur nacque

in oriente il disiato albore:

ed ella prese il suo destrier ch'intorno

giva pascendo, ed ando contra il giorno.

9

Ne molto ando, che si trovo all'uscita

del bosco, ove pur dianzi era il palagio,

la dove molti di l'avea schernita

con tanto error l'incantator malvagio.

Ritrovo quivi Astolfo, che fornita

la briglia all'ippogrifo avea a grande agio,

e stava in gran pensier di Rabicano,

per non sapere a chi lasciarlo in mano.

10

A caso si trovo che fuor di testa

l'elmo allor s'avea tratto il paladino;

si che tosto ch'usci de la foresta,

Bradamante conobbe il suo cugino.

Di lontan salutollo, e con gran festa

gli corse, e l'abbraccio poi piu vicino;

e nominossi, ed alzo la visiera,

e chiaramente fe' veder ch'ell'era.

11

Non potea Astolfo ritrovar persona

a chi il suo Rabican meglio lasciasse,

perche dovesse averne guardia buona

e renderglielo poi come tornasse,

de la figlia del duca di Dordona;

e parvegli che Dio gli la mandasse.

Vederla volentier sempre solea,

ma pel bisogno or piu ch'egli n'avea.

12

Da poi che due o tre volte ritornati

fraternamente ad abbracciar si foro,

e si for l'uno a l'altro domandati

con molta affezion de l'esser loro,

Astolfo disse: - Ormai, se dei pennati

vo' 'l paese cercar, troppo dimoro: -

ed aprendo alla donna il suo pensiero,

veder le fece il volator destriero.

13

A lei non fu di molta maraviglia

veder spiegare a quel destrier le penne;

ch'altra volta, reggendogli la briglia

Atlante incantator, contra le venne;

e le fece doler gli occhi e le ciglia:

si fisse dietro a quel volar le tenne

quel giorno, che da lei Ruggier lontano

portato fu per camin lungo e strano.

14

Astolfo disse a lei, che le volea

dar Rabican, che si nel corso affretta,

che, se scoccando l'arco si movea,

si solea lasciar dietro la saetta;

e tutte l'arme ancor, quante n'avea,

che vuol che a Montalban gli le rimetta,

e gli le serbi fin al suo ritorno;

che non gli fanno or di bisogno intorno.

15

Volendosene andar per l'aria a volo,

aveasi a far quanto potea piu lieve.

Tiensi la spada e 'l corno, ancor che solo

bastargli il corno ad ogni risco deve.

Bradamante la lancia che 'lfigliuolo

porto di Galafrone, anco riceve;

la lancia che di quanti ne percuote

fa le selle restar subito vote.

16

Salito Astolfo sul destrier volante,

lo fa mover per l'aria lento lento;

indi lo caccia si, che Bradamante

ogni vista ne perde in un momento.

Cosi si parte col pilota inante

il nochier che gli scogli teme e 'l vento;

e poi che 'l porto e i liti a dietro lassa,

spiega ogni vela e inanzi ai venti passa.

17

La donna, poi che fu partito il duca,

rimase in gran travaglio de la mente;

che non sa come a Montalban conduca

l'armatura e il destrier del suo parente;

pero che 'l cuor le cuoce e le manuca

l'ingorda voglia e il desiderio ardente

di riveder Ruggier, che, se non prima,

a Vallombrosa ritrovar lo stima.

18

Stando quivi suspesa, per ventura

si vede inanzi giungere un villano,

dal qual fa rassettar quella armatura,

come si puote, e por su Rabicano;

poi di menarsi dietro gli die cura

i duo cavalli, un carco e l'altro a mano:

ella n'avea duo prima; ch'avea quello

sopra il qual levo l'altro a Pinabello.

19

Di Vallombrosa penso far la strada,

che trovar quivi il suo Ruggier ha speme;

ma qual piu breve o qual miglior vi vada,

poco discerne, e d'ire errando teme.

Il villan non avea de la contrada

pratica molta; ed erreranno insieme.

Pur andare a ventura ella si messe,

dove penso che 'l loco esser dovesse.

20

Di qua di la si volse, ne persona

incontro mai da domandar la via.

Si trovo uscir del bosco in su la nona

dove un castel poco lontan scopria,

il qual la cima a un monticel corona.

Lo mira, e Montalban le par che sia:

ed era certo Montalbano; e in quello

avea la matre ed alcun suo fratello.

21

Come la donna conosciuto ha il loco,

nel cor s'attrista, e piu ch'i' non so dire:

sara scoperta, se si ferma un poco,

ne piu le sara lecito a partire;

se non si parte, l'amoroso foco

l'ardera si, che la fara morire:

non vedra piu Ruggier, ne fara cosa

di quel ch'era ordinato a Vallombrosa.

22

Stette alquanto a pensar; poi si risolse

di voler dar a Montalban le spalle:

e verso la badia pur si rivolse,

che quindi ben sapea qual era il calle.

Ma sua fortuna, o buona o trista, volse

che prima ch'ella uscisse de la valle,

scontrasse Alardo, un de' fratelli sui;

ne tempo di celarsi ebbe da lui.

23

Veniva da partir gli alloggiamenti

per quel contado a cavallieri e a fanti;

ch'ad istanza di Carlo nuove genti

fatto avea de le terre circostanti.

I saluti e i fraterni abbracciamenti

con le grate accoglienze andaro inanti;

e poi, di molte cose a paro a paro

tra lor parlando, in Montalban tornaro.

24

Entro la belladonna in Montalbano,

dove l'avea con lacrimosa guancia

Beatrice molto desiata invano,

e fattone cercar per tutta Francia.

Or quivi i baci e il giunger mano a mano

di matre e di fratelli estimo ciancia

verso gli avuti con Ruggier complessi,

ch'avra ne l'alma eternamente impressi.

25

Non potendo ella andar, fece pensiero

ch'a Vallombrosa altri in suo nome andasse

immantinente ad avisar Ruggiero

de la cagion ch'andar lei non lasciasse;

e lui pregar(s'era pregar mestiero)

che quivi per suo amor si battezzasse,

e poi venisse a far quanto era detto,

si che si desse al matrimonio effetto.

26

Pel medesimo messo fe' disegno

di mandar a Ruggiero il suo cavallo,

che gli solea tanto esser caro: e degno

d'essergli caro era ben senza fallo;

che non s'avria trovato in tutto 'l regno

dei Saracin, ne sotto il signor Gallo,

piu bel destrier di questo o piu gagliardo,

eccetti Brigliador, soli, e Baiardo.

27

Ruggier, quel di che troppo audace ascese

su l'ippogrifo, e verso il ciel levosse,

lascio Frontino, e Bradamante il prese

(Frontino, che 'l destrier cosi nomosse);

mandollo a Montalbano, e a buone spese

tener lo fece, e mai non cavalcosse,

se non per breve spazio e a picciol passo;

si ch'era piu che mai lucido e grasso.

28

Ogni sua donna tosto, ogni donzella

pon seco in opra, e con suttil lavoro

fa sopra seta candida e morella

tesser ricamo di finissimo oro;

e di quel cuopre ed orna briglia e sella

del buon destrier: poi sceglie una di loro

figlia di Callitrefia sua nutrice,

d'ogni secreto suo fida uditrice.

29

Quanto Ruggier l'era nel core impresso,

mille volte narrato avea a costei;

la belta, la virtude, i modi d'esso

esaltato l'avea fin sopra i dei.

A se chiamolla, e disse: - Miglior messo

a tal bisogno elegger non potrei;

che di te ne piu fido ne piu saggio

imbasciator, Ippalca mia, non aggio. -

30

Ippalca la donzella era nomata.

- Va, - le dice, e l'insegna ove de' gire;

e pienamente poi l'ebbe informata

di quanto avesse al suo signore a dire;

e far la scusa se non era andata

al monaster: che non fu per mentire;

ma che Fortuna, che di noi potea

piu che noi stessi, da imputar s'avea.

31

Montar la fece s'un ronzino, e in mano

la ricca briglia di Frontin le messe:

e se si pazzo alcuno o si villano

trovasse, che levar le lo volesse;

per fargli a una parola il cervel sano,

di chi fosse il destrier sol gli dicesse;

che non sapea si ardito cavalliero,

che non tremasse al nome di Ruggiero.

32

Di molte cose l'ammonisce e molte,

che trattar con Ruggier abbia in sua vece;

le qual poi ch'ebbe Ippalca ben raccolte,

si pose in via, ne piu dimora fece.

Per strade e campi e selveoscure e folte

cavalco de le miglia piu di diece;

che non fu a darle noia chi venisse,

ne a domandarla pur dove ne gisse.

33

A mezzo il giorno, nel calar d'un monte,

in una stretta e malagevol via

si venne ad incontrar con Rodomonte,

ch'armato un piccol nano e a pie seguia.

Il Moro alzo ver lei l'altiera fronte,

e bestemmio l'eterna Ierarchia,

poi che si bel destrier, si bene ornato,

non avea in man d'un cavallier trovato.

34

Avea giurato che 'l primo cavallo

torria per forza, che tra via incontrasse.

Or questo e stato il primo; e trovato hallo

piu bello e piu per lui, che mai trovasse:

ma torlo a una donzella gli par fallo;

e pur agogna averlo, e in dubbio stasse.

Lo mira, lo contempla, e dice spesso:

- Deh perche il suo signor non e con esso! -

35

- Deh ci fosse egli!(gli rispose Ippalca)

che ti faria cangiar forse pensiero.

Assai piu di te val chi lo cavalca,

ne lo pareggia al mondo altro guerriero. -

- Chi e(le disse il Moro) che si calca

l'onore altrui? - Rispose ella: - Ruggiero. -

E quel suggiunse: - Adunque il destrier voglio,

poi ch'a Ruggier, si gran campion, lo toglio.

36

Il qual, se sara ver, come tu parli,

che sia si forte, e piu d'ogn'altro vaglia,

non che il destrier, ma la vettura darli

converrammi, e in suo albitrio fia la taglia.

Che Rodomonte io sono, hai da narrarli,

e che, se pur vorra meco battaglia,

mi trovera; ch'ovunque io vada o stia,

mi fa sempre apparir la luce mia.

37

Dovunque io vo, si gran vestigio resta,

che non lo lascia il fulmine maggiore. -

Cosi dicendo, avea tornate in testa

le redine dorate al corridore:

sopra gli salta; e lacrimosa e mesta

rimane Ippalca, e spinta dal dolore

minaccia Rodomonte e gli dice onta:

non l'ascolta egli, e su pel poggio monta.

38

Per quella via dove lo guida il nano

per trovar Mandricardo e Doralice,

gli viene Ippalca dietro di lontano,

e lo bestemmia sempre e maledice.

Cio che di questo avvenne, altrove e piano.

Turpin, che tutta questa istoria dice,

fa qui digresso, e torna in quel paese

dove fu dianzi morto il Maganzese.

39

Dato avea a pena a quel loco le spalle

la figliuola d'Amon, ch'in fretta gia,

che v'arrivo Zerbin per altro calle

con la fallace vecchia in compagnia:

e giacer vide il corpo ne la valle

del cavallier, che non sa gia chi sia;

ma, come quel ch'era cortese e pio,

ebbe pieta del caso acerbo e rio.

40

Giaceva Pinabello in terra spento,

versando il sangue per tante ferite,

ch'esser doveano assai, se piu di cento

spade in sua mortesi fossero unite.

Il cavallier di Scozia non fu lento

per l'orme che di fresco eran scolpite

a porsi in avventura, se potea

saper chi l'omicidio fatto avea.

41

Ed a Gabrina dice che l'aspette;

che senza indugio a lei fara ritorno.

Ella presso al cadavero si mette,

e fissamente vi pon gli occhi intorno;

perche, se cosa v'ha che le dilette,

non vuol ch'un morto invan piu ne sia adorno,

come colei che fu, tra l'altre note,

quanto avara esser piu femina puote.

42

Se di portarne il furto ascosamente

avesse avuto modo o alcuna speme,

la sopravesta fatta riccamente

gli avrebbe tolta, e le bell'arme insieme.

Ma quel che puo celarsi agevolmente,

si piglia, e 'l resto fin al cor le preme.

Fra l'altre spoglie un bel cinto levonne,

e se ne lego i fianchi infra due gonne.

43

Poco dopo arrivo Zerbin, ch'avea

seguito invan di Bradamante i passi,

perche trovo il sentier che si torcea

in molti rami ch'ivano alti e bassi:

e poco ormai del giorno rimanea,

ne volea al buio star fra quelli sassi;

e per trovare albergo die le spalle

con l'empia vecchia alla funesta valle.

44

Quindi presso a dua miglia ritrovaro

un gran castel che fu detto Altariva,

dove per star la notte si fermaro,

che gia a gran volo inverso il ciel saliva.

Non vi ster molto, ch'un lamento amaro

l'orecchie d'ogni parte lor feriva;

e veggon lacrimar da tutti gli occhi,

come la cosa a tutto il popul tocchi.

45

Zerbino dimandonne, e gli fu detto

che venut'era al cont'Anselmo aviso,

che fra duo monti in un sentiero istretto

giacea il suo figlio Pinabello ucciso.

Zerbin, per non ne dar di se sospetto,

di cio si finge nuovo, e abbassa il viso;

ma pensa ben, che senza dubbio sia

quel ch'egli trovo morto in su la via.

46

Dopo non molto la bara funebre

giunse, a splendor di torchi e di facelle,

la dove fece le strida piu crebre

con un batter di man gire alle stelle,

e con piu vena fuor de le palpebre

le lacrime inundar per le mascelle:

ma piu de l'altre nubilose ed atre

era la faccia del misero patre.

47

Mentre apparecchio si facea solenne

di grandi esequie e di funebri pompe,

secondo il modo ed ordine che tenne

l'usanza antiqua e ch'ogni eta corrompe;

da parte del signore un bando venne,

che tosto il popular strepito rompe,

e promette gran premio a chi dia aviso

chi stato sia che gli abbia il figlio ucciso.

48

Di voce in voce e d'una in altra orecchia

il grido e 'l bando per la terra scorse,

fin che l'udi la scelerata vecchia

che di rabbia avanzo le tigri e l'orse;

e quindi alla ruina s'apparecchia

di Zerbino, o per l'odio che gli ha forse,

o per vantarsi pur, che sola priva

d'umanitadein uman corpo viva;

49

o fosse pur per guadagnarsi il premio:

a ritrovar n'ando quel signor mesto;

e dopo un verisimil suo proemio,

gli disse che Zerbin fatto avea questo:

e quel bel cinto si levo di gremio,

che 'l miser padre a riconoscer presto,

appresso il testimonio e tristo uffizio

de l'empia vecchia, ebbe per chiaro indizio.

50

E lacrimando al ciel leva le mani,

che 'l figliuol non sara senza vendetta.

Fa circundar l'albergo ai terrazzani;

che tutto 'l popul s'e levato in fretta.

Zerbin che gli nimici aver lontani

si crede, e questa ingiuria non aspetta,

dal conte Anselmo, che si chiama offeso

tanto da lui, nel primo sonno e preso;

51

e quella notte in tenebrosa parte

incatenato, e in gravi ceppi messo.

Il sole ancor non ha le luci sparte,

che l'ingiusto supplicio e gia commesso;

che nel loco medesimo si squarte,

dove fu il mal c'hanno imputato ad esso.

Altra esamina in cio non si facea:

bastava che 'l signor cosi credea.

52

Poi che l'altro matin la bella Aurora

l'aer seren fe' bianco e rosso e giallo,

tutto 'l popul gridando: - Mora, mora, -

vien per punir Zerbin del non suo fallo.

Lo sciocco vulgo l'accompagna fuora,

senz'ordine, chi a piede e chi a cavallo,

e 'l cavallier di Scozia a capo chino

ne vien legato in s'un piccol ronzino.

53

Ma Dio, che spesso gl'innocenti aiuta,

ne lascia mai ch'in sua bonta si fida,

tal difesa gli avea gia proveduta,

che non v'e dubbio piu ch'oggi s'uccida.

Quivi Orlando arrivo, la cui venuta

alla via del suo scampo gli fu guida.

Orlando giu nel pian vide la gente

che trae a morte il cavallier dolente.

54

Era con lui quella fanciulla, quella

che ritrovo ne la selvaggia grotta,

del re galego la figlia Issabella,

in poter gia de' malandrin condotta,

poi che lasciato avea ne la procella

del truculento mar la nave rotta:

quella che piu vicino al core avea

questo Zerbin, che l'alma onde vivea.

55

Orlando se l'avea fatta compagna,

poi che de la caverna la riscosse.

Quando costei li vide alla campagna,

domando Orlando, chi la turba fosse.

- Non so, - diss'egli; e poi su la montagna

lasciolla, e verso il pian ratto si mosse.

Guardo Zerbino, ed alla vista prima

lo giudico baron di molta stima.

56

E fattosegli appresso, domandollo

per che cagione e dove il menin preso.

Levo il dolente cavalliero il collo,

e meglio avendo il paladino inteso,

rispose il vero; e cosi ben narrollo,

che merito dal conte esser difeso.

Bene avea il conte alle parole scorto

ch'era innocente, e che moriva a torto.

57

E poi che 'ntese che commesso questo

era dal conte Anselmo d'Altariva,

fu certo ch'era torto manifesto;

ch'altro da quel fellon mai non deriva.

Ed oltre a cio, l'uno era all'altro infesto

perl'antiquissimo odio che bolliva

tra il sangue di Maganza e di Chiarmonte;

e tra lor eran morti e danni ed onte.

58

- Slegate il cavallier(grido), canaglia,

(il conte a' masnadieri), o ch'io v'uccido. -

- Chi e costui che si gran colpi taglia?

(rispose un che parer volle il piu fido).

Se di cera noi fussimo o di paglia,

e di fuoco egli, assai fora quel grido. -

E venne contra il paladin di Francia:

Orlando contra lui chino la lancia.

59

La lucente armatura il Maganzese,

che levata la notte avea a Zerbino,

e postasela indosso, non difese

contro l'aspro incontrar del paladino.

Sopra la destra guancia il ferro prese:

l'elmo non passo gia, perch'era fino;

ma tanto fu de la percossa il crollo,

che la vita gli tolse e roppe il collo.

60

Tutto in un corso, senza tor di resta

la lancia, passo un altro in mezzo 'l petto:

quivi lasciolla, e la mano ebbe presta

a Durindana; e nel drappel piu stretto

a chi fece due parti de la testa,

a chi levo dal busto il capo netto;

foro la gola a molti; e in un momento

n'uccise e messe in rotta piu di cento.

61

Piu del terzo n'ha morto, e 'l resto caccia

e taglia e fende e fiere e fora e tronca.

Chi lo scudo, e chi l'elmo che lo 'mpaccia,

e chi lascia lo spiedo e chi la ronca;

chi al lungo, chi al traverso il camin spaccia;

altri s'appiatta in bosco, altri in spelonca.

Orlando, di pieta questo di privo,

a suo poter non vuol lasciarne un vivo.

62

Di cento venti(che Turpin sottrasse

il conto), ottanta ne periro almeno.

Orlando finalmente si ritrasse

dove a Zerbin tremava il cor nel seno.

S'al ritornar d'Orlando s'allegrasse,

non si potria contare in versi a pieno.

Se gli saria per onorar prostrato;

ma si trovo sopra il ronzin legato.

63

Mentre ch'Orlando, poi che lo disciolse,

l'aiutava a ripor l'arme sue intorno,

ch'al capitan de la sbirraglia tolse,

che per suo mal se n'era fatto adorno;

Zerbino gli occhi ad Issabella volse,

che sopra il colle avea fatto soggiorno,

e poi che de la pugna vide il fine,

porto le sue bellezze piu vicine.

64

Quando apparir Zerbin si vide appresso

la donna che da lui fu amata tanto,

la bella donna che per falso messo

credea sommersa, e n'ha piu volte pianto;

com'un ghiaccio nel petto gli sia messo,

sente dentro aggelarsi, e triema alquanto:

ma tosto il freddo manca, ed in quel loco

tutto s'avampa d'amoroso fuoco.

65

Di non tosto abbracciarla lo ritiene

la riverenza del signor d'Anglante;

perche si pensa, e senza dubbio tiene

ch'Orlando sia de la donzella amante.

Cosi cadendo va di pene in pene,

e poco dura il gaudio ch'ebbe inante:

ilvederla d'altrui peggio sopporta,

che non fe' quando udi ch'ella era morta.

66

E molto piu gli duol che sia in podesta

del cavalliero a cui cotanto debbe;

perche volerla a lui levar ne onesta

ne forse impresa facile sarebbe.

Nessuno altro da se lassar con questa

preda partir senza romor vorrebbe:

ma verso il conte il suo debito chiede

che se lo lasci por sul collo il piede.

67

Giunsero taciturni ad una fonte,

dove smontaro e fer qualche dimora.

Trassesi l'elmo il travagliato conte,

ed a Zerbin lo fece trarre ancora.

Vede la donna il suo amatore in fronte,

e di subito gaudio si scolora;

poi torna come fiore umido suole

dopo gran pioggia all'apparir del sole.

68

E senza indugio e senza altro rispetto

corre al suo caro amante, e il collo abbraccia;

e non puo trar parola fuor del petto,

ma di lacrime il sen bagna e la faccia.

Orlando attento all'amoroso affetto,

senza che piu chiarezza se gli faccia,

vide a tutti gl'indizi manifesto

ch'altri esser, che Zerbin, non potea questo.

69

Come la voce aver pote Issabella,

non bene asciutta ancor l'umida guancia,

sol de la molta cortesia favella,

che l'avea usata il paladin di Francia.

Zerbino, che tenea questa donzella

con la sua vita pare a una bilancia,

si getta a' pie del conte, e quello adora

come a chi gli ha due vite date a un'ora.

70

Molti ringraziamenti e molte offerte

erano per seguir tra i cavallieri,

se non udian sonar le vie coperte

dagli arbori di frondi oscuri e neri.

Presti alle teste lor, ch'eran scoperte,

posero gli elmi, e presero i destrieri:

ed ecco un cavalliero e una donzella

lor sopravien, ch'a pena erano in sella.

71

Era questo guerrier quel Mandricardo

che dietro Orlando in fretta si condusse

per vendicar Alzirdo e Manilardo,

che 'l paladin con gran valor percusse:

quantunque poi lo seguito piu tardo;

che Doralice in suo poter ridusse,

la quale avea con un troncon di cerro

tolta a cento guerrier carchi di ferro.

72

Non sapea il Saracin pero, che questo,

ch'egli seguia, fosse il signor d'Anglante:

ben n'avea indizio e segno manifesto

ch'esser dovea gran cavalliero errante.

A lui miro piu ch'a Zerbino, e presto

gli ando con gli occhi dal capo alle piante;

e i dati contrasegni ritrovando,

disse: - Tu se' colui ch'io vo cercando.

73

Sono omai dieci giorni(gli soggiunse)

che di cercar non lascio i tuo' vestigi:

tanto la fama stimolommi e punse,

che di te venne al campo di Parigi,

quando a fatica un vivo sol vi giunse

di mille che mandasti ai regni stigi;

e la strage conto, che da te venne

sopra i Norizi e quei di Tremisenne.

74

Non fui, come lo seppi, a seguir lento,

e per vederti e per provarti appresso:

e perche m'informai del guernimento

c'hai sopra l'arme, ioso che tu sei desso;

e se non l'avessi anco, e che fra cento

per celarti da me ti fossi messo,

il tuo fiero sembiante mi faria

chiaramente veder che tu quel sia. -

75

- Non si puo(gli rispose Orlando) dire

che cavallier non sii d'alto valore;

pero che si magnanimo desire

non mi credo albergasse in umil core.

Se 'l volermi veder ti fa venire,

vo' che mi veggi dentro, come fuore:

mi levero questo elmo da le tempie,

accio ch'a punto il tuo desire adempie.

76

Ma poi che ben m'avrai veduto in faccia,

all'altro desiderio ancora attendi:

resta ch'alla cagion tu satisfaccia,

che fa che dietro questa via mi prendi;

che veggi se 'l valor mio si confaccia

a quel sembiante fier che si commendi. -

- Orsu(disse il pagano), al rimanente;

ch'al primo ho satisfatto interamente. -

77

Il conte tuttavia dal capo al piede

va cercando il pagan tutto con gli occhi:

mira ambi i fianchi, indi l'arcion; ne vede

pender ne qua ne la mazze ne stocchi.

Gli domanda di ch'arme si provede,

s'avvien che con la lancia in fallo tocchi.

Rispose quel: - Non ne pigliar tu cura:

cosi a molt'altri ho ancor fatto paura.

78

Ho sacramento di non cinger spada,

fin ch'io non tolgo Durindana al conte;

e cercando lo vo per ogni strada,

accio piu d'una posta meco sconte.

Lo giurai(se d'intenderlo t'aggrada)

quando mi posi quest'elmo alla fronte,

il qual con tutte l'altr'arme ch'io porto,

era d'Ettor, che gia mill'anni e morto.

79

La spada sola manca alle buone arme:

come rubata fu, non ti so dire.

Or che la porti il paladino, parme;

e di qui vien ch'egli ha si grande ardire.

Ben penso, se con lui posso accozzarme,

fargli il mal tolto ormai ristituire.

Cercolo ancor, che vendicar disio

il famoso Agrican genitor mio.

80

Orlando a tradimento gli die morte:

ben so che non potea farlo altrimente. -

Il conte piu non tacque, e grido forte:

- E tu e qualunque il dice, se ne mente.

Ma quel che cerchi t'e venuto in sorte:

io sono Orlando, e uccisil giustamente;

e questa e quella spada che tu cerchi,

che tua sara, se con virtu la merchi.

81

Quantunque sia debitamente mia,

tra noi per gentilezza si contenda:

ne voglio in questa pugna ch'ella sia

piu tua che mia; ma a un arbore s'appenda.

Levala tu liberamente via,

s'avvien che tu m'uccida o che mi prenda. -

Cosi dicendo, Durindana prese,

e 'n mezzo il campo a un arbuscel l'appese.

82

Gia l'un da l'altro e dipartito lunge,

quanto sarebbe un mezzo tratto d'arco:

gia l'uno contra l'altro il destrier punge,

ne de le lente redine gli e parco:

gia l'uno e l'altro di grancolpo aggiunge

dove per l'elmo la veduta ha varco.

Parveno l'aste, al rompersi, di gielo;

e in mille schegge andar volando al cielo.

83

L'una e l'altra asta e forza che si spezzi;

che non voglion piegarsi i cavallieri,

i cavallier che tornano coi pezzi

che son restati appresso i calci interi.

Quelli, che sempre fur nel ferro avezzi,

or, come duo villan per sdegno fieri

nel partir acque o termini de prati,

fan crudel zuffa di duo pali armati.

84

Non stanno l'aste a quattro colpi salde,

e mancan nel furor di quella pugna.

Di qua e di la si fan l'ire piu calde;

ne da ferir lor resta altro che pugna.

Schiodano piastre, e straccian maglie e falde,

pur che la man, dove s'aggraffi, giugna.

Non desideri alcun, perche piu vaglia,

martel piu grave o piu dura tanaglia.

85

Come puo il Saracin ritrovar sesto

di finir con suo onore il fiero invito?

Pazzia sarebbe il perder tempo in questo,

che nuoce al feritor piu ch'al ferito.

Ando alle strette l'uno e l'altro, e presto

il re pagano Orlando ebbe ghermito:

lo strigne al petto; e crede far le prove

che sopra Anteo fe' gia il figliol di Giove.

86

Lo piglia con molto impeto a traverso:

quando lo spinge, e quando a se lo tira;

ed e ne la gran colera si immerso,

ch'ove resti la briglia poco mira.

Sta in se raccolto Orlando, e ne va verso

il suo vantaggio, e alla vittoria aspira:

gli pon la cauta man sopra le ciglia

del cavallo, e cader ne fa la briglia.

87

Il Saracino ogni poter vi mette,

che lo soffoghi, o de l'arcion lo svella:

negli urti il conte ha le ginocchia strette;

ne in questa parte vuol piegar ne in quella.

Per quel tirar che fa il pagan, costrette

le cingie son d'abandonar la sella.

Orlando e in terra, e a pena sel conosce:

ch'i piedi ha in staffa, e stringe ancor le cosce.

88

Con quel rumor ch'un sacco d'arme cade,

risuona il conte, come il campo tocca.

Il destrier c'ha la testa in libertade,

quello a chi tolto il freno era di bocca,

non piu mirando i boschi che le strade,

con ruinoso corso si trabocca,

spinto di qua e di la dal timor cieco;

e Mandricardo se ne porta seco.

89

Doralice che vede la sua guida

uscir dal campo e torlesi d'appresso,

e mal restarne senza si confida,

dietro, correndo, il suo ronzin gli ha messo.

Il pagan per orgoglio al destrier grida,

e con mani e con piedi il batte spesso;

e, come non sia bestia, lo minaccia

perche si fermi, e tuttavia piu il caccia.

90

La bestia, ch'era spaventosa e poltra,

sanza guardarsi ai pie, corre a traverso.

Gia corso avea tre miglia, e seguiva oltra,

s'un fosso aquel desir non era avverso;

che, sanza aver nel fondo o letto o coltra,

riceve l'uno e l'altro in se riverso.

Die Mandricardo in terra aspra percossa;

ne pero si fiacco ne si roppe ossa.

91

Quivi si ferma il corridore al fine,

ma non si puo guidar, che non ha freno.

Il Tartaro lo tien preso nel crine,

e tutto e di furore e d'ira pieno.

Pensa, e non sa quel che di far destine.

- Pongli la briglia del mio palafreno

(la donna gli dicea); che non e molto

il mio feroce, o sia col freno o sciolto. -

92

Al Saracin parea discortesia

la proferta accettar di Doralice;

ma fren gli fara aver per altra via

Fortuna a' suoi disii molto fautrice.

Quivi Gabrina scelerata invia,

che, poi che di Zerbin fu traditrice,

fuggia, come la lupa che lontani

oda venire i cacciatori e i cani.

93

Ella avea ancora indosso la gonnella,

e quei medesimi giovenili ornati

che furo alla vezzosa damigella

di Pinabel, per lei vestir, levati;

ed avea il palafreno anco di quella,

dei buon del mondo e degli avantaggiati.

La vecchia sopra il Tartaro trovosse,

ch'ancor non s'era accorta che vi fosse.

94

L'abito giovenil mosse la figlia

di Stordilano, e Mandricardo a riso,

vedendolo a colei che rassimiglia

a un babuino, a un bertuccione in viso.

Disegna il Saracin torle la briglia

pel suo destriero, e riusci l'aviso.

Toltogli il morso, il palafren minaccia,

gli grida, lo spaventa, e in fuga il caccia.

95

Quel fugge per la selva, e seco porta

la quasi morta vecchia di paura

per valli e monti e per via dritta e torta,

per fossi e per pendici alla ventura.

Ma il parlar di costei si non m'importa,

ch'io non debba d'Orlando aver piu cura,

ch'alla sua sella cio ch'era di guasto,

tutto ben racconcio sanza contrasto.

96

Rimonto sul destriero, e ste' gran pezzo

a riguardar che 'l Saracin tornasse.

Nol vedendo apparir, volse da sezzo

egli esser quel ch'a ritrovarlo andasse;

ma, come costumato e bene avezzo,

non prima il paladin quindi si trasse,

che con dolce parlar grato e cortese

buona licenza dagli amanti prese.

97

Zerbin di quel partir molto si dolse;

di tenerezza ne piangea Issabella:

voleano ir seco, ma il conte non volse

lor compagnia, ben ch'era e buona e bella;

e con questa ragion se ne disciolse,

ch'a guerrier non e infamia sopra quella

che, quando cerchi un suo nimico, prenda

compagno che l'aiuti e che 'l difenda.

98

Li prego poi, che quando il Saracino,

prima ch'in lui, si riscontrasse in loro,

gli dicesser ch'Orlando avria vicino

ancor tre giorni per quel tenitoro;

ma dopo, che sarebbe il suo camino

verso le 'nsegne dei bei gigli d'oro,

per esser con l'esercito di Carlo,

accio, volendol, sappia onde chiamarlo.

99

Quelli promiser farlo volentieri,

e questae ogn'altra cosa al suo comando.

Feron camin diverso i cavallieri,

di qua Zerbino, e di la il conte Orlando.

Prima che pigli il conte altri sentieri,

all'arbor tolse, e a se ripose il brando;

e dove meglio col pagan pensosse

di potersi incontrare, il destrier mosse.

100

Lo strano corso che tenne il cavallo

del Saracin pel bosco senza via,

fece ch'Orlando ando duo giorni in fallo,

ne lo trovo, ne pote averne spia.

Giunse ad un rivo che parea cristallo,

ne le cui sponde un bel pratel fioria,

di nativo color vago e dipinto,

e di molti e belli arbori distinto.

101

Il merigge facea grato l'orezzo

al duro armento ed al pastore ignudo;

si che ne Orlando sentia alcun ribrezzo,

che la corazza avea, l'elmo e lo scudo.

Quivi egli entro per riposarvi in mezzo;

e v'ebbe travaglioso albergo e crudo,

e piu che dir si possa empio soggiorno,

quell'infelice e sfortunato giorno.

102

Volgendosi ivi intorno, vide scritti

molti arbuscelli in su l'ombrosa riva.

Tosto che fermi v'ebbe gli occhi e fitti,

fu certo esser di man de la sua diva.

Questo era un di quei lochi gia descritti,

ove sovente con Medor veniva

da casa del pastore indi vicina

la bella donna del Catai regina.

103

Angelica e Medor con cento nodi

legati insieme, e in cento lochi vede.

Quante lettere son, tanti son chiodi

coi quali Amore il cor gli punge e fiede.

Va col pensier cercando in mille modi

non creder quel ch'al suo dispetto crede:

ch'altra Angelica sia, creder si sforza,

ch'abbia scritto il suo nome in quella scorza.

104

Poi dice: - Conosco io pur queste note:

di tal'io n'ho tante vedute e lette.

Finger questo Medoro ella si puote:

forse ch'a me questo cognome mette. -

Con tali opinion dal ver remote

usando fraude a se medesmo, stette

ne la speranza il malcontento Orlando,

che si seppe a se stesso ir procacciando.

105

Ma sempre piu raccende e piu rinuova,

quanto spenger piu cerca, il rio sospetto:

come l'incauto augel che si ritrova

in ragna o in visco aver dato di petto,

quanto piu batte l'ale e piu si prova

di disbrigar, piu vi si lega stretto.

Orlando viene ove s'incurva il monte

a guisa d'arco in su la chiara fonte.

106

Aveano in su l'entrata il luogo adorno

coi piedi storti edere e viti erranti.

Quivi soleano al piu cocente giorno

stare abbracciati i duo felici amanti.

V'aveano i nomi lor dentro e d'intorno,

piu che in altro dei luoghi circostanti,

scritti, qual con carbone e qual con gesso,

e qual con punte di coltelli impresso.

107

Il mesto conte a pie quivi discese;

e vide in su l'entrata de la grotta

parole assai, che di sua man distese

Medoro avea, che parean scritte allotta.

Del gran piacer che ne la grottaprese,

questa sentenza in versi avea ridotta.

Che fosse culta in suo linguaggio io penso;

ed era ne la nostra tale il senso:

108

- Liete piante, verdi erbe, limpide acque,

spelunca opaca e di fredde ombre grata,

dove la bella Angelica che nacque

di Galafron, da molti invano amata,

spesso ne le mie braccia nuda giacque;

de la commodita che qui m'e data,

io povero Medor ricompensarvi

d'altro non posso, che d'ognor lodarvi:

109

e di pregare ogni signore amante,

e cavallieri e damigelle, e ognuna

persona, o paesana o viandante,

che qui sua volonta meni o Fortuna;

ch'all'erbe, all'ombre, all'antro, al rio, alle piante

dica: benigno abbiate e sole e luna,

e de le ninfe il coro, che proveggia

che non conduca a voi pastor mai greggia. -

110

Era scritto in arabico, che 'l conte

intendea cosi ben come latino:

fra molte lingue e molte ch'avea pronte,

prontissima avea quella il paladino;

e gli schivo piu volte e danni ed onte,

che si trovo tra il popul saracino:

ma non si vanti, se gia n'ebbe frutto;

ch'un danno or n'ha, che puo scontargli il tutto.

111

Tre volte e quattro e sei lesse lo scritto

quello infelice, e pur cercando invano

che non vi fosse quel che v'era scritto;

e sempre lo vedea piu chiaro e piano:

ed ogni volta in mezzo il petto afflitto

stringersi il cor sentia con fredda mano.

Rimase al fin con gli occhi e con la mente

fissi nel sasso, al sasso indifferente.

112

Fu allora per uscir del sentimento

si tutto in preda del dolor si lassa.

Credete a chi n'ha fatto esperimento,

che questo e 'l duol che tutti gli altri passa.

Caduto gli era sopra il petto il mento,

la fronte priva di baldanza e bassa;

ne pote aver(che 'l duol l'occupo tanto)

alle querele voce, o umore al pianto.

113

L'impetuosa doglia entro rimase,

che volea tutta uscir con troppa fretta.

Cosi veggian restar l'acqua nel vase,

che largo il ventre e la bocca abbia stretta;

che nel voltar che si fa in su la base,

l'umor che vorria uscir, tanto s'affretta,

e ne l'angusta via tanto s'intrica,

ch'a goccia a goccia fuore esce a fatica.

114

Poi ritorna in se alquanto, e pensa come

possa esser che non sia la cosa vera:

che voglia alcun cosi infamare il nome

de la sua donna e crede e brama e spera,

o gravar lui d'insopportabil some

tanto di gelosia, che se ne pera;

ed abbia quel, sia chi si voglia stato,

molto la man di lei bene imitato.

115

In cosi poca, in cosi debol speme

sveglia gli spiriti e gli rifranca un poco;

indi al suo Brigliadoro il dosso preme,

dando gia il sole alla sorella loco.

Non molto va, che da le vie supreme

dei tettiuscir vede il vapor del fuoco,

sente cani abbaiar, muggiare armento:

viene alla villa, e piglia alloggiamento.

116

Languido smonta, e lascia Brigliadoro

a un discreto garzon che n'abbia cura;

altri il disarma, altri gli sproni d'oro

gli leva, altri a forbir va l'armatura.

Era questa la casa ove Medoro

giacque ferito, e v'ebbe alta avventura.

Corcarsi Orlando e non cenar domanda,

di dolor sazio e non d'altra vivanda.

117

Quanto piu cerca ritrovar quiete,

tanto ritrova piu travaglio e pena;

che de l'odiato scritto ogni parete,

ogni uscio, ogni finestra vede piena.

Chieder ne vuol: poi tien le labra chete;

che teme non si far troppo serena,

troppo chiara la cosa che di nebbia

cerca offuscar, perche men nuocer debbia.

118

Poco gli giova usar fraude a se stesso;

che senza domandarne, e chi ne parla.

Il pastor che lo vede cosi oppresso

da sua tristizia, e che voria levarla,

l'istoria nota a se, che dicea spesso

di quei duo amanti a chi volea ascoltarla,

ch'a molti dilettevole fu a udire,

gl'incomincio senza rispetto a dire:

119

come esso a prieghi d'Angelica bella

portato avea Medoro alla sua villa,

ch'era ferito gravemente; e ch'ella

curo la piaga, e in pochi di guarilla:

ma che nel cor d'una maggior di quella

lei feri Amor; e di poca scintilla

l'accese tanto e si cocente fuoco,

che n'ardea tutta, e non trovava loco:

120

e sanza aver rispetto ch'ella fusse

figlia del maggior re ch'abbia il Levante,

da troppo amor costretta si condusse

a farsi moglie d'un povero fante.

All'ultimo l'istoria si ridusse,

che 'l pastor fe' portar la gemma inante,

ch'alla sua dipartenza, per mercede

del buono albergo, Angelica gli diede.

121

Questa conclusion fu la secure

che 'l capo a un colpo gli levo dal collo,

poi che d'innumerabil battiture

si vide il manigoldo Amor satollo.

Celar si studia Orlando il duolo; e pure

quel gli fa forza, e male asconder pollo:

per lacrime e suspir da bocca e d'occhi

convien, voglia o non voglia, al fin che scocchi.

122

Poi ch'allargare il freno al dolor puote

(che resta solo e senza altrui rispetto),

giu dagli occhi rigando per le gote

sparge un fiume di lacrime sul petto:

sospira e geme, e va con spesse ruote

di qua di la tutto cercando il letto;

e piu duro ch'un sasso, e piu pungente

che se fosse d'urtica, se lo sente.

123

In tanto aspro travaglio gli soccorre

che nel medesmo letto in che giaceva,

l'ingrata donna venutasi a porre

col suo drudo piu volte esser doveva.

Non altrimenti or quella piuma abborre,

ne con minor prestezza se ne leva,

che de l'erba il villan che s'era messo

per chiuder gli occhi, e vegga il serpe appresso.

124

Quel letto, quella casa, quel pastore

immantinente in tant'odio gli casca,

che senza aspettar luna, o che l'albore

che va dinanzi al nuovogiorno nasca,

piglia l'arme e il destriero, ed esce fuore

per mezzo il bosco alla piu oscura frasca;

e quando poi gli e aviso d'esser solo,

con gridi ed urli apre le porte al duolo.

125

Di pianger mai, mai di gridar non resta;

ne la notte ne 'l di si da mai pace.

Fugge cittadi e borghi, e alla foresta

sul terren duro al discoperto giace.

Di se si meraviglia ch'abbia in testa

una fontana d'acqua si vivace,

e come sospirar possa mai tanto;

e spesso dice a se cosi nel pianto:

126

- Queste non son piu lacrime, che fuore

stillo dagli occhi con si larga vena.

Non suppliron le lacrime al dolore:

finir, ch'a mezzo era il dolore a pena.

Dal fuoco spinto ora il vitale umore

fugge per quella via ch'agli occhi mena;

ed e quel che si versa, e trarra insieme

e 'l dolore e la vita all'ore estreme.

127

Questi ch'indizio fan del mio tormento,

sospir non sono, ne i sospir sono tali.

Quelli han triegua talora; io mai non sento

che 'l petto mio men la sua pena esali.

Amor che m'arde il cor, fa questo vento,

mentre dibatte intorno al fuoco l'ali.

Amor, con che miracolo lo fai,

che 'n fuoco il tenghi, e nol consumi mai?

128

Non son, non sono io quel che paio in viso:

quel ch'era Orlando e morto ed e sotterra;

la sua donna ingratissima l'ha ucciso:

si, mancando di fe, gli ha fatto guerra.

Io son lo spirto suo da lui diviso,

ch'in questo inferno tormentandosi erra,

accio con l'ombra sia, che sola avanza,

esempio a chi in Amor pone speranza. -

129

Pel bosco erro tutta la notte il conte;

e allo spuntar de la diurna fiamma

lo torno il suo destin sopra la fonte

dove Medoro isculse l'epigramma.

Veder l'ingiuria sua scritta nel monte

l'accese si, ch'in lui non resto dramma

che non fosse odio, rabbia, ira e furore;

ne piu indugio, che trasse il brando fuore.

130

Taglio lo scritto e 'l sasso, e sin al cielo

a volo alzar fe' le minute schegge.

Infelice quell'antro, ed ogni stelo

in cui Medoro e Angelica si legge!

Cosi restar quel di, ch'ombra ne gielo

a pastor mai non daran piu, ne a gregge:

e quella fonte, gia si chiara e pura,

da cotanta ira fu poco sicura;

131

che rami e ceppi e tronchi e sassi e zolle

non cesso di gittar ne le bell'onde,

fin che da sommo ad imo si turbolle

che non furo mai piu chiare ne monde.

E stanco al fin, e al fin di sudor molle,

poi che la lena vinta non risponde

allo sdegno, al grave odio, all'ardente ira,

cade sul prato, e verso il ciel sospira.

132

Afflitto e stanco al fin cadene l'erba,

e ficca gli occhi al cielo, e non fa motto.

Senza cibo e dormir cosi si serba,

che 'l sole esce tre volte e torna sotto.

Di crescer non cesso la pena acerba,

che fuor del senno al fin l'ebbe condotto.

Il quarto di, da gran furor commosso,

e maglie e piastre si straccio di dosso.

133

Qui riman l'elmo, e la riman lo scudo,

lontan gli arnesi, e piu lontan l'usbergo:

l'arme sue tutte, in somma vi concludo,

avean pel bosco differente albergo.

E poi si squarcio i panni, e mostro ignudo

l'ispido ventre e tutto 'l petto e 'l tergo;

e comincio la gran follia, si orrenda,

che de la piu non sara mai ch'intenda.

134

In tanta rabbia, in tanto furor venne,

che rimase offuscato in ogni senso.

Di tor la spada in man non gli sovenne;

che fatte avria mirabil cose, penso.

Ma ne quella, ne scure, ne bipenne

era bisogno al suo vigore immenso.

Quivi fe' ben de le sue prove eccelse,

ch'un alto pino al primo crollo svelse:

135

e svelse dopo il primo altri parecchi,

come fosser finocchi, ebuli o aneti;

e fe' il simil di querce e d'olmi vecchi,

di faggi e d'orni e d'illici e d'abeti.

Quel ch'un ucellator che s'apparecchi

il campo mondo, fa, per por le reti,

dei giunchi e de le stoppie e de l'urtiche,

facea de cerri e d'altre piante antiche.

136

I pastor che sentito hanno il fracasso,

lasciando il gregge sparso alla foresta,

chi di qua, chi di la, tutti a gran passo

vi vengono a veder che cosa e questa.

Ma son giunto a quel segno il qual s'io passo

vi potria la mia istoria esser molesta;

ed io la vo' piu tosto diferire,

che v'abbia per lunghezza a fastidire.

1

Oh grancontrasto in giovenil pensiero,

desir di laude ed impeto d'amore!

ne chi piu vaglia, ancor si trova il vero;

che resta or questo or quel superiore.

Ne l'uno ebbe e ne l'altro cavalliero

quivi gran forza il debito e l'onore;

che l'amorosa lite s'intermesse,

fin che soccorso il campo lor s'avesse.

2

Ma piu ve l'ebbe Amor: che se non era

che cosi commando la donna loro,

non si sciogliea quella battaglia fiera,

che l'un n'avrebbe il triunfale alloro;

ed Agramante invan con la sua schiera

l'aiuto avria aspettato di costoro.

Dunque Amor sempre rio non si ritrova:

se spesso nuoce, anco talvolta giova.

3

Or l'uno e l'altro cavallier pagano,

che tutti ha differiti i suoi litigi,

va, per salvar l'esercito africano,

con la donna gentil verso Parigi;

e va con essi ancora il piccol nano

che seguito del Tartaro i vestigi,

fin che con lui condotto a fronte a fronte

avea quivi il geloso Rodomonte.

4

Capitaro in un prato ove a diletto

erano cavallier sopra un ruscello,

duo disarmati e duo ch'avean l'elmetto,

e una donna con lor di viso bello.

Chi fosser quelli, altrove vi fia detto;

or no, che di Ruggier prima favello,

del buon Ruggier di cui vi fu narrato

che lo scudo nel pozzo avea gittato.

5

Non e dal pozzo ancor lontano un miglio,

che venire un corrier vede in gran fretta,

di quei che manda di Troiano il figlio

ai cavallieri onde soccorso aspetta;

dal qual ode che Carlo in tal periglio

la gente saracina tien ristretta,

che, se non e chi tosto le dia aita,

tosto l'onor vi lascera o la vita.

6

Fu da molti pensier ridutto in forse

Ruggier, che tutti l'assaliro a un tratto;

ma qual per lo miglior dovesse torse,

ne luogo avea ne tempo a pensar atto.

Lascio andare il messaggio, e 'l freno torse

la dove fu da quella donna tratto,

ch'ad or ad or in modo egli affrettava,

che nessun tempo d'indugiar le dava.

7

Quindi seguendo il camin preso, venne

(gia declinando il sole) ad una terra

che 'l re Marsilio in mezzo Francia tenne,

tolta di man di Carlo in quella guerra.

Ne al ponte ne alla porta si ritenne,

che non gli niega alcuno il passo o serra,

ben ch'intorno al rastrello e in su le fosse

gran quantita d'uomini e d'arme fosse.

8

Perch'era conosciuta da la gente

quella donzella ch'avea in compagnia,

fu lasciato passar liberamente,

ne domandato pure onde venia.

Giunse alla piazza, e di fuoco lucente,

e piena la trovo di gente ria;

e vide in mezzo star con viso smorto

il giovine dannato ad esser morto.

9

Ruggier come gli alzo gli occhi nel viso,

che chino a terra e lacrimoso stava,

di veder Bradamante gli fu aviso,

tanto il giovine a lei rassimigliava.

Piu dessa gli parea, quanto piu fiso

alvolto e alla persona il riguardava;

e fra se disse: - O questa e Bradamante,

o ch'io non son Ruggier com'era inante.

10

Per troppo ardir si sara forse messa

del garzon condennato alla difesa;

e poi che mal la cosa l'e successa,

ne sara stata, come io veggo, presa.

Deh perche tanta fretta, che con essa

io non potei trovarmi a questa impresa?

Ma Dio ringrazio che ci son venuto,

ch'a tempo ancora io potro darle aiuto. -

11

E sanza piu indugiar la spada stringe

(ch'avea all'altro castel rotta la lancia),

e adosso il vulgo inerme il destrier spinge

per lo petto, pei fianchi e per la pancia.

Mena la spada a cerco, ed a chi cinge

la fronte, a chi la gola, a chi la guancia.

Fugge il popul gridando; e la gran frotta

resta o sciancata o con la testa rotta.

12

Come stormo d'augei ch'in ripa a un stagno

vola sicuro e a sua pastura attende,

s'improviso dal ciel falcon grifagno

gli da nel mezzo ed un ne batte o prende,

si sparge in fuga, ognun lascia il compagno,

e de lo scampo suo cura si prende;

cosi veduto avreste far costoro,

tosto che 'l buon Ruggier diede fra loro.

13

A quattro o sei dai colli i capi netti

levo Ruggier, ch'indi a fuggir fur lenti;

ne divise altretanti infin ai petti,

fin agli occhi infiniti e fin ai denti.

Concedero che non trovasse elmetti,

ma ben di ferro assai cuffie lucenti:

e s'elmi fini anco vi fosser stati,

cosi gli avrebbe, o poco men, tagliati.

14

La forza di Ruggier non era quale

or si ritrovi in cavallier moderno,

ne in orso ne in leon ne in animale

altro piu fiero, o nostrale od esterno.

Forse il tremuoto le sarebbe uguale,

forse il Gran Diavol: non quel de lo 'nferno,

ma quel del mio signor, che va col fuoco

ch'a cielo e a terra e a mar si fa dar loco.

15

D'ogni suo colpo mai non cadea manco

d'un uomo in terra, e le piu volte un paio;

e quattro a un colpo e cinque n'uccise anco,

si che si venne tosto al centinaio.

Tagliava il brando che trasse dal fianco,

come un tenero latte, il duro acciaio.

Falerina, per dar morte ad Orlando,

fe' nel giardin d'Orgagna il crudel brando.

16

Averlo fatto poi ben le rincrebbe,

che 'l suo giardin disfar vide con esso.

Che strazio dunque, che ruina debbe

far or ch'in man di tal guerriero e messo?

Se mai Ruggier furor, se mai forza ebbe,

se mai fu l'alto suo valore espresso,

qui l'ebbe, il pose qui, qui fu veduto,

sperando dare alla sua donna aiuto.

17

Qual fa la lepre contra i cani sciolti,

facea la turba contra lui riparo.

Quei che restaro uccisi,furo molti;

furo infiniti quei ch'in fuga andaro.

Avea la donna intanto i lacci tolti,

ch'ambe le mani al giovine legaro;

e come pote meglio, presto armollo,

gli die una spada in mano e un scudo al collo.

18

Egli che molto e offeso, piu che puote

si cerca vendicar di quella gente:

e quivi son si le sue forze note,

che riputar si fa prode e valente.

Gia avea attuffato le dorate ruote

il Sol ne la marina d'occidente,

quando Ruggier vittorioso e quello

giovine seco uscir fuor del castello.

19

Quando il garzon sicuro de la vita

con Ruggier si trovo fuor de le porte,

gli rende molta grazia ed infinita

con gentil modi e con parole accorte,

che non lo conoscendo, a dargli aita

si fosse messo a rischio de la morte;

e prego che 'l suo nome gli dicesse,

per sapere a chi tanto obligo avesse.

20

- Veggo(dicea Ruggier) la faccia bella

e le belle fattezze e 'l bel sembiante,

ma la suavita de la favella

non odo gia de la mia Bradamante;

ne la relazion di grazie e quella

ch'ella usar debba al suo fedele amante.

Ma se pur questa e Bradamante, or come

ha si tosto in oblio messo il mio nome? -

21

Per ben saperne il certo, accortamente

Ruggier le disse: - Io v'ho veduto altrove;

ed ho pensato e penso, e finalmente

non so ne posso ricordarmi dove.

Ditemel voi, se vi ritorna a mente,

e fate che 'l nome anco udir mi giove,

accio che saper possa a cui mia aita

dal fuoco abbia salvata oggi la vita. -

22

- Che voi m'abbiate visto esser potria

(rispose quel), che non so dove o quando:

ben vo pel mondo anch'io la parte mia,

strane aventure or qua or la cercando.

Forse una mia sorella stata fia,

che veste l'arme e porta al lato il brando;

che nacque meco, e tanto mi somiglia,

che non ne puo discerner la famiglia.

23

Ne primo ne secondo ne ben quarto

sete di quei ch'errore in cio preso hanno:

ne 'l padre ne i fratelli ne chi a un parto

ci produsse ambi, scernere ci sanno.

Gli e ver che questo crin raccorcio e sparto

ch'io porto, come gli altri uomini fanno,

ed il suo lungo e in treccia al capo avvolta,

ci solea far gia differenza molta:

24

ma poi ch'un giorno ella ferita fu

nel capo(lungo saria a dirvi come),

e per sanarla un servo di Iesu

a mezza orecchia le taglio le chiome,

alcun segno tra noi non resto piu

di differenza, fuor che 'l sesso e 'l nome.

Ricciardetto son io, Bradamante ella;

io fratel di Rinaldo, essa sorella.

25

E se non v'increscesse l'ascoltarmi,

cosa direi che vi faria stupire,

la qual m'occorse perassimigliarmi

a lei: gioia al principio e al fin martire. -

Ruggiero il qual piu graziosi carmi,

piu dolce istoria non potrebbe udire,

che dove alcun ricordo intervenisse

de la sua donna, il prego si, che disse.

26

- Accadde a questi di, che pei vicini

boschi passando la sorella mia,

ferita da uno stuol de Saracini

che senza l'elmo la trovar per via,

fu di scorciarsi astretta i lunghi crini,

se sanar volse d'una piaga ria

ch'avea con gran periglio ne la testa;

e cosi scorcia erro per la foresta.

27

Errando giunse ad una ombrosa fonte;

e perche afflitta e stanca ritrovosse,

dal destrier scese e disarmo la fronte,

e su le tenere erbe addormentosse.

Io non credo che fabula si conte,

che piu di questa istoria bella fosse.

Fiordispina di Spagna soprarriva,

che per cacciar nel bosco ne veniva.

28

E quando ritrovo la mia sirocchia

tutta coperta d'arme, eccetto il viso,

ch'avea la spada in luogo di conocchia,

le fu vedere un cavalliero aviso.

La faccia e le viril fattezze adocchia

tanto, che se ne sente il cor conquiso;

la invita a caccia, e tra l'ombrose fronde

lunge dagli altri al fin seco s'asconde.

29

Poi che l'ha seco in solitario loco

dove non teme d'esser sopraggiunta,

con atti e con parole a poco a poco

le scopre il fisso cuor di grave punta.

Con gli occhi ardenti e coi sospir di fuoco

le mostra l'alma di disio consunta.

Or si scolora in viso, or si raccende;

tanto s'arrischia, ch'un bacio ne prende.

30

La mia sorella avea ben conosciuto

che questa donna in cambio l'avea tolta:

ne dar poteale a quel bisogno aiuto,

e si trovava in grande impaccio avvolta.

- Gli e meglio(dicea seco) s'io rifiuto

questa avuta di me credenza stolta

e s'io mi mostro femina gentile,

che lasciar riputarmi un uomo vile. -

31

E dicea il ver; ch'era viltade espressa,

conveniente a un uom fatto di stucco,

con cui si bella donna fosse messa,

piena di dolce e di nettareo succo,

e tuttavia stesse a parlar con essa,

tenendo basse l'ale come il cucco.

Con modo accorto ella il parlar ridusse,

che venne a dir come donzella fusse;

32

che gloria, qual gia Ippolita e Camilla,

cerca ne l'arme; e in Africa era nata

in lito al mar ne la citta d'Arzilla,

a scudo e a lancia da fanciulla usata.

Per questo non si smorza una scintilla

del fuoco de la donna inamorata.

Questo rimedio all'alta piaga e tardo:

tant'avea Amor cacciato inanzi il dardo.

33

Per questo non le par men bello il viso,

men bel lo sguardo e men belli i costumi;

per cio non torna il cor, che gia diviso

da lei, godea dentro gli amati lumi.

Vedendola in quell'abito, l'e aviso

che puo far che 'ldesir non la consumi;

e quando, ch'ella e pur femina, pensa,

sospira e piange e mostra doglia immensa.

34

Chi avesse il suo ramarico e 'l suo pianto

quel giorno udito, avria pianto con lei.

- Quai tormenti(dicea) furon mai tanto

crudel, che piu non sian crudeli i miei?

D'ogn'altro amore, o scelerato o santo,

il desiato fin sperar potrei;

saprei partir la rosa da le spine:

solo il mio desiderio e senza fine!

35

Se pur volevi, Amor, darmi tormento

che t'increscesse il mio felice stato,

d'alcun martir dovevi star contento,

che fosse ancor negli altri amanti usato.

Ne tra gli uomini mai ne tra l'armento,

che femina ami femina ho trovato:

non par la donna all'altre donne bella,

ne a cervie cervia, ne all'agnelle agnella.

36

In terra, in aria, in mar, sola son io

che patisco da te si duro scempio;

e questo hai fatto accio che l'error mio

sia ne l'imperio tuo l'ultimo esempio.

La moglie del re Nino ebbe disio,

il figlio amando, scelerato ed empio,

e Mirra il padre, e la Cretense il toro:

ma gli e piu folle il mio, ch'alcun dei loro.

37

La femina nel maschio fe' disegno,

speronne il fine, ed ebbelo, come odo:

Pasife ne la vacca entro del legno,

altre per altri mezzi e vario modo.

Ma se volasse a me con ogni ingegno

Dedalo, non potria scioglier quel nodo

che fece il mastro troppo diligente,

Natura d'ogni cosa piu possente. -

38

Cosi si duole e si consuma ed ange

la bella donna, e non s'accheta in fretta.

Talor si batte il viso e il capel frange,

e di se contra se cerca vendetta.

La mia sorella per pieta ne piange,

ed e a sentir di quel dolor costretta.

Del folle e van disio si studia trarla,

ma non fa alcun profitto, e invano parla.

39

Ella ch'aiuto cerca e non conforto,

sempre piu si lamenta e piu si duole.

Era del giorno il termine ormai corto,

che rosseggiava in occidente il sole,

ora oportuna da ritrarsi in porto

a chi la notte al bosco star non vuole;

quando la donna invito Bradamante

a questa terra sua poco distante.

40

Non le seppe negar la mia sorella:

e cosi insieme ne vennero al loco,

dove la turba scelerata e fella

posto m'avria, se tu non v'eri, al fuoco.

Fece la dentro Fiordispina bella

la mia sirocchia accarezzar non poco:

e rivestita di feminil gonna,

conoscer fe' a ciascun ch'ella era donna.

41

Pero che conoscendo che nessuno

util traea da quel virile aspetto,

non le parve anco di voler ch'alcuno

biasmo di se per questo fosse detto:

fello anco, accio che 'l mal ch'avea da l'uno

virile abito, errando, gia concetto,

ora con l'altro, discoprendo il vero,

provassi di cacciar fuor del pensiero.

42

Commune il letto ebbon la notteinsieme,

ma molto differente ebbon riposo;

che l'una dorme, e l'altra piange e geme

che sempre il suo desir sia piu focoso.

E se 'l sonno talor gli occhi le preme,

quel breve sonno e tutto imaginoso:

le par veder che 'l ciel l'abbia concesso

Bradamante cangiata in miglior sesso.

43

Come l'infermo acceso di gran sete,

s'in quella ingorda voglia s'addormenta,

nell'interrotta e turbida quiete,

d'ogn'acqua che mai vide si ramenta;

cosi a costei di far sue voglie liete

l'imagine del sonno rappresenta.

Si desta; e nel destar mette la mano,

e ritrova pur sempre il sogno vano.

44

Quanti prieghi la notte, quanti voti,

offerse al suo Macone e a tutti i dei,

che con miracoli apparenti e noti

mutassero in miglior sesso costei!

ma tutti vede andar d'effetto voti,

e forse ancora il ciel ridea di lei.

Passa la notte; e Febo il capo biondo

traea del mare, e dava luce al mondo.

45

Poi che 'l di venne e che lasciaro il letto,

a Fiordispina s'augumenta doglia;

che Bradamante ha del partir gia detto,

ch'uscir di questo impaccio avea gran voglia.

La gentil donna un ottimo ginetto

in don da lei vuol che partendo toglia,

guernito d'oro, ed una sopravesta

che riccamente ha di sua man contesta.

46

Accompagnolla un pezzo Fiordispina,

poi fe' piangendo al suo castel ritorno.

La mia sorella si ratto camina,

che venne a Montalbano anco quel giorno.

Noi suoi fratelli e la madre meschina

tutti le siamo festeggiando intorno;

che di lei non sentendo, avuto forte

dubbio e tema avevan de la sua morte.

47

Mirammo(al trar de l'elmo) al mozzo crine,

ch'intorno al capo prima s'avolgea;

cosi le sopraveste peregrine

ne fer meravigliar, ch'indosso avea.

Ed ella il tutto dal principio al fine

narronne, come dianzi io vi dicea:

come ferita fosse al bosco, e come

lasciasse, per guarir, le belle chiome;

48

e come poi dormendo in ripa all'acque,

la bella cacciatrice sopragiunse,

a cui la falsa sua sembianza piacque;

e come da la schiera la disgiunse.

Del lamento di lei poi nulla tacque,

che di pietade l'anima ci punse;

e come alloggio seco, e tutto quello

che fece fin che ritorno al castello.

49

Di Fiordispina gran notizia ebb'io,

ch'in Siragozza e gia la vidi in Francia,

e piacquer molto all'appetito mio

i suoi begli occhi e la polita guancia:

ma non lasciai fermarvisi il disio,

che l'amar senza speme e sogno e ciancia.

Or, quando in tal ampiezza mi si porge,

l'antiqua fiamma subito risorge.

50

Di queste speme Amor ordisce i nodi,

che d'altre fila ordir non li potea,

onde mi piglia: e mostra insieme i modi

che da la donna avrei quel ch'io chiedea.

A succeder saran facil le frodi;

che come spesso altri ingannato avea

la simiglianza c'ho di mia sorella,

forse anco ingannera questa donzella.

51

Faccio o nol faccio? Al fin mi parche buono

sempre cercar quel che diletti sia.

Del mio pensier con altri non ragiono,

ne vo' ch'in cio consiglio altri mi dia.

Io vo la notte ove quell'arme sono

che s'avea tratte la sorella mia:

tolgole, e col destrier suo via camino,

ne sto aspettar che luca il matutino.

52

Io me ne vo la notte(Amore e duce)

a ritrovar la bella Fiordispina;

e v'arrivai che non era la luce

del sole ascosa ancor ne la marina.

Beato e chi correndo si conduce

prima degli altri a dirlo alla regina,

da lei sperando per l'annunzio buono

acquistar grazia e riportarne dono.

53

Tutti m'aveano tolto cosi in fallo,

com'hai tu fatto ancor, per Bradamante;

tanto piu che le vesti ebbi e 'l cavallo

con che partita era ella il giorno inante.

Vien Fiordispina di poco intervallo

con feste incontra e con carezze tante,

e con si allegro viso e si giocondo,

che piu gioia mostrar non potria al mondo.

54

Le belle braccia al collo indi mi getta,

e dolcemente stringe, e bacia in bocca.

Tu puoi pensar s'allora la saetta

dirizzi Amor, s'in mezzo il cor mi tocca.

Per man mi piglia, e in camera con fretta

mi mena; e non ad altri, ch'a lei, tocca

che da l'elmo allo spron l'arme mi slacci

e nessun altro vuol che se n'impacci.

55

Poi fattasi arrecare una sua veste

adorna e ricca, di sua man la spiega,

e come io fossi femina, mi veste,

e in reticella d'oro il crin mi lega.

Io muovo gli occhi con maniere oneste,

ne ch'io sia donna alcun mio gesto niega.

La voce ch'accusar mi potea forse,

si ben usai, ch'alcun non se n'accorse.

56

Uscimmo poi la dove erano molte

persone in sala, e cavallieri e donne,

dai quali fummo con l'onor raccolte,

ch'alle regine fassi e gran madonne.

Quivi d'alcuni mi risi io piu volte,

che non sappiendo cio che sotto gonne

si nascondesse valido e gagliardo,

mi vagheggiavan con lascivo sguardo.

57

Poi che si fece la notte piu grande,

e gia un pezzo la mensa era levata,

la mensa, che fu d'ottime vivande,

secondo la stagione, apparecchiata;

non aspetta la donna ch'io domande

quel che m'era cagion del venir stata:

ella m'invita per sua cortesia,

che quella notte a giacer seco io stia.

58

Poi che donne e donzelle ormai levate

si furo, e paggi e camerieri intorno,

essendo ambe nel letto dispogliate,

coi torchi accesi che parea di giorno,

io cominciai: - Non vi maravigliate,

madonna, se si tosto a voi ritorno;

che forse v'andavate imaginando

di non mi riveder fin Dio sa quando.

59

Diro prima la causa del partire,

poi del ritorno l'udirete ancora.

Se 'l vostro ardor, madonna, intiepidire

potuto avessi col mio far dimora,

vivere in vostro servizio e morire

voluto avrei, ne starne senza un'ora;

ma visto quanto il miostar vi nocessi,

per non poter far meglio, andare elessi.

60

Fortuna mi tiro fuor del camino

in mezzo un bosco d'intricati rami,

dove odo un grido risonar vicino,

come di donna che soccorso chiami.

V'accorro, e sopra un lago cristallino

ritrovo un fauno ch'avea preso agli ami

in mezzo l'acqua una donzella nuda,

e mangiarsi, il crudel, la volea cruda.

61

Cola mi trassi, e con la spada in mano

(perch'aiutar non la potea altrimente)

tolsi di vita il pescator villano:

ella salto ne l'acqua immantinente.

- Non m'avrai(disse) dato aiuto invano:

ben ne sarai premiato e riccamente

quanto chieder saprai, perche son ninfa

che vivo dentro a questa chiara linfa;

62

ed ho possanza far cose stupende,

e sforzar gli elementi e la natura.

Chiedi tu, quanto il mio valor s'estende,

poi lascia a me di satisfarti cura.

Dal ciel la luna al mio cantar discende,

s'agghiaccia il fuoco, e l'aria si fa dura;

ed ho talor con semplici parole

mossa la terra, ed ho fermato il sole. -

63

Non le domando a questa offerta unire

tesor, ne dominar populi e terre,

ne in piu virtu ne in piu vigor salire,

ne vincer con onor tutte le guerre;

ma sol che qualche via donde il desire

vostro s'adempia, mi schiuda e disserre:

ne piu le domando un ch'un altro effetto,

ma tutta al suo giudicio mi rimetto.

64

Ebbile a pena mia domanda esposta,

ch'un'altra volta la vidi attuffata;

ne fece al mio parlare altra risposta,

che di spruzzar ver me l'acqua incantata:

la qual non prima al viso mi s'accosta,

ch'io(non so come) son tutta mutata.

Io 'l veggo, io 'l sento, e a pena vero parmi:

sento in maschio, di femina, mutarmi.

65

E se non fosse che senza dimora

vi potete chiarir, nol credereste:

e qual nell'altro sesso, in questo ancora

ho le mie voglie ad ubbidirvi preste.

Commandate lor pur, che fieno or ora

e sempremai per voi vigile e deste. -

Cosi le dissi; e feci ch'ella istessa

trovo con man la veritade espressa.

66

Come interviene a chi gia fuor di speme

di cosa sia che nel pensier molt'abbia,

che mentre piu d'esserne privo geme,

piu se n'afflige e se ne strugge e arrabbia;

se ben la trova poi, tanto gli preme

l'aver gran tempo seminato in sabbia,

e la disperazion l'ha si male uso,

che non crede a se stesso, e sta confuso:

67

cosi la donna, poi che tocca e vede

quel di ch'avuto avea tanto desire,

agli occhi, al tatto, a se stessa non crede,

e sta dubbiosa ancor di non dormire;

e buona prova bisogno a far fede,

che sentia quel che le parea sentire.

- Fa, Dio(disse ella), se son sogni questi,

ch'io dorma sempre, e mai piu non mi desti.-

68

Non rumor di tamburi o suon di trombe

furon principio all'amoroso assalto,

ma baci ch'imitavan le colombe,

davan segno or di gire, or di fare alto.

Usammo altr'arme che saette o frombe.

Io senza scale in su la rocca salto

e lo stendardo piantovi di botto,

e la nimica mia mi caccio sotto.

69

Se fu quel letto la notte dinanti

pien di sospiri e di querele gravi,

non stette l'altra poi senza altretanti

risi, feste, gioir, giochi soavi.

Non con piu nodi i flessuosi acanti

le colonne circondano e le travi,

di quelli con che noi legammo stretti

e colli e fianchi e braccia e gambe e petti.

70

La cosa stava tacita fra noi,

si che duro il piacer per alcun mese:

pur si trovo chi se n'accorse poi,

tanto che con mio danno il re lo 'ntese.

Voi che mi liberaste da quei suoi

che ne la piazza avean le fiamme accese,

comprendere oggimai potete il resto;

ma Dio sa ben con che dolor ne resto. -

71

Cosi a Ruggier narrava Ricciardetto,

e la notturna via facea men grave,

salendo tuttavia verso un poggetto

cinto di ripe e di pendici cave.

Un erto calle e pien di sassi e stretto

apria il camin con faticosa chiave.

Sedea al sommo un castel detto Agrismonte,

ch'ave' in guardia Aldigier di Chiaramonte.

72

Di Buovo era costui figliuol bastardo,

fratel di Malagigi e di Viviano;

chi legitimo dice di Gherardo,

e testimonio temerario e vano.

Fosse come si voglia, era gagliardo,

prudente, liberal, cortese, umano;

e facea quivi le fraterne mura

la notte e il di guardar con buona cura.

73

Raccolse il cavallier cortesemente,

come dovea, il cugin suo Ricciardetto,

ch'amo come fratello; e parimente

fu ben visto Ruggier per suo rispetto.

Ma non gli usci gia incontra allegramente,

come era usato, anzi con tristo aspetto,

perch'uno aviso il giorno avuto avea,

che nel viso e nel cor mesto il facea.

74

A Ricciardetto in cambio di saluto

disse: - Fratello, abbian nuova non buona.

Per certissimo messo oggi ho saputo

che Bertolagi iniquo di Baiona

con Lanfusa crudel s'e convenuto,

che preziose spoglie esso a lei dona,

ed essa a lui pon nostri frati in mano,

il tuo bon Malagigi e il tuo Viviano.

75

Ella dal di che Ferrau li prese,

gli ha ognor tenuti in loco oscuro e fello,

fin che 'l brutto contratto e discortese

n'ha fatto con costui di ch'io favello.

Gli de' mandar domane al Maganzese

nei confin tra Baiona e un suo castello.

Verra in persona egli a pagar la mancia

che compra il miglior sangue che sia in Francia.

76

Rinaldo nostro n'ho avisato or ora,

ed ho cacciato il messo di galoppo;

ma non mi par ch'arrivar possa ad ora

che non sia tarda, che 'l camino e troppo.

Io non homeco gente da uscir fuora:

l'animo e pronto, ma il potere e zoppo.

Se gli ha quel traditor, li fa morire:

si che non so che far, non so che dire. -

77

La dura nuova a Ricciardetto spiace,

e perche spiace a lui, spiace a Ruggiero;

che poi che questo e quel vede che tace,

ne tra' profitto alcun del suo pensiero,

disse con grande ardir: - Datevi pace:

sopra me quest'impresa tutta chero;

e questa mia varra per mille spade

a riporvi i fratelli in libertade.

78

Io non voglio altra gente, altri sussidi,

ch'io credo bastar solo a questo fatto;

io vi domando solo un che mi guidi

al luogo ove si dee fare il baratto.

Io vi faro sin qui sentire i gridi

di chi sara presente al rio contratto. -

Cosi dicea; ne dicea cosa nuova

all'un de' dui, che n'avea visto pruova.

79

L'altro non l'ascoltava, se non quanto

s'ascolti un ch'assai parli e sappia poco:

ma Ricciardetto gli narro da canto

come fu per costui tratto del fuoco;

e ch'era certo che maggior del vanto

faria veder l'effetto a tempo e a loco.

Gli diede allor udienza piu che prima,

e riverillo, e fe' di lui gran stima.

80

Ed alla mensa, ove la Copia fuse

il corno, l'onoro come suo donno.

Quivi senz'altro aiuto si concluse

che liberare i duo fratelli ponno.

Intanto sopravenne e gli occhi chiuse

ai signori e ai sergenti il pigro Sonno,

fuor ch'a Ruggier; che, per tenerlo desto,

gli punge il cor sempre un pensier molesto.

81

L'assedio d'Agramante ch'avea il giorno

udito dal corrier, gli sta nel core.

Ben vede ch'ogni minimo soggiorno

che faccia d'aiutarlo, e suo disnore.

Quanta gli sara infamia, quanto scorno,

se coi nemici va del suo signore!

Oh come a gran viltade, a gran delitto,

battezzandosi alor, gli sara ascritto!

82

Potria in ogn'altro tempo esser creduto

che vera religion l'avesse mosso;

ma ora che bisogna col suo aiuto

Agramante d'assedio esser riscosso,

piu tosto da ciascun sara tenuto

che timore e vilta l'abbia percosso,

ch'alcuna opinion di miglior fede:

questo il cor di Ruggier stimula e fiede.

83

Che s'abbia da partire anco lo punge

senza licenza de la sua regina.

Quando questo pensier, quando quel giunge,

che 'l dubio cor diversamente inchina.

Gli era l'aviso riuscito lunge

di trovarla al castel di Fiordispina,

dove insieme dovean, come ho gia detto,

in soccorso venir di Ricciardetto.

84

Poi gli sovien ch'egli le avea promesso

di seco a Vallombrosa ritrovarsi.

Pensa ch'andar v'abbi ella, e quivi d'esso

che non vi trovi poi, maravigliarsi.

Potesse almen mandar lettera o messo,

si ch'ella non avesse a lamentarsi

che, oltre ch'egli mal le avea ubbidito,

senza far motto ancor fosse partito.

85

Poi che piu cose imaginate s'ebbe,

pensa scriverle al fin quanto gli accada;

e ben ch'egli nonsappia come debbe

la lettera inviar, si che ben vada,

non pero vuol restar; che ben potrebbe

alcun messo fedel trovar per strada.

Piu non s'indugia, e salta de le piume;

si fa dar carta, inchiostro, penna e lume.

86

I camarier discreti ed aveduti

arrecano a Ruggier cio che commanda.

Egli comincia a scrivere, e i saluti

(come si suol) nei primi versi manda:

poi narra degli avisi che venuti

son dal suo re, ch'aiuto gli domanda;

e se l'andata sua non e ben presta,

o morto o in man degli nimici resta.

87

Poi seguita, ch'essendo a tal partito,

e ch'a lui per aiuto si volgea,

vedesse ella che 'l biasmo era infinito

s'a quel punto negar gli lo volea;

e ch'esso, a lei dovendo esser marito,

guardarsi da ogni macchia si dovea;

che non si convenia con lei, che tutta

era sincera, alcuna cosa brutta.

88

E se mai per adietro un nome chiaro,

ben oprando, cerco di guadagnarsi,

e guadagnato poi, se avuto caro,

se cercato l'avea di conservarsi;

or lo cercava, e n'era fatto avaro,

poi che dovea con lei participarsi,

la qual sua moglie, e totalmente in dui

corpi esser dovea un'anima con lui.

89

E si come gia a bocca le avea detto,

le ridicea per questa carta ancora:

finito il tempo in che per fede astretto

era al suo re, quando non prima muora,

che si fara cristian cosi d'effetto,

come di buon voler stato era ogni ora;

e ch'al padre e a Rinaldo e agli altri suoi

per moglie domandar la fara poi.

90

- Voglio(le soggiungea), quando vi piaccia,

l'assedio al mio signor levar d'intorno,

accio che l'ignorante vulgo taccia,

il qual direbbe, a mia vergogna e scorno:

Ruggier, mentre Agramante ebbe bonaccia,

mai non l'abandono notte ne giorno;

or che Fortuna per Carlo si piega,

egli col vincitor l'insegna spiega.

91

Voglio quindici di termine o venti,

tanto che comparir possa una volta,

si che degli africani alloggiamenti

la grave ossedion per me sia tolta.

Intanto cerchero convenienti

cagioni, e che sian giuste, di dar volta.

Io vi domando per mio onor sol questo:

tutto poi vostro e di mia vita il resto. -

92

In simili parole si diffuse

Ruggier, che tutte non so dirvi a pieno;

e segui con molt'altre, e non concluse

fin che non vide tutto il foglio pieno;

e poi piego la lettera e la chiuse,

e suggellata se la pose in seno,

con speme che gli occorra il di seguente

chi alla donna la dia secretamente.

93

Chiusa ch'ebbe la lettera, chiuse anco

gli occhi sul letto, e ritrovo quiete;

che 'l Sonno venne, e sparse il corpo stanco

col ramo intinto nel liquor di Lete:

e poso fin ch'un nembo rosso e bianco

di fiori sparse le contrade liete

del lucido oriente d'ogn'intorno,

ed indi uscide l'aureo albergo il giorno.

94

E poi ch'a salutar la nuova luce

pei verdi rami incominciar gli augelli,

Aldigier che voleva essere il duce

di Ruggiero e de l'altro, e guidar quelli

ove faccin che dati in mano al truce

Bertolagi non siano i duo fratelli,

fu 'l primo in piede; e quando sentir lui,

del letto usciro anco quegli altri dui.

95

Poi che vestiti furo e bene armati,

coi duo cugin Ruggier si mette in via,

gia molto indarno avendoli pregati

che questa impresa a lui tutta si dia;

ma essi, pel desir c'han de' lor frati,

e perche lor parea discortesia,

steron negando piu duri che sassi,

ne consentiron mai che solo andassi.

96

Giunsero al loco il di che si dovea

Malagigi mutar nei carriaggi.

Era un'ampla campagna che giacea

tutta scoperta agli apollinei raggi.

Quivi ne allor ne mirto si vedea,

ne cipressi ne frassini ne faggi,

ma nuda ghiara, e qualche umil virgulto

non mai da marra o mai da vomer culto.

97

I tre guerrieri arditi si fermaro

dove un sentier fendea quella pianura;

e giunger quivi un cavallier miraro,

ch'avea d'oro fregiata l'armatura,

e per insegna in campo verde il raro

e bello augel che piu d'un secol dura.

Signor, non piu, che giunto al fin mi veggio

di questo canto, e riposarmi chieggio.